L'Associazione Legali Immigrazionisti, guidata dall'Avv. Fabio Loscerbo (in foto), si configura come un centro per lo studio, l’approfondimento e la divulgazione del diritto dell'immigrazione. L’Associazione ha l’obiettivo di promuovere un’interpretazione sistematica e avanzata delle normative in materia, nonché di favorire il dibattito giuridico e l’elaborazione di soluzioni innovative nel rispetto dei diritti fondamentali.
domenica 18 maggio 2025
Ricongiungimento familiare: procedimento unitario, non spezzabile 🎧 TITOLO: Ricongiungimento familiare: procedimento unitario, non spezzabile 📎 Ordinanza Tribunale di Roma, R.G. n. 611/2025 – 7 aprile 2025 🎙️ CONTENUTO EPISODIO: Il Tribunale di Roma, con ordinanza del 7 aprile 2025, ha ribadito un principio fondamentale in tema di ricongiungimento familiare: il procedimento – articolato tra nulla osta rilasciato dallo Sportello Unico e visto consolare rilasciato dal Consolato – è unitario e progressivo. Questo significa che non può essere interrotto o spezzato arbitrariamente, soprattutto quando il nulla osta è già stato concesso e la documentazione è completa. Nel caso esaminato, riguardante figli minori, il giudice ha disposto il rilascio del visto provvisorio, riconoscendo il rischio di danno irreparabile legato alla lontananza familiare. 🎤 A cura dell’Avv. Fabio Loscerbo https://www.youtube.com/watch?v=rQt_wOWqzqE
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Ricongiungimento familiare: procedimento unitario, non spezzabile 🎧 TITOLO: Ricongiungimento familiare: procedimento unitario, non spezzabile 📎 Ordinanza Tribunale di Roma, R.G. n. 611/2025 – 7 aprile 2025 🎙️ CONTENUTO EPISODIO: Il Tribunale di Roma, con ordinanza del 7 aprile 2025, ha ribadito un principio fondamentale in tema di ricongiungimento familiare: il procedimento – articolato tra nulla osta rilasciato dallo Sportello Unico e visto consolare rilasciato dal Consolato – è unitario e progressivo. Questo significa che non può essere interrotto o spezzato arbitrariamente, soprattutto quando il nulla osta è già stato concesso e la documentazione è completa. Nel caso esaminato, riguardante figli minori, il giudice ha disposto il rilascio del visto provvisorio, riconoscendo il rischio di danno irreparabile legato alla lontananza familiare. 🎤 A cura dell’Avv. Fabio Loscerbo https://www.youtube.com/watch?v=rQt_wOWqzqE
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Il diritto al ricongiungimento familiare tra unità del procedimento e centralità del minore Nota a ordinanza del Tribunale di Roma, Sezione Immigrazione, 7 aprile 2025, R.G. n. 611/2025
Il diritto al ricongiungimento familiare tra unità del procedimento e centralità del minore
Nota a ordinanza del Tribunale di Roma, Sezione Immigrazione, 7 aprile 2025, R.G. n. 611/2025
Nel contesto delle numerose problematiche giuridiche legate al ricongiungimento familiare con cittadini stranieri residenti in Italia, l’ordinanza del Tribunale di Roma del 7 aprile 2025 (R.G. n. 611/2025) offre un’importante conferma circa il valore del diritto all’unità familiare e l’impostazione interpretativa che assume come parametro centrale l’interesse del minore.
La vicenda oggetto del provvedimento cautelare riguarda il diniego, da parte del Consolato italiano in Nigeria, dei visti per ricongiungimento familiare in favore di tre minori, nonostante fosse già intervenuto il rilascio del nulla osta da parte dello Sportello Unico per l’Immigrazione. La ricorrente aveva attivato tutte le procedure previste, incluse quelle per la verifica del DNA tramite l’IOM e la legalizzazione degli atti di nascita e dell’atto di morte del padre dei minori. Il rigetto amministrativo, comunicato mentre le istruttorie risultavano ancora formalmente aperte, ha condotto all’avvio del ricorso ex art. 700 c.p.c.
