domenica 10 agosto 2025

Cittadinanza e precedenti penali minori: il Consiglio di Stato riafferma il dovere di valutazione concreta dell'integrazioneConsiglio di Stato, Sez. III, sent. n. 6099/2025, pubblicata l’11 luglio 2025 – R.G. n. 6603/2023

Cittadinanza e precedenti penali minori: il Consiglio di Stato riafferma il dovere di valutazione concreta dell'integrazione

Consiglio di Stato, Sez. III, sent. n. 6099/2025, pubblicata l’11 luglio 2025 – R.G. n. 6603/2023

Con la sentenza n. 6099/2025, il Consiglio di Stato ha annullato un diniego di cittadinanza italiana fondato su una condanna per reati di lieve entità, accogliendo l’appello proposto contro la decisione del TAR Lazio (sent. n. 2843/2023). Il Collegio ha ribadito l’obbligo dell’Amministrazione di svolgere una valutazione individualizzata e aggiornata, evitando automatismi tra precedenti penali e rigetto dell’istanza di naturalizzazione.

1. Il caso: un diniego fondato su condanna per reati minori

Il ricorrente, cittadino straniero regolarmente soggiornante in Italia da oltre dieci anni, aveva presentato istanza di cittadinanza ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992. L’Amministrazione l’aveva respinta in ragione di una condanna, divenuta irrevocabile, per lesioni personali, ingiurie e minacce continuate, pronunziata nel 20XX dal Giudice di Pace, con pena pecuniaria pari a 1.000 euro. Successivamente, il richiedente ha ottenuto riabilitazione ex art. 178 c.p. dal Tribunale di Sorveglianza di Venezia.

Il TAR Lazio ha confermato il diniego ritenendo i reati, sebbene formalmente minori, espressione di una condotta lesiva di beni costituzionali e quindi incompatibile con lo status civitatis.

2. I motivi di appello accolti

Il Consiglio di Stato ha accolto l’appello ritenendo fondate le censure per difetto di istruttoria e motivazione. In particolare:

Natura penale dei reati: i fatti contestati (artt. 582, 594 e 612 c.p.) sono rientranti nella competenza del Giudice di Pace e sono sanzionati con pene lievi, come il lavoro di pubblica utilità o la permanenza domiciliare.

Lieve allarme sociale: il Collegio ha ritenuto che si trattasse di episodi isolati e risalenti, privi di rilevante disvalore concreto e non rappresentativi di una condotta antisociale protratta.

Percorso di integrazione: il richiedente ha dimostrato un’attività lavorativa stabile (CU dal 2021 al 2025), assenza di altri precedenti o carichi pendenti, e una situazione familiare regolare (coniugato con cittadina straniera in regola).


3. I principi giuridici affermati

La sentenza si inserisce in una consolidata giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. III, nn. 5471/2023, 6898/2022, 6789/2022; Sez. I, parere n. 612/2023), secondo cui:

> “La valutazione della personalità del richiedente non può fondarsi sull’astratta tipologia del reato, ma deve essere rapportata al caso concreto, alle modalità dei fatti, alla pena inflitta e alla condotta successiva”.



In particolare:

La riabilitazione penale, pur sopravvenuta al diniego, deve essere tenuta in considerazione in sede di riesame;

L’istruttoria amministrativa deve tener conto dell’inserimento sociale, economico e familiare, e non può ridursi a una motivazione stereotipata;

L’interesse pubblico non può essere presunto, ma va motivato in relazione ai valori costituzionali della dignità, dell’integrazione e della non discriminazione.


4. Conseguenze della decisione

Il Consiglio di Stato ha accolto l’appello e, in riforma della sentenza del TAR, ha annullato il provvedimento di diniego della cittadinanza, disponendo il riesame da parte dell’Amministrazione alla luce dei principi espressi.

La compensazione delle spese è stata disposta in considerazione della peculiarità del caso, che ha richiesto un bilanciamento tra sicurezza pubblica e dignità della persona.

5. Nota conclusiva

La pronuncia riafferma il principio per cui la cittadinanza italiana, pur essendo atto discrezionale, non è sottratta ai principi di legalità, proporzionalità e buon andamento dell’azione amministrativa. Il diniego fondato su meri automatismi, senza considerare il contesto personale e l’effettivo percorso di integrazione, si espone a censure per violazione dell’obbligo di motivazione e difetto di istruttoria.


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Avv. Fabio Loscerbo



sabato 9 agosto 2025

Revoca del permesso di soggiorno e valutazione della pericolosità sociale: il Consiglio di Stato valorizza il contesto personale della stranieraConsiglio di Stato, Sez. III, sent. n. 6113/2025, pubblicata l’11 luglio 2025 – R.G. n. 1488/2025

Revoca del permesso di soggiorno e valutazione della pericolosità sociale: il Consiglio di Stato valorizza il contesto personale della straniera

Consiglio di Stato, Sez. III, sent. n. 6113/2025, pubblicata l’11 luglio 2025 – R.G. n. 1488/2025

Con la sentenza n. 6113/2025, il Consiglio di Stato ha accolto l’appello proposto contro la decisione del TAR Emilia-Romagna (n. 861/2024), annullando la revoca del permesso di soggiorno per lavoro motivata da una condanna ex art. 444 c.p.p. per maltrattamenti familiari. Il Collegio ha evidenziato l’omessa valutazione del contesto personale, familiare e sanitario della ricorrente, riconoscendo un vizio sostanziale nel giudizio di pericolosità sociale formulato dall’Amministrazione.

1. Il contesto fattuale e processuale

La vicenda riguarda una cittadina straniera destinataria di un provvedimento di revoca del permesso di soggiorno, fondato su una sentenza di applicazione di pena (1 anno e 10 mesi, con sospensione condizionale), per reati commessi nel 2020: maltrattamenti verso familiari (art. 572 c.p.), lesioni personali (artt. 582, 585, 576 c.p.), minaccia (art. 612 c.p.), violazione di domicilio (art. 614 c.p.), danneggiamento (art. 635 c.p.) e aggravanti ex art. 61 n. 11-quinquies c.p.

La sentenza di primo grado aveva ritenuto legittima la revoca, richiamando la gravità intrinseca del reato di maltrattamenti, in linea con la giurisprudenza consolidata in materia di pericolosità sociale.

2. Le ragioni dell’appello

La difesa ha censurato l’assenza di una valutazione individualizzata della situazione della ricorrente, la quale:

è entrata in Italia nel 2011 per ricongiungimento familiare;

si è separata dal marito a causa di violenze subite;

è affetta da disturbi psichici, in carico al Centro di Salute Mentale di Casalecchio di Reno;

lavora stabilmente con contratto a tempo indeterminato;

ha contratto nuovo matrimonio nel 2024 e ha presentato istanza di ricongiungimento;

è madre di una figlia minore, che frequenta regolarmente attenendosi alle prescrizioni dei Servizi Sociali.


Tali circostanze, a giudizio dell’appellante, avrebbero imposto una rivalutazione della pericolosità sociale ex art. 5, comma 5, del d.lgs. 286/1998, valorizzando la sua effettiva integrazione nel tessuto sociale e lavorativo.

3. La decisione del Consiglio di Stato

La Sezione Terza ha accolto il ricorso, ritenendo fondato il motivo relativo all’omessa attualizzazione della valutazione di pericolosità da parte della Questura. Il Collegio ha affermato che:

> “La sola enfatizzazione del reato commesso, senza considerare il contesto complessivo, è viziata”.



La sentenza sottolinea l’importanza di un’analisi sostanziale e contestualizzata della personalità del soggetto, che tenga conto:

del suo vissuto di vittima di violenza domestica;

del percorso terapeutico in atto;

del radicamento sociale e familiare;

della volontà di integrazione dimostrata anche tramite il nuovo legame coniugale.


La giurisprudenza menzionata dal TAR sul reato di maltrattamenti non può avere valenza automatica in presenza di un quadro clinico e sociale complesso, che impone una valutazione olistica e attuale.

4. Principio affermato

La sentenza ribadisce che la valutazione della pericolosità sociale ai fini del rilascio o del mantenimento del permesso di soggiorno deve essere sempre contestualizzata e attualizzata, tenendo conto:

del decorso temporale dai fatti di reato,

delle misure riabilitative e terapeutiche avviate,

dell’evoluzione del contesto familiare e sociale.


La mera esistenza di una condanna non può automaticamente fondare il diniego o la revoca del permesso di soggiorno, specie laddove sia accertato che il soggetto ha intrapreso un percorso concreto di rieducazione e integrazione.

5. Dispositivo

In accoglimento dell’appello, il Consiglio di Stato ha:

riformato la sentenza del TAR;

accolto il ricorso di primo grado;

annullato il provvedimento impugnato;

compensato le spese del doppio grado, in ragione della peculiarità della fattispecie.


L’Amministrazione dovrà ora rivalutare la posizione della straniera nel rispetto dell’effetto conformativo della sentenza.


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Avv. Fabio Loscerbo


venerdì 8 agosto 2025

Revoca del permesso di soggiorno e falsità documentale: il Consiglio di Stato ribadisce l’autonomia della valutazione amministrativa rispetto all’esito penaleConsiglio di Stato, Sez. III, sent. n. 6114/2025, pubblicata l’11 luglio 2025 – R.G. n. 5748/2021

Revoca del permesso di soggiorno e falsità documentale: il Consiglio di Stato ribadisce l’autonomia della valutazione amministrativa rispetto all’esito penale

Consiglio di Stato, Sez. III, sent. n. 6114/2025, pubblicata l’11 luglio 2025 – R.G. n. 5748/2021

Con la sentenza n. 6114/2025, il Consiglio di Stato, Sezione Terza, ha respinto il ricorso proposto da un cittadino straniero avverso la sentenza del TAR Toscana n. 1692/2020, confermando la legittimità della revoca del permesso di soggiorno disposta dalla Questura di Grosseto a seguito dell’accertata falsità della documentazione reddituale prodotta a sostegno dell’istanza di rinnovo.

1. I fatti oggetto di giudizio

Il procedimento trae origine dal rigetto dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno motivato dalla presentazione di certificazioni reddituali risultate false all’esito di verifiche presso l’Agenzia delle Entrate e l’INPS. In particolare, i dati dichiarati nei CUD prodotti non trovavano riscontro né nei sistemi dell’Agenzia, né nei versamenti contributivi registrati presso l’ente previdenziale. A ciò si aggiungeva la completa assenza di evidenze circa l’effettività dei rapporti di lavoro dichiarati, sia in termini temporali (discordanza delle date nei modelli UNILAV), sia per la mancata attivazione di iniziative ispettive o giudiziarie da parte del ricorrente.

Il TAR, con la sentenza impugnata, ha ritenuto legittimo il diniego fondato su documentazione sospettata di falsità, osservando che il richiedente non aveva prodotto prove idonee né a dimostrare la veridicità dei rapporti di lavoro, né a chiarire la propria situazione reddituale.

2. Le doglianze dell’appellante

In sede di appello, il ricorrente ha dedotto:

la pretesa sottovalutazione da parte del TAR delle lettere inviate all’Ispettorato del Lavoro (con ricevute di raccomandata allegate);

la presunta violazione del principio di non colpevolezza, in quanto la valutazione del TAR si sarebbe fondata su un giudizio anticipato di responsabilità penale;

la violazione dell’art. 5, comma 5, del T.U. Immigrazione, secondo cui non può essere negato il permesso per mere irregolarità contributive sanabili;

l’omessa considerazione della documentazione sopravvenuta attestante la presenza in Italia e la condizione lavorativa.


3. Le valutazioni del Consiglio di Stato

La Sezione ha respinto integralmente l’appello, ritenendo infondate tutte le censure sollevate. In particolare:

Sulle lettere inviate all’Ispettorato: anche a voler ammettere l’effettiva trasmissione, la loro tardiva presentazione – a distanza di quattro anni dalla prima notifica del rigetto – le priva di efficacia dimostrativa, come già rilevato dal TAR.

Sulla presunta anticipazione del giudizio penale: il Collegio chiarisce che il TAR non ha formulato alcuna valutazione di colpevolezza, ma ha correttamente apprezzato l’idoneità degli elementi istruttori acquisiti dall’Amministrazione ai fini dell’adozione del provvedimento. Il principio di autonomia tra giudizio penale e procedimento amministrativo consente infatti all’Amministrazione di fondare i propri atti su fatti anche astrattamente rilevanti in sede penale, purché adeguatamente istruiti.

Sull’art. 5, comma 5, T.U.I.: il Collegio evidenzia che nella specie non si è in presenza di una mera irregolarità contributiva, ma di un quadro indiziario grave e convergente circa la fittizietà dei rapporti di lavoro dichiarati. I versamenti previdenziali mancanti, le assenze nei database ufficiali e le incoerenze temporali nei documenti costituiscono elementi univoci in tal senso, non controbilanciati da alcuna iniziativa concreta da parte del richiedente.

Sulle certificazioni sopravvenute: la produzione di ulteriori CU non incide sulla legittimità del provvedimento impugnato, adottato su presupposti oggettivi e autonomi. Inoltre, tali certificazioni, prive di supporti contributivi o fiscali certi, non sono state ritenute idonee a dimostrare la capacità reddituale del ricorrente.


Infine, la sentenza penale prodotta in corso di causa – che ha dichiarato la prescrizione dei reati – è stata ritenuta irrilevante, in quanto priva di un accertamento sostanziale dei fatti contestati. Il giudizio amministrativo, in quanto autonomo, resta vincolato solo al riscontro di un’istruttoria sufficiente e di una motivazione coerente.

4. Conclusione

La decisione del Consiglio di Stato si pone in linea con un consolidato orientamento giurisprudenziale che riconosce all’Amministrazione un ampio margine di apprezzamento nella valutazione delle condizioni per il rilascio e il rinnovo del titolo di soggiorno, specie in presenza di falsità documentale. È ribadito il principio secondo cui la presentazione di documenti falsi comporta ex se l’inidoneità a comprovare i requisiti reddituali, giustificando il rigetto dell’istanza.

La sentenza riafferma inoltre che l’eventuale successiva prescrizione del reato penale non incide sulla legittimità del provvedimento amministrativo, né può sanare ex post la mancanza originaria dei presupposti per il rinnovo del permesso.


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Avv. Fabio Loscerbo



giovedì 7 agosto 2025

Il Consiglio di Stato annulla il diniego di cittadinanza basato su reati estinti e denuncia prescritta: prevale la tutela dell’integrazioneConsiglio di Stato, Sez. III – Sentenza n. 6116/2025, R.G. n. 7194/2023 – pubblicata l’11 luglio 2025

Il Consiglio di Stato annulla il diniego di cittadinanza basato su reati estinti e denuncia prescritta: prevale la tutela dell’integrazione

Consiglio di Stato, Sez. III – Sentenza n. 6116/2025, R.G. n. 7194/2023 – pubblicata l’11 luglio 2025

Con la sentenza n. 6116 del 2025, il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso presentato avverso la decisione del TAR Lazio che aveva confermato il diniego della cittadinanza italiana fondato su una denuncia risalente al 1997 e su una condanna penale del coniuge, successivamente dichiarata estinta. La pronuncia riafferma i limiti della discrezionalità amministrativa e valorizza l’integrazione effettiva dello straniero nella società italiana.

1. Il diniego impugnato: presupposti e motivazioni

L’Amministrazione aveva respinto l’istanza di cittadinanza per residenza decennale, presentata nel 2015, richiamando:

una denuncia per furto del 1997, archiviata per prescrizione e riguardante beni di modesto valore;

una sentenza di condanna del coniuge per furto, resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali.


Il TAR Lazio aveva respinto il ricorso, ritenendo che tali elementi fossero ostativi all’accoglimento dell’istanza e che potessero legittimare, anche isolatamente, il provvedimento negativo.

2. Il giudizio del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato ha ribaltato la decisione, accogliendo entrambi i motivi di appello.

a) La denuncia archiviata: irrilevanza e violazione del principio di proporzionalità

Il Collegio ha rilevato che la denuncia del 1997, estinta per prescrizione e concernente il furto di beni per un valore di circa 300.000 lire, non poteva essere considerata elemento ostativo in assenza di una condanna definitiva e a distanza di ben 18 anni dalla domanda di cittadinanza. Inoltre, contrariamente a quanto affermato nel diniego, non risultava alcuna contestazione per reati contro la persona.

È stato sottolineato come il TAR abbia errato nel ritenere tale denuncia inserita nel periodo di osservazione decennale, essendo i fatti anteriori di oltre 18 anni.

b) I reati del coniuge: valutazione errata e mancanza di collegamento familiare

Quanto alla condanna del coniuge, il Consiglio ha ribadito che la valutazione discrezionale dell’Amministrazione può estendersi anche ai comportamenti dei familiari, ma solo in presenza di indizi di “collaborazione familiare” nei reati o di uno stile di vita deviato condiviso. Nessuno di questi elementi era stato accertato nel caso in esame.

Inoltre, i reati risultavano già estinti ai sensi dell’art. 445, comma 2, c.p.p. (estensione degli effetti estintivi dell’applicazione della pena su richiesta delle parti), come da decreto del giudice dell’esecuzione depositato in atti, senza che l’Amministrazione avesse contestato tale circostanza.

3. La funzione del riesame: valutazione individuale dell’integrazione

In forza dell’annullamento, l’Amministrazione sarà tenuta a riesaminare la posizione della richiedente, tenendo conto della reale integrazione sociale e adesione ai valori dell’ordinamento, come precisato dalla giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. III, sent. n. 3895/2025). La discrezionalità non può trasformarsi in arbitrio o automatismo fondato su meri precedenti, tanto più se non attuali o riferibili a terzi.

4. Conclusioni

La sentenza rappresenta un importante chiarimento sul corretto bilanciamento tra sicurezza pubblica e diritto alla cittadinanza: eventi remoti, prescritti o riferiti a familiari non possono costituire ostacolo automatico alla naturalizzazione, in assenza di una concreta incidenza sull’integrazione personale del richiedente.

La decisione valorizza una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 9 della legge n. 91/1992, rafforzando il principio di personalità della responsabilità penale e quello di ragionevolezza nell’esercizio del potere discrezionale.


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Avv. Fabio Loscerbo



mercoledì 6 agosto 2025

Conversione del permesso per lavoro stagionale: il TAR Parma condanna il silenzio della Prefettura di PiacenzaTAR Emilia-Romagna, Sezione staccata di Parma – Sentenza n. 255/2025, R.G. n. 79/2025 – pubblicata il 12 giugno 2025

Conversione del permesso per lavoro stagionale: il TAR Parma condanna il silenzio della Prefettura di Piacenza

TAR Emilia-Romagna, Sezione staccata di Parma – Sentenza n. 255/2025, R.G. n. 79/2025 – pubblicata il 12 giugno 2025

Con la sentenza n. 255 del 2025, il TAR Emilia-Romagna (sede di Parma) ha dichiarato la cessazione della materia del contendere in un giudizio promosso per l’accertamento del silenzio-inadempimento della Prefettura di Piacenza su un’istanza di conversione del permesso di soggiorno da lavoro stagionale a lavoro subordinato. Il Collegio ha comunque condannato l’Amministrazione alle spese di giudizio, riconoscendo la fondatezza della pretesa in base al principio della soccombenza virtuale.

1. Il contesto del ricorso

Il ricorrente, cittadino straniero regolarmente entrato in Italia con visto per lavoro stagionale, aveva presentato istanza di conversione in lavoro subordinato in data 21 marzo 2024. In attuazione del procedimento previsto dall’art. 24, comma 10, del TUI, la Prefettura di Piacenza aveva rilasciato il nulla osta alla conversione in data 25 maggio 2024.

Tuttavia, nonostante tale atto endoprocedimentale positivo, l’Amministrazione non aveva convocato le parti per la stipula del contratto di soggiorno né adottato un provvedimento espresso conclusivo. Solo a seguito dell’avvio del giudizio, lo Sportello Unico ha finalmente convocato datore e lavoratore, a ridosso dell’udienza dell’11 giugno 2025.

2. L’obbligo di concludere il procedimento

Il Tribunale ha ribadito un principio fondamentale: l’Amministrazione ha il dovere di concludere il procedimento con un provvedimento espresso, ai sensi dell’art. 2, comma 1, della legge n. 241/1990 e dell’art. 5, comma 9, del d.lgs. n. 286/1998, che fissa in 60 giorni il termine massimo per provvedere alle richieste di rilascio, rinnovo o conversione dei titoli di soggiorno.

Nel caso in esame, l’omesso completamento della procedura ha determinato la legittima attivazione del ricorso avverso il silenzio, ai sensi dell’art. 31 c.p.a., che tutela l’interesse pretensivo del privato a una risposta tempestiva.

3. Cessazione della materia del contendere e condanna alle spese

All’udienza camerale, l’Amministrazione aveva finalmente adempiuto (seppure tardivamente), dando seguito alla convocazione necessaria per la stipula del contratto di soggiorno. Il difensore del ricorrente ha dunque chiesto la declaratoria di cessazione della materia del contendere, riconoscendo il soddisfacimento della pretesa.

Il Collegio ha accolto tale richiesta, ma ha condannato comunque il Ministero dell’Interno alle spese di lite (€ 1.000 oltre accessori), applicando il principio della soccombenza virtuale, in quanto il comportamento dell’Amministrazione ha di fatto costretto il privato ad agire in giudizio per ottenere ciò che gli spettava.

4. Considerazioni finali

La pronuncia evidenzia con nettezza un tema strutturale nel rapporto tra cittadino straniero e pubblica amministrazione: l’inadempimento silenzioso delle prefetture anche dopo l’emissione di atti positivi come il nulla osta. Tale inerzia genera incertezza giuridica, ritardi nelle procedure di stabilizzazione e costi ingiustificati per l’ordinamento.

Il TAR ha richiamato il dovere incondizionato dell’amministrazione di chiudere i procedimenti attivati su istanza di parte, a prescindere dalla fondatezza o meno della domanda: anche un diniego deve essere formalizzato.

Questa decisione può fungere da utile precedente nei casi analoghi di inerzia procedimentale, soprattutto nel contesto delle domande di conversione presentate nell’ambito dei decreti flussi.


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Avv. Fabio Loscerbo



martedì 5 agosto 2025

Rinnovo del permesso di soggiorno: illegittimità della revoca fondata su fatti superati e inerzia della Questura di ParmaTAR Emilia-Romagna, Sezione staccata di Parma, Sentenza n. 256/2025, R.G. n. 446/2024 – pubblicata il 12 giugno 2025

Rinnovo del permesso di soggiorno: illegittimità della revoca fondata su fatti superati e inerzia della Questura di Parma

TAR Emilia-Romagna, Sezione staccata di Parma, Sentenza n. 256/2025, R.G. n. 446/2024 – pubblicata il 12 giugno 2025

Con la sentenza n. 256 del 2025, il TAR Emilia-Romagna, sede di Parma, ha dichiarato l’improcedibilità di un ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, dopo che la Questura ha revocato in autotutela il provvedimento con cui aveva rigettato la richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno di uno straniero regolarmente soggiornante.

1. I fatti e il contenzioso

Il ricorrente aveva impugnato il rigetto del rinnovo del permesso di soggiorno emesso dalla Questura di Parma, contestandone l’illegittimità sotto diversi profili: la valutazione non attuale della pericolosità sociale, il mancato riconoscimento dei legami familiari (inclusa la nascita di un terzo figlio nel 2021) e un'errata rappresentazione della situazione lavorativa.

Il TAR, con ordinanza cautelare n. 11/2025, aveva già rilevato che:

i fatti a fondamento del rigetto erano risalenti nel tempo e dunque non rilevanti ai fini dell’attualità della pericolosità;

esistevano legami familiari significativi;

il ricorrente risultava in realtà occupato, contrariamente a quanto sostenuto dalla Questura.


Per tali ragioni era stato ordinato un riesame entro 45 giorni. Tuttavia, l’Amministrazione è rimasta inerte.

2. L’intervento del Prefetto come Commissario ad acta

Constatata l’inerzia, il Tribunale ha nominato il Prefetto di Parma Commissario ad acta, autorizzandolo a delegare un dirigente per eseguire l’ordine giudiziale. La Questura ha successivamente adempiuto, revocando in autotutela il provvedimento di rigetto, ma senza ancora rilasciare formalmente il titolo di soggiorno richiesto.

3. La decisione del TAR: improcedibilità ma condanna alle spese

Alla luce della revoca del provvedimento impugnato, il TAR ha dichiarato l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse, ex art. 35, comma 1, lett. c), c.p.a., precisando che la fattispecie non integra un’ipotesi di cessazione della materia del contendere, poiché l’Amministrazione non ha ancora rilasciato il permesso di soggiorno richiesto.

Pur non pronunciandosi nel merito, il Tribunale ha applicato il principio della soccombenza virtuale, ponendo le spese a carico dell’Amministrazione, per aver comunque dato causa alla controversia. Le spese sono state liquidate in € 1.000, oltre accessori e rimborso del contributo unificato.

4. Considerazioni conclusive

La pronuncia è emblematica di due profili ricorrenti nei contenziosi in materia di immigrazione:

da un lato, la frequente utilizzazione impropria di elementi superati per fondare giudizi di pericolosità sociale, in spregio al principio di attualità;

dall’altro, la resistenza silenziosa di alcune Questure agli ordini del giudice amministrativo, che impone interventi sostitutivi.


La decisione, pur non risolutiva in senso satisfattivo, rappresenta un monito a favore della correttezza procedimentale e della tutela effettiva dei diritti degli stranieri radicati nel territorio nazionale.


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Avv. Fabio Loscerbo


lunedì 4 agosto 2025

Conversione del permesso per studio: il TAR Parma accoglie il ricorso e impone alla Prefettura un nuovo provvedimento motivatoTAR Emilia-Romagna, Sezione staccata di Parma – Sentenza n. 284/2025, R.G. n. 412/2024, pubblicata il 26 giugno 2025

Conversione del permesso per studio: il TAR Parma accoglie il ricorso e impone alla Prefettura un nuovo provvedimento motivato

TAR Emilia-Romagna, Sezione staccata di Parma – Sentenza n. 284/2025, R.G. n. 412/2024, pubblicata il 26 giugno 2025

Con la sentenza n. 284/2025, il TAR Emilia-Romagna – sede di Parma – ha dichiarato la cessazione della materia del contendere in un procedimento promosso avverso la revoca del nulla osta alla conversione del permesso di soggiorno da studio a lavoro subordinato, dopo che la Prefettura di Reggio Emilia ha revocato in autotutela il provvedimento impugnato, disponendo nuovamente il rilascio del nulla osta alla conversione.

1. La vicenda

La controversia trae origine dal provvedimento del 30 settembre 2024 con cui lo Sportello Unico per l’Immigrazione aveva revocato il nulla osta già rilasciato per la conversione del permesso di soggiorno per studio in permesso per lavoro subordinato. Il ricorrente ha impugnato il provvedimento dinanzi al TAR, contestando la revoca per carenza di istruttoria, contraddittorietà e violazione del principio del legittimo affidamento.

Il Tribunale, con l’ordinanza n. 380/2024, ha disposto la sospensione del provvedimento e richiesto alla Prefettura una relazione dettagliata, poi reiterando l’ordine di riesame con l’ordinanza n. 30/2025. Nonostante un primo inadempimento, evidenziato con l’ulteriore ordinanza n. 141/2025, l’Amministrazione ha infine depositato, il 4 giugno 2025, un nuovo provvedimento con cui ha revocato in autotutela la precedente decisione e rilasciato nuovamente il nulla osta alla conversione.

2. La decisione del TAR

Preso atto della piena soddisfazione della pretesa azionata, il Collegio ha dichiarato la cessazione della materia del contendere ex art. 34, comma 5, c.p.a., chiarendo che l’Amministrazione ha integralmente accolto le istanze del ricorrente e sanato il vizio originario mediante un nuovo provvedimento favorevole.

Il TAR ha anche ribadito che l’assenza del ricorrente in camera di consiglio non impedisce l’adozione di una sentenza in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 c.p.a., richiamando in tal senso la giurisprudenza del Consiglio di Stato (Sez. II, sent. n. 1453/2021).

3. Le spese e la soccombenza virtuale

In applicazione del principio della soccombenza virtuale, il Tribunale ha condannato l’Amministrazione resistente – Prefettura di Reggio Emilia – al pagamento delle spese di lite, liquidate in euro 1.000, oltre accessori di legge e rifusione del contributo unificato, rilevando che la decisione amministrativa finale ha confermato la fondatezza delle doglianze iniziali.

Infine, ai sensi dell’art. 52 del D.lgs. n. 196/2003 e del Reg. UE 2016/679, il Collegio ha ordinato l’oscuramento delle generalità della parte ricorrente.


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Nota: La sentenza costituisce un esempio di tutela effettiva del cittadino straniero nel caso di provvedimenti amministrativi revocativi non adeguatamente motivati, e conferma l’obbligo per la Pubblica Amministrazione di riesaminare le istanze alla luce dell’intero quadro istruttorio, anche a seguito di misure cautelari e ordini del giudice amministrativo.

Avv. Fabio Loscerbo



domenica 3 agosto 2025

TAR Parma: irricevibile il ricorso per ritardato deposito a causa dell’utilizzo di un modulo obsoletoSentenza del TAR Emilia-Romagna, Sezione staccata di Parma (Sezione Prima), n. 300/2025, pubblicata il 27 giugno 2025 – R.G. n. 297/2025

TAR Parma: irricevibile il ricorso per ritardato deposito a causa dell’utilizzo di un modulo obsoleto

Sentenza del TAR Emilia-Romagna, Sezione staccata di Parma (Sezione Prima), n. 300/2025, pubblicata il 27 giugno 2025 – R.G. n. 297/2025

Con la sentenza n. 300/2025, il TAR Parma ha dichiarato irricevibile un ricorso proposto contro il provvedimento della Questura di Piacenza che disponeva l’archiviazione dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo. La decisione si fonda su una causa di natura processuale: il mancato rispetto del termine decadenziale per il deposito del ricorso, pari a 30 giorni dalla notificazione.

1. Il contesto del ricorso: rinnovo del permesso e archiviazione

Il ricorso originava dalla decisione della Questura di Piacenza di archiviare, a distanza di anni, un’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno presentata nel 2019, senza preavviso di rigetto né adeguata valutazione della situazione personale del richiedente, residente in Italia da lungo tempo.

La parte ricorrente lamentava una carente istruttoria e l’omessa considerazione della posizione soggettiva dello straniero, chiedendo l’annullamento del provvedimento.

2. L’eccezione procedurale e il deposito oltre il termine

Il Tribunale, rilevato d’ufficio il profilo di irricevibilità, ha posto l’attenzione sulla data di deposito del ricorso, avvenuta il 27 maggio 2025, ovvero al trentunesimo giorno successivo alla notificazione del provvedimento impugnato (26 aprile 2025), in violazione dell’art. 45, comma 1, c.p.a.

In camera di consiglio, la difesa ha sostenuto che un primo tentativo di deposito era stato effettuato il 26 maggio, ma che era stato respinto dal Sistema Informatico della Giustizia Amministrativa. Tuttavia, tale errore è risultato imputabile esclusivamente alla parte, la quale ha utilizzato un modulo di deposito non aggiornato, come comunicato con apposito messaggio PEC dal sistema stesso (“E013 – il modulo di deposito utilizzato non è più valido”).

3. Errore inescusabile e responsabilità del difensore

Il Collegio ha escluso la sussistenza di un errore scusabile, evidenziando come la comunicazione automatica del sistema fosse chiara e recapitata con tempismo tale da consentire il corretto deposito entro i termini. La mancata osservanza dell’obbligo di aggiornare il modulo è stata dunque considerata un’omissione inescusabile, interamente ascrivibile alla parte ricorrente.

Ne consegue la declaratoria di irricevibilità del ricorso, in applicazione rigorosa dei termini decadenziali previsti dal Codice del processo amministrativo.

4. Spese compensate e tutela della riservatezza

Nonostante il rigetto, il TAR ha disposto la compensazione integrale delle spese, rilevando l’assenza di un’eccezione processuale da parte dell’Amministrazione resistente.

Ai sensi dell’art. 52 del d.lgs. n. 196/2003 e del Regolamento UE 2016/679, è stato inoltre ordinato l’oscuramento delle generalità del ricorrente e del difensore, a tutela della riservatezza degli interessati.


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Avv. Fabio Loscerbo



sabato 2 agosto 2025

Diniego del permesso stagionale per ingresso con divieto di reingresso: il TAR Palermo rigetta il ricorso per infondatezza e inammissibilità parzialeSentenza del TAR Sicilia – Palermo, Sez. III, n. 1514/2025, pubblicata il 4 luglio 2025 – R.G. n. 873/2025

Diniego del permesso stagionale per ingresso con divieto di reingresso: il TAR Palermo rigetta il ricorso per infondatezza e inammissibilità parziale

Sentenza del TAR Sicilia – Palermo, Sez. III, n. 1514/2025, pubblicata il 4 luglio 2025 – R.G. n. 873/2025

Con la sentenza n. 1514/2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Terza) ha respinto un ricorso proposto avverso il rigetto dell’istanza di rilascio del permesso di soggiorno per lavoro subordinato stagionale, nonché contro i connessi provvedimenti di espulsione e respingimento con accompagnamento alla frontiera.

Il caso trae origine dal diniego adottato dalla Questura di Agrigento, motivato dalla sussistenza di un divieto di reingresso in Italia per tre anni, emesso in occasione di un precedente respingimento alla frontiera nel 2022. Il ricorrente, munito di visto per lavoro stagionale, aveva comunque fatto ingresso nel territorio nazionale e aveva avanzato regolare istanza di rilascio del permesso di soggiorno.

1. I motivi di ricorso e l’errore di persona dedotto

Il ricorrente ha articolato diverse censure, sostenendo, in primo luogo, che il diniego si fondava su un errore di persona: secondo la prospettazione difensiva, il divieto di reingresso sarebbe stato adottato nei confronti di un soggetto diverso, erroneamente identificato con il ricorrente. Inoltre, è stata dedotta la mancata considerazione dell’inserimento lavorativo e sociale del richiedente, nonché l’assenza del preavviso di rigetto ex art. 10-bis della L. n. 241/1990.

Ulteriore motivo di ricorso ha riguardato la mancata valutazione, da parte dell’Amministrazione, dell’opportunità di differire il respingimento, come previsto dall’art. 13, comma 5, del T.U. Immigrazione.

2. La verifica AFIS e l’efficacia probatoria degli atti

Il TAR ha tuttavia rigettato le censure, ritenendole infondate o inammissibili. Sotto il profilo dell’identificazione, il Collegio ha evidenziato come il riscontro AFIS delle impronte digitali fornisca una prova fidefaciente dell’identità, assimilabile agli atti di un pubblico ufficiale ai sensi degli artt. 2699 ss. c.c. In assenza di querela di falso o di istanza di verificazione, l’identità del ricorrente con il soggetto destinatario del divieto di reingresso deve considerarsi accertata in via definitiva.

3. Il carattere vincolato del diniego e la non rilevanza del vizio procedimentale

Richiamando l’art. 5, comma 5, del d.lgs. 286/1998, il Tribunale ha ribadito che in presenza di cause ostative all’ingresso (quale, appunto, il divieto di reingresso), il diniego del permesso è atto vincolato. Pertanto, non sussiste spazio per censure relative a vizi motivazionali o di eccesso di potere. In tal senso, si richiama la giurisprudenza del TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, sent. n. 83/2017.

Anche l’omessa comunicazione del preavviso di rigetto non incide sull’esito del procedimento, ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della legge 241/1990, trattandosi di provvedimento che, per sua natura vincolata, avrebbe comunque avuto identico contenuto dispositivo.

4. Difetto di giurisdizione su alcune censure e spese processuali

Il TAR ha inoltre dichiarato inammissibili le censure relative al decreto prefettizio di espulsione, in quanto afferenti alla giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria, ai sensi dell’art. 13, comma 8, del T.U. Immigrazione.

Le spese di lite sono state poste a carico del ricorrente, con liquidazione ridotta in considerazione della semplicità del rito. L’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato è stata rigettata per manifesta infondatezza del ricorso.


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Avv. Fabio Loscerbo



venerdì 1 agosto 2025

Diniego del permesso di soggiorno per pericolosità sociale: il TAR Palermo legittima il rigetto nonostante la presenza di legami familiari e lavorativiSentenza del TAR Sicilia – Palermo, Sezione Terza, n. 1518/2025, pubblicata il 4 luglio 2025 – R.G. n. 1664/2024

Diniego del permesso di soggiorno per pericolosità sociale: il TAR Palermo legittima il rigetto nonostante la presenza di legami familiari e lavorativi

Sentenza del TAR Sicilia – Palermo, Sezione Terza, n. 1518/2025, pubblicata il 4 luglio 2025 – R.G. n. 1664/2024

Con la sentenza in esame, il TAR Palermo ha rigettato un ricorso avverso un provvedimento di diniego del rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato, motivato dalla pericolosità sociale dello straniero. Il rigetto del ricorso è avvenuto previa declaratoria di improcedibilità dell’impugnazione introduttiva, superata da un nuovo provvedimento emesso in sede di riesame.

1. Il contesto procedurale

Il ricorrente aveva impugnato il primo provvedimento di rigetto adottato dalla Questura di Palermo, denunciando numerosi vizi, tra cui l’omessa valutazione dei legami familiari con la consorte e un figlio minore, regolarmente residenti in Italia. Accolta in via cautelare l’istanza di sospensione, il Tribunale aveva disposto il riesame da parte dell’Amministrazione.

Successivamente, il Questore ha emesso un nuovo diniego, nuovamente impugnato con motivi aggiunti. In sede di camera di consiglio, il TAR ha ritenuto il ricorso introduttivo improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, sostituito dalla nuova determinazione amministrativa.

2. Il fondamento del diniego e la valutazione della pericolosità sociale

Il diniego è stato motivato con riferimento all’esito di una valutazione prefettizia ex art. 1 del d.lgs. 159/2011 (Codice Antimafia), secondo cui il ricorrente era ritenuto socialmente pericoloso, per la partecipazione a un’associazione criminale dedita a truffe online e al riciclaggio dei proventi. Le valutazioni dell’Amministrazione si sono fondate su dati concreti: pendenze penali, misure cautelari personali e reali, ruolo attivo nel sodalizio, nonché disponibilità diretta dei profitti illeciti.

Il TAR ha ritenuto legittima tale istruttoria e ha chiarito che il giudizio di pericolosità sociale può fondarsi anche su meri elementi indiziari, senza necessità di una condanna penale definitiva. La funzione di prevenzione insita nella normativa in materia di soggiorno legittima l’Amministrazione a svolgere un apprezzamento anticipatorio del rischio per l’ordine pubblico e la sicurezza.

3. Il bilanciamento con i legami familiari e lavorativi

La sentenza si sofferma anche sull’argomentazione secondo cui i legami familiari e la parziale integrazione sociale avrebbero dovuto impedire un giudizio negativo. Tuttavia, il Tribunale osserva come tali elementi siano stati effettivamente valutati nel riesame, ma non abbiano prevalso nel bilanciamento con l’interesse pubblico primario alla sicurezza.

Richiamando la giurisprudenza del TAR Lombardia (Brescia, Sez. II, sent. n. 487/2020), viene ribadito che la mera titolarità di relazioni familiari e lavorative non impedisce di per sé un giudizio di pericolosità sociale, soprattutto in presenza di condotte che dimostrano un’integrazione solo formale e non sostanziale nel tessuto civile.

4. Decisione sulle spese e patrocinio a spese dello Stato

Nonostante il rigetto del ricorso, il Tribunale ha ammesso in via definitiva il ricorrente al patrocinio a spese dello Stato, ritenendo non manifestamente infondate le censure proposte. Le spese del giudizio sono state poste a carico del ricorrente, liquidate in € 1.500,00 oltre accessori di legge.


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Avv. Fabio Loscerbo



giovedì 31 luglio 2025

La pericolosità sociale giustifica il diniego del permesso anche in presenza di integrazione familiareTAR Sicilia, Sez. III – Sentenza n. 1518/2025, emessa il 6 giugno 2025, R.G. n. 1664/2024

La pericolosità sociale giustifica il diniego del permesso anche in presenza di integrazione familiare

TAR Sicilia, Sez. III – Sentenza n. 1518/2025, emessa il 6 giugno 2025, R.G. n. 1664/2024

Con la sentenza n. 1518/2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia ha rigettato il ricorso proposto contro il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato, confermando la legittimità della valutazione di pericolosità sociale effettuata dalla Questura.

La vicenda trae origine dal rigetto, da parte della Questura di Palermo, dell’istanza di rinnovo di un permesso di soggiorno per lavoro subordinato. Il provvedimento veniva motivato con riferimento a gravi indizi circa l’appartenenza del ricorrente a un sodalizio criminale dedito a truffe online e riciclaggio, nonché alla disponibilità, da parte dello stesso, di una parte dei proventi illeciti. A seguito di un’ordinanza cautelare favorevole al ricorrente, l’amministrazione procedeva al riesame del caso, confermando tuttavia il rigetto sulla base di una nuova valutazione istruttoria.

Il ricorso per motivi aggiunti contestava il nuovo provvedimento, lamentando l’assenza di una reale ponderazione dei legami familiari con la moglie e il figlio minore residenti in Italia, nonché l’inserimento lavorativo e abitativo dell’interessato.

Il Tribunale, decidendo con sentenza in forma semplificata ex art. 60 c.p.a., ha preliminarmente dichiarato improcedibile il ricorso introduttivo per sopravvenuta carenza d’interesse, essendo stato superato da un nuovo provvedimento.

Nel merito, ha ritenuto infondate le censure relative al secondo provvedimento. La Questura, secondo il TAR, ha correttamente svolto un’analisi non automatica della pericolosità sociale, valorizzando il ruolo di rilievo ricoperto dall’interessato all’interno del gruppo criminale e la disponibilità dei profitti illeciti. Tale valutazione – pur fondata su elementi indiziari – è stata ritenuta legittima e coerente con l’ampia discrezionalità riconosciuta all’amministrazione ai sensi degli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 286/1998.

Quanto ai legami familiari e ai segni di integrazione, il TAR ha ritenuto che l’amministrazione li abbia effettivamente considerati, ma correttamente ritenuti recessivi rispetto all’interesse pubblico alla tutela dell’ordine e della sicurezza. È stato ribadito, in linea con consolidata giurisprudenza, che la presenza di una famiglia o di un lavoro in Italia non preclude ex se un giudizio negativo sull’inserimento sociale, specie in presenza di reati gravi e reiterati (TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, sent. n. 487/2020).

Il ricorrente è stato comunque ammesso in via definitiva al patrocinio a spese dello Stato. Le spese di lite sono state poste a suo carico.

Avv. Fabio Loscerbo


mercoledì 30 luglio 2025

Revoca della carta di soggiorno per gravi reati contro minori: il TAR Palermo conferma la legittimità del provvedimento della QuesturaTAR Sicilia, Sezione III – Sentenza n. 1554/2025, R.G. n. 134/2024 – pubblicata il 7 luglio 2025

Revoca della carta di soggiorno per gravi reati contro minori: il TAR Palermo conferma la legittimità del provvedimento della Questura

TAR Sicilia, Sezione III – Sentenza n. 1554/2025, R.G. n. 134/2024 – pubblicata il 7 luglio 2025

Con la sentenza n. 1554/2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia ha rigettato il ricorso avverso il decreto della Questura di Palermo che aveva disposto la revoca della carta di soggiorno per familiare di cittadino dell’Unione Europea, già rilasciata in favore del ricorrente, a seguito di una condanna per violenza sessuale aggravata ai danni di un minore.

1. I fatti oggetto del giudizio

Il ricorrente aveva impugnato due provvedimenti:

la revoca della carta di soggiorno disposta dal Questore di Palermo;

il rigetto del ricorso gerarchico da parte del Prefetto.


Alla base del provvedimento vi era la condanna del ricorrente, pronunciata nel maggio 2023 dal GUP del Tribunale di Palermo, alla pena di sei anni e otto mesi di reclusione per il reato di violenza sessuale aggravata su minore di anni 14, reato commesso in modo reiterato nell’ambito lavorativo. L’Amministrazione ha considerato tale condotta incompatibile con la permanenza regolare del soggetto sul territorio nazionale.

2. Le censure sollevate e la valutazione del TAR

Il ricorrente ha dedotto:

carenza e apoditticità della motivazione;

omessa valutazione della sua non pericolosità sociale;

omessa considerazione del lungo radicamento in Italia (presenza dal 1990, lavoro stabile, legami familiari).


Il Collegio ha respinto tutte le doglianze.

Secondo il TAR, il provvedimento è adeguatamente motivato e poggia su valutazioni congrue e non irragionevoli della pericolosità sociale del ricorrente, fondate su condotte concretamente accertate in sede penale.

Il giudice amministrativo ha sottolineato che:

> “La condotta delittuosa non è stata episodica ma reiterata e commessa in modo non occasionale. Essa risulta del tutto incompatibile con l’inserimento in un contesto lavorativo lecito e con la permanenza sul territorio nazionale in qualità di familiare di cittadino UE”.



L’Amministrazione ha valutato anche gli elementi favorevoli (radicamento, lavoro, famiglia), ma li ha correttamente ritenuti recessivi rispetto alla gravità della condotta penale, come consentito dalla normativa vigente.

3. Il quadro normativo richiamato

Il TAR ha fatto riferimento all’art. 9, comma 4 del D.lgs. 286/1998, applicabile anche ai titoli di soggiorno per familiari di cittadini UE, nella parte in cui vieta il rilascio o il mantenimento del titolo allo straniero pericoloso per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato.

Inoltre, è stato evidenziato che la valutazione della pericolosità non richiede la definitività della sentenza penale, potendo basarsi su accertamenti anche in corso, ove sorretti da gravità indiziaria e coerenza logica.

4. La decisione

Il ricorso è stato respinto in quanto manifestamente infondato, con condanna alle spese a carico del ricorrente per un importo pari a euro 3.000 oltre accessori.

Il Tribunale ha disposto l’oscuramento dei dati personali in caso di diffusione, in applicazione degli articoli 52 D.lgs. 196/2003 e 6 Reg. (UE) 2016/679, con particolare riferimento alla tutela della vittima minorenne.


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Considerazioni conclusive

La sentenza conferma un principio consolidato in giurisprudenza: la revoca del titolo di soggiorno è legittima ove l’Amministrazione accerti, con adeguata motivazione, una situazione di pericolosità sociale fondata su gravi fatti penalmente rilevanti, anche in presenza di elementi di radicamento. Il bilanciamento tra sicurezza pubblica e integrazione è rimesso alla discrezionalità dell’autorità amministrativa, che il giudice può sindacare solo in caso di manifesta illogicità o irragionevolezza.


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Avv. Fabio Loscerbo


T.A.R. Salerno: va riesaminata la domanda di permesso di soggiorno rigettata per “piccolo spaccio” alla luce della giurisprudenza costituzionale Sentenza n. 1074/2025 – R.G. n. 869/2024 – Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, Sezione Terza – pubblicata l’11 giugno 2025

 T.A.R. Salerno: va riesaminata la domanda di permesso di soggiorno rigettata per “piccolo spaccio” alla luce della giurisprudenza costituzionale

Sentenza n. 1074/2025 – R.G. n. 869/2024 – Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, Sezione Terza – pubblicata l’11 giugno 2025

Con la sentenza in epigrafe, il T.A.R. Salerno ha accolto il ricorso proposto da un cittadino straniero avverso il decreto di diniego del permesso di soggiorno per emersione ai sensi dell’art. 103, co. 1, del D.L. 34/2020, basato su una condanna pregressa per detenzione di sostanze stupefacenti ex art. 73, co. 5, del D.P.R. 309/1990.

La Questura aveva ritenuto tale condanna ostativa in via automatica, applicando l’art. 103, comma 10, lett. c), del D.L. 34/2020, che esclude l’accesso alla procedura di regolarizzazione in caso di reati “inerenti agli stupefacenti”. Il ricorrente aveva tuttavia evidenziato che si trattava di una fattispecie di “piccolo spaccio”, con condanna risalente, pena sospesa e intervenuta riabilitazione.

Il Collegio ha ritenuto fondato il ricorso, in particolare alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 43/2024, che ha dichiarato incostituzionale la norma nella parte in cui prevede l’automatica esclusione dei soggetti condannati per i reati previsti dall’art. 73, comma 5, D.P.R. 309/1990 (spaccio di lieve entità). La Consulta ha chiarito che in tali casi è necessaria una valutazione individuale della pericolosità sociale attuale del richiedente, non essendo giustificabile una presunzione assoluta.

Il T.A.R. ha ribadito che, anche prima dell’evoluzione normativa che ha trasformato la fattispecie attenuata in reato autonomo, i principi di proporzionalità, ragionevolezza e tutela dei diritti fondamentali avrebbero comunque imposto una verifica istruttoria piena della situazione personale del richiedente. Nel caso in esame, tale valutazione era completamente assente nel provvedimento impugnato.

Pertanto, il Tribunale ha annullato il decreto di diniego e ha ordinato alla Questura di riesaminare l’istanza, valutando in concreto la pericolosità sociale del ricorrente alla luce della riabilitazione, del tempo trascorso, della condotta successiva e della situazione familiare e lavorativa documentata. Le spese sono state compensate per la peculiarità della vicenda, e il patrocinio a spese dello Stato è stato confermato, con liquidazione di € 1.000,00 al difensore.

Avv. Fabio Loscerbo

martedì 29 luglio 2025

Il TAR FVG conferma la legittimità dell’irricevibilità dell’istanza di permesso per attesa occupazione: permanenza irregolare e mancanza di presupposti oggettiviTAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I – Sentenza n. 206/2024, R.G. n. 169/2024, pubblicata l’11 giugno 2024

Il TAR FVG conferma la legittimità dell’irricevibilità dell’istanza di permesso per attesa occupazione: permanenza irregolare e mancanza di presupposti oggettivi

TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I – Sentenza n. 206/2024, R.G. n. 169/2024, pubblicata l’11 giugno 2024

Con la sentenza n. 206/2024, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia ha respinto il ricorso proposto avverso il provvedimento con cui la Questura di Udine aveva dichiarato irricevibile l’istanza di rilascio di un permesso di soggiorno per attesa occupazione, presentata nel novembre 2023.

1. Il fatto contestato

L’interessato aveva richiesto un permesso di soggiorno per attesa occupazione, dopo una precedente permanenza irregolare sul territorio nazionale. La Questura aveva rigettato l’istanza in quanto carente dei presupposti minimi richiesti dalla normativa vigente, rilevando altresì che non sussistevano titoli validi precedenti, né un visto d’ingresso recente.

La difesa ha contestato il provvedimento sotto due profili:

nullità per mancata traduzione del provvedimento in lingua comprensibile al destinatario;

violazione del principio di buona fede e affidamento ex art. 1, comma 2-bis, della legge n. 241/1990.


2. La pronuncia del Collegio

Il TAR ha ritenuto il ricorso infondato sotto entrambi i profili.

In primo luogo, ha richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la mancata traduzione del provvedimento non determina nullità, ma può al più giustificare la rimessione in termini per impugnazione (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 16 settembre 2022, n. 8052). Nel caso in esame, il provvedimento impugnato era una dichiarazione di irricevibilità e non un atto espulsivo, per cui non si applicano le garanzie di cui all’art. 13 del D.lgs. 286/1998.

Quanto al secondo motivo, il TAR ha rilevato che non ricorrevano i presupposti per l’applicazione del principio di buona fede, atteso che la posizione del richiedente era connotata da una condizione di irregolarità consolidata e da una reiterata omissione di opposizione a precedenti provvedimenti di rigetto.

La pronuncia valorizza il disposto dell’art. 5, commi 4 e 5, del D.lgs. 286/1998, secondo cui il permesso può essere rifiutato in assenza dei requisiti oggettivi richiesti dalla legge e in presenza di condizioni ostative pregresse.

3. Conclusioni

La sentenza evidenzia come la mera presentazione di un’istanza tardiva, priva di legami con un precedente titolo di soggiorno valido o con un nuovo visto d’ingresso, non sia sufficiente per fondare una legittima aspettativa alla regolarizzazione.

Il Tribunale ha quindi respinto il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in € 2.000, oltre oneri di legge.


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Avv. Fabio Loscerbo



T.A.R. Salerno: la Prefettura deve concludere il procedimento anche in caso di rinuncia del datore di lavoro Sentenza n. 1260/2025 – R.G. n. 1808/2024 – Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, Sezione Terza – udienza del 10 giugno 2025

 T.A.R. Salerno: la Prefettura deve concludere il procedimento anche in caso di rinuncia del datore di lavoro

Sentenza n. 1260/2025 – R.G. n. 1808/2024 – Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, Sezione Terza – udienza del 10 giugno 2025

Con la sentenza in epigrafe, il T.A.R. Salerno ha accolto il ricorso proposto contro l’inerzia della Prefettura – Sportello Unico per l’Immigrazione in ordine all’istanza di rilascio di permesso di soggiorno per attesa occupazione, presentata il 7 marzo 2023.

Il ricorrente, regolarmente entrato in Italia con nulla osta per lavoro subordinato non stagionale, si era presentato presso lo Sportello Unico insieme al datore di lavoro per perfezionare il contratto di soggiorno. Tuttavia, per errore materiale nell’indicazione del nominativo, l’appuntamento si concludeva senza esito. Dopo ulteriori solleciti e la sopravvenuta rinuncia del datore all’assunzione, l’Amministrazione ometteva di adottare qualsivoglia provvedimento espresso.

Il Tribunale ha richiamato il principio, affermato anche dal Consiglio di Stato (Sez. III, sent. n. 4717/2024), secondo cui la stipula del contratto di soggiorno è fase essenziale e funzionale non solo all’ottenimento del titolo di soggiorno ma anche alla piena integrazione dello straniero nel tessuto sociale ed economico nazionale. Essa non può essere elusa dalla P.A., la quale ha l’obbligo giuridico di convocare le parti e verificare l’effettiva disponibilità del datore di lavoro, anche ai fini dell’eventuale rilascio di un permesso per attesa occupazione.

Il Collegio ha riconosciuto che, sebbene la Prefettura avesse infine convocato le parti a distanza di oltre un anno dal primo appuntamento, tale adempimento tardivo non esimeva l’Amministrazione dall’obbligo di concludere formalmente il procedimento avviato, in osservanza dell’art. 5, comma 9, del D.lgs. 286/1998. Quest’ultima disposizione prevede infatti un termine di 60 giorni entro cui decidere sulle istanze di permesso.

Pur considerando gli orientamenti giurisprudenziali che escludono il rilascio del permesso per attesa occupazione in caso di mancata instaurazione originaria del rapporto di lavoro, il T.A.R. ha ritenuto comunque doveroso un provvedimento espresso e motivato da parte dell’Amministrazione, poiché l’eventuale reperimento di una nuova opportunità lavorativa non può essere a priori escluso.

La sentenza dispone quindi l’obbligo per la Prefettura di pronunciarsi entro 30 giorni, nominando, in caso di ulteriore silenzio, un Commissario ad acta nella persona del Responsabile della Direzione Centrale per le Politiche Migratorie del Ministero dell’Interno. Le spese di giudizio sono poste a carico del Ministero, liquidate in € 1.000 oltre accessori.

Avv. Fabio Loscerbo

lunedì 28 luglio 2025

Annullata l’archiviazione del permesso di soggiorno per lavoro stagionale: la Questura non ha dimostrato l’avvenuta convocazioneTAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I – Sentenza n. 44/2025, R.G. n. 65/2024, pubblicata il 23 gennaio 2025

Annullata l’archiviazione del permesso di soggiorno per lavoro stagionale: la Questura non ha dimostrato l’avvenuta convocazione

TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I – Sentenza n. 44/2025, R.G. n. 65/2024, pubblicata il 23 gennaio 2025

Con la sentenza n. 44/2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia ha accolto il ricorso proposto avverso il provvedimento con cui la Questura di Gorizia aveva disposto l’archiviazione dell’istanza di rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro stagionale, ritenendo che il richiedente si fosse disinteressato al procedimento per non essersi presentato al ritiro del titolo.

1. I fatti oggetto del giudizio

L’interessato aveva presentato domanda in data 24 agosto 2022. Sebbene il permesso fosse stato formalmente emesso già nel novembre successivo, la Questura ne ha disposto l’archiviazione oltre un anno dopo, nel dicembre 2023, sul presupposto della mancata presentazione al ritiro.

Il ricorrente ha impugnato tale archiviazione, sostenendo di non aver mai ricevuto la convocazione per il ritiro del permesso, che gli sarebbe stato necessario per avanzare successivamente istanza di conversione in permesso per lavoro subordinato.

2. L’eccezione del Ministero e il suo rigetto

Nel giudizio si è costituito il Ministero dell’Interno, eccependo l’asserita carenza di interesse a ricorrere, dato che nel frattempo era stata presentata anche un’istanza di protezione internazionale. Il TAR ha respinto l’eccezione, rilevando che i due titoli di soggiorno hanno presupposti e finalità autonome, e che l’interesse al ricorso resta attuale, anche in assenza di decisione sulla protezione.

3. La violazione del dovere di comunicazione

Nel merito, il Collegio ha ritenuto fondate le doglianze, accertando che non vi era prova dell’invio dell’SMS per la convocazione al ritiro del permesso. Contrariamente a quanto sostenuto nel provvedimento impugnato, l’interessato aveva dimostrato un persistente interesse all’esito positivo del procedimento.

Il TAR ha ricordato che nei procedimenti ad istanza di parte, pur gravando sullo straniero un dovere di diligenza, l’Amministrazione non può presumere un disinteresse senza fondamento documentale certo, soprattutto in presenza di elementi che attestano una volontà collaborativa del richiedente.

4. La decisione del Tribunale

Il ricorso è stato accolto, con conseguente annullamento del provvedimento di archiviazione e con ordine alla Questura di Gorizia di rilasciare “ora per allora” il permesso di soggiorno richiesto, entro il termine di 30 giorni dalla comunicazione della sentenza.

Il TAR ha altresì condannato l’Amministrazione resistente alla rifusione delle spese di lite, liquidate in € 2.000, oltre accessori e rimborso del contributo unificato.

Questa pronuncia si pone in linea con l’orientamento giurisprudenziale che valorizza il principio di correttezza procedimentale e contrasta l’adozione di provvedimenti preclusivi fondati su presunzioni di fatto non supportate da elementi obiettivi, richiamando la necessità di tutela dell’interesse legittimo procedimentale anche in fase esecutiva.


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Avv. Fabio Loscerbo



T.A.R. Salerno: nessun risarcimento per il ritardo se non è provato il danno effettivo Sentenza n. 1270/2025, R.G. n. 226/2025, emessa in data 24 giugno 2025 dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sezione staccata di Salerno, Sezione Terza

 T.A.R. Salerno: nessun risarcimento per il ritardo se non è provato il danno effettivo

Sentenza n. 1270/2025, R.G. n. 226/2025, emessa in data 24 giugno 2025 dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sezione staccata di Salerno, Sezione Terza

Con la sentenza in epigrafe, il T.A.R. Salerno ha definito un ricorso proposto avverso il silenzio serbato dalla Questura di Salerno in merito a un’istanza di correzione dei dati anagrafici erroneamente riportati nel permesso di soggiorno.

Il ricorrente, cittadino tunisino, aveva segnalato alla Questura, tramite il proprio difensore, l’errata indicazione del codice fiscale e del luogo di nascita sul permesso aggiornato, sollecitando ripetutamente una rettifica. Non avendo ricevuto riscontro, aveva adito il giudice amministrativo per ottenere:
a) l’accertamento dell’illegittimità del silenzio;
b) l’ordine all’Amministrazione di provvedere mediante provvedimento espresso;
c) il risarcimento del danno da ritardo ex art. 2-bis, L. 241/1990;
d) l’indennizzo automatico da ritardo previsto dallo stesso articolo.

Durante il giudizio, l’Amministrazione ha provveduto alla correzione richiesta, consegnando il permesso rettificato e sostenendo l’intervenuta cessazione della materia del contendere. Il T.A.R. ha accolto tale eccezione limitatamente all’azione contro il silenzio, dichiarandone l’estinzione per sopravvenuto difetto di interesse.

Diversa la sorte delle domande risarcitorie e di indennizzo.

Il Collegio ha ricordato che, ai sensi dell’art. 2-bis della legge n. 241/1990, il risarcimento da ritardo non deriva automaticamente dal mero decorso dei termini, ma richiede la prova rigorosa del danno subito, del nesso causale e dell’elemento soggettivo della colpa o dolo dell’Amministrazione. Sul punto, è stato richiamato l’orientamento consolidato del Consiglio di Stato secondo cui l’onere probatorio grava integralmente sul ricorrente (Cons. Stato, Sez. II, 12 aprile 2021, n. 2960; Sez. III, 23 maggio 2025, n. 4507; Sez. VII, 21 maggio 2025, n. 4369). Nel caso di specie, il T.A.R. ha rilevato l’assenza di qualsiasi prova anche solo indiziaria circa l’effettivo danno subito, la sua entità e il collegamento causale con l’inerzia della Questura.

Parimenti infondata è stata ritenuta la domanda di indennizzo automatico da ritardo, poiché l’art. 28 del D.L. 69/2013 ha limitato l’applicabilità della norma ai soli procedimenti relativi all’esercizio di attività d’impresa. Non essendo mai intervenuta un’estensione normativa a procedimenti diversi, il T.A.R. ha dichiarato inammissibile la domanda per carenza della condizione dell’azione (Cons. Stato, Sez. III, sent. n. 2019/2025).

Infine, il Collegio ha disposto la compensazione delle spese, evidenziando la parziale soccombenza reciproca e il fatto che parte del ritardo era dipeso da un errore del sistema informatico dell’Agenzia delle Entrate.

Avv. Fabio Loscerbo

domenica 27 luglio 2025

Revoca nulla osta per errore del sistema informatico: il TAR FVG conferma la legittimità del provvedimento regionaleTAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I – Sentenza n. 85/2025, R.G. n. 23/2025, pubblicata il 13 marzo 2025

Revoca nulla osta per errore del sistema informatico: il TAR FVG conferma la legittimità del provvedimento regionale

TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I – Sentenza n. 85/2025, R.G. n. 23/2025, pubblicata il 13 marzo 2025

Con la sentenza n. 85/2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia ha rigettato il ricorso proposto da un cittadino straniero avverso il decreto della Regione Friuli Venezia Giulia di revoca del nulla osta al lavoro subordinato, originariamente rilasciato per effetto di un errore del sistema SPI 2.0.

1. Il contesto del caso

Il ricorrente aveva fatto ingresso in Italia nel maggio 2023, munito di visto per lavoro subordinato rilasciato dal Consolato italiano a Casablanca. Tuttavia, il relativo nulla osta – rilasciato dalla Regione FVG tramite il nuovo portale SPI 2.0 – era stato generato automaticamente a causa di un errore tecnico informatico, nonostante l’assenza di quote disponibili per lavoro non stagionale nel territorio regionale.

La Regione, una volta individuato l’errore, aveva notificato l’annullamento dei nulla osta rilasciati per tale tipologia di lavoro, informando tempestivamente sia il datore di lavoro sia l’ufficio visti del Consolato.

Nonostante ciò, il visto era stato rilasciato ugualmente e il ricorrente era entrato in Italia senza che fosse stata mai formalizzata la stipula del contratto di soggiorno, né l’instaurazione di un valido rapporto di lavoro.

2. Le doglianze del ricorrente

Il ricorrente contestava la legittimità del decreto di revoca, invocando:

l’art. 22 del D.lgs. 286/1998, comma 11, in combinato con la circolare del Ministero dell’Interno n. 3836/2007, che consente il rilascio di un permesso per attesa occupazione allo straniero impossibilitato a formalizzare il contratto di soggiorno per causa non imputabile;

la violazione dei principi di buona fede e tutela dell’affidamento.


3. La motivazione del TAR

Il Tribunale ha ritenuto infondate le censure del ricorrente, chiarendo che:

l’errore informatico non era imputabile all’Amministrazione, la quale si era tempestivamente attivata per revocare i nulla osta rilasciati irregolarmente;

il mancato perfezionamento del contratto di soggiorno e la mancata instaurazione di un rapporto di lavoro non consentono l’accesso al permesso per attesa occupazione, che presuppone – ex art. 22, comma 11, TUI – la perdita di un lavoro esistente, non la mancata assunzione iniziale;

la circolare ministeriale n. 3836/2007 non può applicarsi al caso in esame, in quanto il ricorrente non si era mai presentato presso lo Sportello Unico per la firma del contratto, né vi è prova che il datore di lavoro fosse disponibile all’assunzione.


Inoltre, il TAR ha rilevato che il visto era stato rilasciato malgrado la comunicazione dell’errore già inviata al Consolato, il che conferma l’assenza di responsabilità regionale e l’insussistenza di un affidamento tutelabile in capo al ricorrente.

4. Principi affermati

La sentenza chiarisce alcuni aspetti fondamentali:

l’ingresso in Italia con un visto ottenuto per errore informatico non può di per sé legittimare la permanenza, né fondare un affidamento giuridicamente rilevante;

l’automazione dei procedimenti amministrativi non può derogare ai presupposti normativi sostanziali, come la disponibilità di quote di ingresso;

la responsabilità consolare per il rilascio di visti in difformità alle indicazioni ricevute non incide sulla validità del provvedimento amministrativo regionale di revoca.


Il ricorso è stato quindi respinto integralmente, con compensazione delle spese di lite, in ragione della complessità tecnico-giuridica della vicenda.


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Avv. Fabio Loscerbo



Revoca del nulla osta per lavoro subordinato e limiti dell’accertamento sulla capacità economica del datore di lavoro Tribunale: TAR Toscana, Sezione Seconda Numero di registro generale: R.G. n. 955/2023 Data di pubblicazione della sentenza: 30 maggio 2025

 Revoca del nulla osta per lavoro subordinato e limiti dell’accertamento sulla capacità economica del datore di lavoro

Tribunale:
TAR Toscana, Sezione Seconda

Numero di registro generale:
R.G. n. 955/2023

Data di pubblicazione della sentenza:
30 maggio 2025


Con la sentenza n. 961/2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana ha respinto un ricorso proposto avverso il provvedimento di revoca del nulla osta al lavoro subordinato rilasciato nell’ambito dei flussi d’ingresso 2022, nonché contro il successivo rigetto dell’istanza di riesame.

Il caso riguardava un’impresa individuale attiva nel settore edile, la quale aveva ottenuto, in prima battuta, un nulla osta per l’assunzione di un lavoratore straniero ai sensi dell’art. 42 del D.L. 73/2022. A seguito di verifiche sulla “consistenza economica” e sulla “correntezza contributiva” del datore di lavoro, la Prefettura di Firenze ha proceduto alla revoca del nulla osta. In sede procedimentale e poi contenziosa, la parte ricorrente ha dedotto violazioni di legge, carenza istruttoria, insufficienza motivazionale e lesione di principi costituzionali ed eurounitari, invocando, tra l’altro, la sopravvenuta disponibilità di documentazione reddituale aggiornata, inclusiva di dichiarazioni dei redditi 2022 e bilanci 2023–2024.

Il TAR ha tuttavia ritenuto infondate le censure. In primo luogo, ha escluso il carattere meramente “apparente” della motivazione amministrativa, che si è fondata su parametri normativi chiari, quali quelli previsti dall’art. 44 del D.L. 73/2022, dalla circolare INL n. 3/2022 e dal d.m. 27 maggio 2020. Tali fonti indicano come criterio essenziale la sussistenza, per ciascun lavoratore richiesto, di un reddito o fatturato non inferiore a 30.000 euro annui, da dimostrare attraverso l’ultima dichiarazione dei redditi o bilancio d’esercizio disponibile alla data di presentazione della domanda.

Secondo il Tribunale, la Prefettura ha legittimamente fondato la revoca sull’insufficiente capacità economico-finanziaria emersa dai dati relativi all’anno 2021, anno di riferimento per le istanze sui flussi 2022. La successiva produzione di documenti relativi agli esercizi 2022 e 2023 non può incidere sulla legittimità del provvedimento, in quanto sopravvenuta alla data di revoca e non idonea a riaprire i termini istruttori, bensì solo a giustificare nuove istanze per flussi futuri.

Interessante anche il chiarimento giurisprudenziale secondo cui l’asseverazione ex art. 44 D.L. 73/2022 non può essere utilizzata per fondare richieste basate su scenari ipotetici o prospettici, essendo richiesta invece una capacità economica già consolidata alla data della domanda. Tale posizione è conforme a un orientamento restrittivo che valorizza l’effettività delle condizioni di sostenibilità economica come garanzia della regolarità e serietà del rapporto di lavoro proposto.

Infine, il TAR ha ritenuto superflua la disamina delle ulteriori motivazioni (coerenza del CCNL applicato e correntezza contributiva), trattandosi di un provvedimento amministrativo “plurimotivato”, sorretto in autonomia dalla sola carenza di capacità economica.

Conclusione:
La sentenza conferma l’indirizzo rigoroso in tema di valutazione della capacità economica dei datori di lavoro nei procedimenti di rilascio o revoca del nulla osta al lavoro subordinato nell’ambito dei flussi, e riafferma l’impossibilità di far valere documentazione sopravvenuta in sede di riesame quale fondamento per modificare retroattivamente gli effetti di un provvedimento legittimo.


Avv. Fabio Loscerbo

sabato 26 luglio 2025

Conversione del permesso da lavoro stagionale a subordinato: quando l’autotutela amministrativa sana il diniegoNota a TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, sentenza 13 marzo 2025, n. 90 – R.G. 261/2024

Conversione del permesso da lavoro stagionale a subordinato: quando l’autotutela amministrativa sana il diniego
Nota a TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, sentenza 13 marzo 2025, n. 90 – R.G. 261/2024

Avv. Fabio Loscerbo


Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia, con la sentenza n. 90 del 13 marzo 2025, ha dichiarato la cessazione della materia del contendere nel giudizio promosso contro il rigetto, da parte della Questura di Gorizia, dell’istanza di conversione del permesso di soggiorno da lavoro stagionale a subordinato.

1. Il fatto processuale

Il ricorso era stato presentato avverso il decreto questorile del 2 luglio 2024, con cui si respingeva la richiesta di conversione del permesso di soggiorno stagionale in permesso per lavoro subordinato.

Tuttavia, in data 3 ottobre 2024, la Questura ha annullato d’ufficio il provvedimento gravato, accogliendo in autotutela l’istanza di riesame e tenendo conto delle motivazioni espresse nell’ordinanza cautelare n. 78/2024 emessa dallo stesso TAR in fase cautelare.

2. La pronuncia

In udienza pubblica il 19 febbraio 2025, il Collegio ha preso atto della dichiarazione congiunta di cessazione della materia del contendere e ha emesso una sentenza ai sensi dell’art. 34, co. 5, c.p.a., compensando le spese per giusti motivi.

Si evidenzia che la sentenza non contiene statuizioni sul merito, ma prende atto dell’avvenuto accoglimento sostanziale della domanda amministrativa, a seguito del ritiro del diniego originario.

3. Osservazioni

La vicenda si inserisce nel quadro delle numerose controversie relative alla conversione del permesso di soggiorno da lavoro stagionale a subordinato, ambito in cui l’oscillante giurisprudenza e l’assenza di prassi uniformi rendono frequente il contenzioso.

In questo caso, l’Amministrazione ha adottato un comportamento conforme al principio di legalità e buon andamento, mostrando attenzione ai rilievi giurisdizionali espressi in sede cautelare. Si tratta di un esempio virtuoso di autotutela amministrativa tempestiva, che evita la prosecuzione inutile del giudizio e consente una soluzione favorevole al ricorrente senza attendere la pronuncia nel merito.

Il TAR, da parte sua, ha correttamente ritenuto di non pronunciarsi nel merito e ha disposto la compensazione delle spese, in considerazione della natura della vicenda e del comportamento collaborativo dell’Amministrazione.

4. Conclusioni

La sentenza n. 90/2025 segnala l’importanza dell’istituto dell’autotutela anche nel contesto della gestione delle pratiche di soggiorno, e dimostra come l’interlocuzione giudiziale possa favorire soluzioni amministrative rapide ed efficaci, specie laddove la legittimità del diniego risulti già compromessa da una valutazione cautelare sfavorevole all’Amministrazione.




Il TAR Toscana dichiara il difetto di giurisdizione sul diniego di rinnovo del permesso per motivi familiari: la controversia spetta al giudice ordinario Tribunale: Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana – Sezione Seconda Numero di R.G.: 653/2024 Data di emissione: 7 luglio 2025

 Il TAR Toscana dichiara il difetto di giurisdizione sul diniego di rinnovo del permesso per motivi familiari: la controversia spetta al giudice ordinario

Tribunale: Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana – Sezione Seconda
Numero di R.G.: 653/2024
Data di emissione: 7 luglio 2025


Con sentenza n. 1294/2025, il TAR Toscana, Sezione Seconda, ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in relazione al ricorso promosso avverso un provvedimento di irricevibilità della richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi familiari, adottato dalla Questura di Arezzo.

Il giudice ha chiarito che, sebbene formalmente impugnato come vizio procedimentale (omessa comunicazione di avvio del procedimento e mancato preavviso di rigetto), il ricorso introduceva in realtà una domanda sostanziale finalizzata al riconoscimento del diritto al soggiorno in Italia per ragioni familiari. Tale qualificazione sostanziale del petitum ha condotto il TAR a ritenere che la giurisdizione dovesse appartenere al giudice ordinario, ai sensi dell’art. 30, comma 6, del d.lgs. n. 286/1998, trattandosi di diritti soggettivi.

È stato inoltre revocato il decreto di ammissione al patrocinio a spese dello Stato precedentemente concesso alla parte ricorrente, in conformità all’art. 136 del d.P.R. n. 115/2002, proprio in ragione della declaratoria di difetto di giurisdizione. Le spese di lite sono state compensate in considerazione della natura della vicenda.


Nota di commento:
La decisione del TAR rafforza l’orientamento per cui la giurisdizione è ordinaria quando il ricorso, anche se mascherato da doglianza procedimentale, mira in realtà a ottenere il riconoscimento del diritto al soggiorno sulla base di presupposti sostanziali. Questo ribadisce l’importanza di un’attenta qualificazione dell’azione giudiziaria in materia di immigrazione, specie nei casi in cui i titoli di soggiorno abbiano matrice familiare.


Avv. Fabio Loscerbo

venerdì 25 luglio 2025

Conversione del permesso per minore età e pericolosità sociale: la linea rigorosa del TAR Friuli Venezia GiuliaNota a TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, sentenza 31 maggio 2025, n. 233 – R.G. 96/2025

Conversione del permesso per minore età e pericolosità sociale: la linea rigorosa del TAR Friuli Venezia Giulia
Nota a TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, sentenza 31 maggio 2025, n. 233 – R.G. 96/2025

Avv. Fabio Loscerbo


Con la sentenza n. 233/2025, il TAR Friuli Venezia Giulia ha rigettato il ricorso proposto da un cittadino egiziano, già titolare di permesso di soggiorno per minore età, contro il rigetto della domanda di conversione in permesso per attesa occupazione. Il caso offre l’occasione per riflettere sui margini effettivi di tutela dei minori stranieri non accompagnati, una volta raggiunta la maggiore età, quando la loro condotta confligge con i requisiti di ordine pubblico richiesti dall’ordinamento.

1. Il contesto fattuale

Il ricorrente, giunto irregolarmente in Italia come minore nel 2023, aveva ottenuto un permesso ex art. 32 TUI. Dopo l’allontanamento da una prima struttura, era stato nuovamente affidato e identificato con nuove generalità. Durante la sua permanenza in Italia, aveva accumulato una lunga serie di precedenti penali, per reati commessi da minorenne e da maggiorenne, tra cui furti, lesioni, resistenza a pubblico ufficiale, oltraggio, rissa e istigazione alla discriminazione razziale.

2. Il diniego della Questura

La Questura di Udine ha rigettato l’istanza di conversione del permesso, valorizzando:

la valutazione di pericolosità sociale ex art. 4, co. 3 TUI;

il pregresso avviso orale ex art. 3 co. 3-bis D.lgs. 159/2011 (misura di prevenzione antimafia);

l’assenza di integrazione sociale e di un alloggio idoneo;

la mancanza di legami familiari in Italia e la presenza di “forti legami con il Paese d’origine”.


3. Le doglianze del ricorrente

Il ricorrente ha eccepito la violazione:

dell’art. 10-bis L. 241/1990, per omessa comunicazione dei motivi ostativi;

dell’art. 32 TUI e dell’art. 14 del DPR 394/1999, per l’assenza del parere del Comitato per i minori stranieri;

dell’art. 18-ter TUI, in quanto asserita vittima di sfruttamento lavorativo.


4. La decisione del TAR

Il TAR ha respinto tutte le censure, ritenendo il provvedimento:

sufficientemente motivato con riferimento alla pericolosità sociale attuale, in base a numerosi deferimenti all’A.G.;

non soggetto a obbligo di preavviso ex art. 10-bis, trattandosi di atto vincolato per legge;

esente da vizi per mancato parere del Comitato, poiché recessivo rispetto alla valutazione di sicurezza pubblica;

non fondato sulla presunta vittima di sfruttamento lavorativo, poiché privo di elementi minimi di riscontro fattuale.


Il TAR ha inoltre revocato il patrocinio a spese dello Stato, ai sensi dell’art. 136 DPR 115/2002, per manifesta infondatezza del ricorso.

5. Spunti critici e considerazioni

La pronuncia, coerente con l’indirizzo prevalente in giurisprudenza, conferma che la valutazione sulla pericolosità sociale costituisce un limite insuperabile alla stabilizzazione del soggiorno anche in presenza di un pregresso status protetto (permesso per minore età).

Il provvedimento impugnato si configura come atto vincolato, frutto di un giudizio amministrativo autonomo e non subordinato all’esito di condanne penali definitive. È sufficiente, secondo la giurisprudenza costante, la sussistenza di fatti oggettivamente rivelatori di pericolosità sociale, anche se non sfociati in condanna.

In secondo luogo, si evidenzia come la funzione riabilitativa e protettiva del permesso per minore età tenda a svanire con la maggiore età, qualora il comportamento del soggetto ne contraddica radicalmente la finalità.

Infine, la sentenza lascia trasparire un orientamento tendenzialmente restrittivo nell’interpretazione dell’art. 18-ter TUI, la cui applicabilità resta confinata a casi strutturati e documentati di sfruttamento lavorativo, con riscontro da parte dell’autorità pubblica.

6. Conclusioni

La decisione del TAR Friuli Venezia Giulia n. 233/2025 segna un confine netto tra la tutela garantita ai minori stranieri non accompagnati e la valutazione della loro condotta al raggiungimento della maggiore età. Il sistema mostra un volto severo, che predilige l’interesse generale alla sicurezza pubblica rispetto alla prosecuzione dei percorsi individuali di regolarizzazione, soprattutto in presenza di condotte penalmente rilevanti.



Revoca nulla osta per lavoro non stagionale: legittimità confermata anche in caso di rinuncia del datore di lavoro Nota a T.A.R. Toscana, Sez. II, sent. n. 1360/2025, R.G. 716/2025, depositata il 14 luglio 2025

 Revoca nulla osta per lavoro non stagionale: legittimità confermata anche in caso di rinuncia del datore di lavoro

Nota a T.A.R. Toscana, Sez. II, sent. n. 1360/2025, R.G. 716/2025, depositata il 14 luglio 2025

Con sentenza n. 1360/2025, emessa in data 14 luglio 2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana – Sezione Seconda – ha respinto il ricorso proposto avverso la revoca del nulla osta al lavoro subordinato non stagionale disposto dallo Sportello Unico per l’Immigrazione di Arezzo, a seguito di comunicazione di rinuncia da parte del datore di lavoro.

1. I fatti di causa
Due cittadini stranieri, entrati regolarmente in Italia il 26 dicembre 2024 in forza di nulla osta rilasciati a settembre 2024, hanno impugnato i provvedimenti di revoca adottati in data 13 dicembre 2024. La revoca si fondava sulla comunicazione, da parte del datore di lavoro, della propria rinuncia all’assunzione, formalizzata con istanza del 29 novembre 2024. I ricorrenti hanno eccepito che tale rinuncia non fosse loro imputabile, ma derivasse da sopravvenute difficoltà economiche dell’impresa, intervenute nel periodo intercorrente tra la domanda e l’effettivo ingresso dei lavoratori in Italia.

2. Le argomentazioni difensive e il rigetto del ricorso
Secondo i ricorrenti, l’Amministrazione avrebbe dovuto valutare soluzioni alternative, come il subentro di un nuovo datore di lavoro o il rilascio di un permesso di soggiorno per attesa occupazione. Il T.A.R., nel pronunciarsi, ha tuttavia richiamato la giurisprudenza consolidata del Consiglio di Stato (in particolare, C.d.S., Sez. III, n. 3158/2025 e n. 4839/2025), secondo cui il permesso per attesa occupazione presuppone l’interruzione di un rapporto lavorativo effettivamente instaurato e successivamente cessato per causa non imputabile al lavoratore. Ne consegue che, in assenza della sottoscrizione del contratto di soggiorno e dell’avvio del rapporto di lavoro, la revoca del nulla osta è atto dovuto e legittimo.

3. Valutazione della condotta della P.A.
Nonostante l’ordinanza cautelare favorevole ai ricorrenti (n. 187/2025), che ordinava all’Amministrazione il deposito di una relazione istruttoria (poi non trasmessa), il Collegio ha ritenuto che la fondatezza nel merito delle deduzioni fosse comunque carente. L’obbligo della P.A. non si estende al rilascio del permesso per attesa occupazione se manca un precedente rapporto contrattuale regolarmente instaurato.

4. Conclusioni
Il ricorso è stato definitivamente respinto e le spese compensate per la natura particolare della fattispecie.


Avv. Fabio Loscerbo

giovedì 24 luglio 2025

Cittadinanza italiana e requisiti oggettivi: il TAR Friuli Venezia Giulia ribadisce l’inflessibilità su residenza legale e reddito sufficienteNota a TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, sentenza 31 maggio 2025, n. 235 – R.G. n. 00458/2024

Cittadinanza italiana e requisiti oggettivi: il TAR Friuli Venezia Giulia ribadisce l’inflessibilità su residenza legale e reddito sufficiente
Nota a TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, sentenza 31 maggio 2025, n. 235 – R.G. n. 00458/2024

Avv. Fabio Loscerbo

Il TAR Friuli Venezia Giulia, con sentenza n. 235 del 31 maggio 2025, ha rigettato il ricorso proposto da un cittadino camerunense avverso il provvedimento prefettizio di inammissibilità della domanda di cittadinanza italiana per residenza decennale (ex art. 9, co. 1, lett. f), L. 91/1992), fondato sulla mancanza di continuità anagrafica e sull’insufficienza del reddito.

1. I fatti di causa

Il ricorrente, titolare di permesso di soggiorno di lungo periodo, aveva presentato nel 2019 istanza di cittadinanza, rigettata nel 2024 per due ordini di motivi:

cancellazione anagrafica per irreperibilità dal Comune di Farra di Soligo (TV) nel gennaio 2024, e successiva iscrizione anagrafica solo a luglio dello stesso anno presso il Comune di Palmanova (UD);

insufficienza del reddito imponibile nei bienni 2021-2022, in relazione al nucleo familiare dichiarato.


2. La decisione del TAR

Il Tribunale ha dato piena ragione alla Prefettura, ritenendo legittimo il diniego per entrambe le motivazioni, con un richiamo articolato alla giurisprudenza di legittimità e di merito.

a) Continuità della residenza legale

Il TAR ha ribadito che la residenza ultradecennale deve essere:

effettiva, legalmente registrata e continuativa sin dalla presentazione della domanda e fino al giuramento;

documentata esclusivamente tramite l’iscrizione anagrafica, senza possibilità di prova alternativa.


È stato ritenuto irrilevante che il ricorrente avesse tentato di opporsi alla cancellazione anagrafica, giacché l’istanza era stata formalmente respinta dal Comune e non impugnata davanti al giudice ordinario, unico competente in materia di stato civile e residenza.

b) Requisito reddituale

Il Collegio ha riaffermato che:

la capacità reddituale è condizione essenziale per la naturalizzazione e deve sussistere sia nel triennio precedente alla domanda, sia fino al giuramento (art. 4, co. 7, DPR 572/1993);

non è ammessa alcuna deroga o giustificazione soggettiva (motivi familiari, personali o di salute) in caso di carenza reddituale, poiché la normativa richiede un dato oggettivo, documentabile e durevole.


La decisione si fonda su un consolidato orientamento che collega l’adeguatezza reddituale alla capacità del richiedente di integrarsi, contribuire al sistema fiscale e non gravare sull’erario pubblico (Cons. Stato, nn. 8042/2022; 3143/2023; TAR Lazio, V bis, n. 4309/2025).

3. Osservazioni critiche

La sentenza riflette una lettura rigorosa e formalista dei presupposti per l’accesso alla cittadinanza italiana, orientata a salvaguardare l’interesse pubblico alla coesione e sicurezza sociale. Tuttavia, si conferma ancora una volta la rigidità del sistema, incapace di valorizzare circostanze eccezionali o transitorie che possono compromettere, in modo non colpevole, uno dei due requisiti richiesti.

Il TAR si uniforma al principio secondo cui la cittadinanza non è un diritto, ma un atto discrezionale concessorio, subordinato alla verifica tecnica di condizioni predeterminate. Ne deriva una configurazione della cittadinanza come riconoscimento post-integrativo, piuttosto che come strumento per favorire l’inclusione.

4. Conclusioni

La sentenza n. 235/2025 rappresenta l’ennesima conferma dell’orientamento giurisprudenziale che reputa insuperabile la cancellazione anagrafica per irreperibilità, anche se di breve durata, e che non tollera flessioni sul piano reddituale, neppure in presenza di cause documentate.

Per i difensori e gli operatori legali, è essenziale:

vigilare sulla continuità formale dell’iscrizione anagrafica dei propri assistiti;

valutare ex ante l’effettiva sostenibilità dei parametri reddituali richiesti, sin dalla fase della domanda;

suggerire, ove vi siano elementi contestabili, un contenzioso parallelo in sede ordinaria per impugnare eventuali cancellazioni anagrafiche.





Revoca del nulla-osta e impossibilità di ottenere il permesso per attesa occupazione: legittimità confermata dal TAR Toscana Tribunale: Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana – Sezione Seconda Numero di R.G.: 116/2025 Data di emissione: 14 luglio 2025

 Revoca del nulla-osta e impossibilità di ottenere il permesso per attesa occupazione: legittimità confermata dal TAR Toscana

Tribunale: Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana – Sezione Seconda
Numero di R.G.: 116/2025
Data di emissione: 14 luglio 2025


Con la sentenza n. 1361/2025, il TAR Toscana ha respinto il ricorso presentato da un lavoratore straniero avverso il provvedimento della Prefettura di Massa Carrara che aveva disposto la revoca del nulla-osta al lavoro subordinato, negando contestualmente il rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione.

Il ricorrente si trovava in Italia a seguito di un visto di ingresso per motivi di lavoro subordinato, richiesto da un datore di lavoro che, tuttavia, successivamente alla concessione del nulla-osta, aveva manifestato la propria indisponibilità ad assumere il lavoratore, giustificando la decisione con la "mancanza di rapporto fiduciario".

Di fronte a tale rinuncia, il lavoratore aveva invocato la possibilità di ottenere un permesso per attesa occupazione, richiamando la circolare ministeriale n. 3836 del 20 agosto 2007. Secondo tale documento, sarebbe possibile richiedere il permesso anche nei casi in cui l’assunzione non si concretizzi per rinuncia del datore, purché lo Sportello Unico certifichi tale indisponibilità.

La Prefettura, tuttavia, ha rigettato tale possibilità, ritenendo che il caso in questione non rientrasse tra le ipotesi eccezionali che consentono la conversione del nulla-osta in permesso per attesa occupazione, come previsto dalla normativa vigente (ad es. morte o fallimento del datore, licenziamento del lavoratore già assunto).

Il TAR ha confermato la posizione dell’amministrazione, richiamando la giurisprudenza del Consiglio di Stato (sez. III, n. 3158/2025; n. 4839/2025), secondo cui il rilascio del permesso per attesa occupazione presuppone un rapporto di lavoro effettivamente instaurato e successivamente interrotto per cause non imputabili al lavoratore. Nel caso di specie, non essendoci mai stata la sottoscrizione del contratto di soggiorno né l’instaurazione del rapporto di lavoro, la revoca del nulla-osta è stata ritenuta conforme a legge.

Il Collegio, valutando l’assenza di colpa nel comportamento del ricorrente e la peculiarità del caso, ha comunque disposto la compensazione delle spese processuali tra le parti.


Avv. Fabio Loscerbo

mercoledì 23 luglio 2025

Il TAR FVG ribadisce la validità dell’attestazione consolare per la conversione del permesso di soggiornoTAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I – Sentenza n. 236/2025 del 31 maggio 2025, R.G. n. 131/2025

 Il TAR FVG ribadisce la validità dell’attestazione consolare per la conversione del permesso di soggiorno

TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I – Sentenza n. 236/2025 del 31 maggio 2025, R.G. n. 131/2025

Con la sentenza n. 236/2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia ha accolto il ricorso di un cittadino beninese contro il provvedimento della Questura di Udine che aveva negato la conversione del permesso di soggiorno da “minore età” a “motivi di affidamento”, per asserita mancanza di passaporto.

Il caso

Il giovane ricorrente, già beneficiario di un permesso di soggiorno per minore età e destinatario di un provvedimento del Tribunale per i Minorenni di Trieste che disponeva il prolungamento dell’affidamento ai sensi dell’art. 13, comma 2, L. 47/2017, aveva presentato istanza di conversione del titolo di soggiorno nel novembre 2023. Tuttavia, la Questura di Udine ha rigettato l’istanza, motivando che il richiedente non avrebbe fornito copia del passaporto o di documento equipollente.

La decisione del Tribunale

Il TAR ha ritenuto fondata la doglianza del ricorrente, censurando la violazione dell’art. 9, comma 3, del D.P.R. 394/1999. Tale norma consente l’utilizzo di documenti equipollenti al passaporto — quali le attestazioni consolari — purché contengano gli elementi essenziali per l’identificazione: nazionalità, data e luogo di nascita.

Nel caso concreto, il ricorrente aveva prodotto una carta d’identità consolare rilasciata dal Consolato del Benin a Venezia, accompagnata dal certificato di nascita, ed aveva dimostrato documentalmente l’impossibilità di ottenere il passaporto in Italia. Il Collegio ha sottolineato che tale documentazione soddisfa pienamente i requisiti normativi e che la mancata considerazione da parte dell’Amministrazione costituisce un vizio istruttorio e motivazionale.

Il TAR ha richiamato anche giurisprudenza conforme (TAR Veneto n. 2508/2024, TAR Emilia-Romagna n. 134/2024, TAR Lazio n. 10072/2017), che riconosce la piena validità delle attestazioni consolari nei casi di impossibilità oggettiva a ottenere un passaporto.

Chiarimenti sul ruolo del provvedimento del Tribunale per i Minorenni

Significativa è anche la precisazione del Tribunale circa la natura e la funzione del decreto del Tribunale per i Minorenni: sebbene utile ai fini della valutazione del percorso di integrazione del minore straniero, esso non sostituisce il titolo di soggiorno, che rimane soggetto all’autonoma valutazione della Questura ai sensi dell’art. 5 del T.U. Immigrazione.

Effetti della sentenza

Il provvedimento della Questura è stato annullato e l’Amministrazione dovrà riesaminare la posizione del ricorrente, conformandosi al principio secondo cui l’attestazione consolare può sostituire il passaporto nei casi di impossibilità documentata. Il TAR ha inoltre ammesso in via definitiva il ricorrente al patrocinio a spese dello Stato, con spese compensate in ragione della peculiarità della vicenda.

Considerazioni conclusive

La sentenza riafferma un principio fondamentale in materia di diritto degli stranieri: la tutela dell’integrazione e del percorso educativo del minore non accompagnato non può essere vanificata da rigidità documentali, specie quando l’interessato abbia fornito prova dell’impossibilità di ottenere un passaporto. L’attestazione consolare, in presenza di tutti i requisiti formali, deve essere considerata strumento idoneo e sufficiente per la conversione del titolo di soggiorno.

Avv. Fabio Loscerbo