Il Tribunale ha accolto l’istanza cautelare, richiamando un orientamento consolidato della Cassazione secondo cui il procedimento di ricongiungimento è unitario e progressivo, articolato in una fase interna (rilascio del nulla osta) e una esterna (rilascio del visto consolare), che devono essere coordinate in modo coerente. La presenza del nulla osta – già favorevole – rende sproporzionato e lesivo il rigetto dei visti in assenza di motivazioni concrete e definitive.
In ordine al fumus boni iuris, il giudice ha ritenuto pienamente sufficiente la documentazione prodotta in giudizio, comprensiva di tutti gli elementi previsti dalla normativa vigente. Con riferimento al periculum in mora, il Tribunale ha ribadito come, in caso di minori, il decorso del tempo costituisca un danno irreparabile, richiamando sia precedenti giurisprudenziali dello stesso foro sia le principali fonti sovranazionali (Convenzione di New York del 1989, Convenzione europea sui diritti del fanciullo, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea).
L’ordinanza dispone quindi il rilascio immediato, seppur provvisorio, dei visti di ingresso, riaffermando implicitamente che l'interesse superiore del minore è un principio prevalente anche nei procedimenti amministrativi relativi all’immigrazione.
L’importanza della pronuncia va ben oltre il caso concreto, poiché ribadisce che l’azione consolare non può divenire un ostacolo alla tutela di un diritto soggettivo fondamentale quale l’unità familiare. Inoltre, essa richiama il dovere delle autorità amministrative di garantire coerenza tra le diverse fasi procedimentali e rispetto sostanziale della volontà normativa.
In conclusione, si tratta di un intervento giudiziario che contribuisce a colmare il frequente scollamento tra i principi dell’ordinamento e le prassi amministrative, rafforzando il ruolo della giurisdizione civile nella tutela dei diritti fondamentali delle persone straniere, in particolare quando vi siano minori coinvolti.
✍️ Avv. Fabio Loscerbo
Rigetto della Sospensiva in Materia di Conversione del Permesso di Soggiorno: Ordinanza TAR Emilia-Romagna, R.G. 492/2025 del 14 maggio 2025
Rigetto della Sospensiva in Materia di Conversione del Permesso di Soggiorno: Ordinanza TAR Emilia-Romagna, R.G. 492/2025 del 14 maggio 2025
Abstract:
Con l’ordinanza n. 492/2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia-Romagna ha rigettato l’istanza cautelare proposta da un cittadino straniero avverso il provvedimento di revoca del nulla osta alla conversione del permesso di soggiorno da stagionale a subordinato. Nonostante la difesa avesse dedotto l’esistenza di fatti sopravvenuti e straordinari (in primis, gli eventi alluvionali del 2023 in Emilia-Romagna), il Collegio ha ritenuto prevalente la valutazione negativa sulla capacità reddituale del datore di lavoro.
1. Premessa
Il procedimento nasce dall'impugnazione, da parte del lavoratore straniero, di un provvedimento della Prefettura di Bologna con cui veniva revocato il nulla osta alla conversione del permesso di soggiorno per lavoro stagionale in subordinato, motivato dalla presunta insufficienza reddituale dell’impresa agricola datrice di lavoro.
L’istanza cautelare ex art. 55 c.p.a. mirava a ottenere la sospensione del provvedimento, evidenziando da un lato la fondatezza giuridica del ricorso (fumus boni iuris) e dall’altro l’urgenza e l’irreparabilità del pregiudizio (periculum in mora).
2. Il contesto fattuale e normativo
Nel caso di specie, la revoca del nulla osta è fondata sulla mancata dimostrazione del requisito reddituale minimo, pari a 30.000 euro annui, previsto dal combinato disposto dell’art. 30-bis, comma 8, del D.P.R. 394/1999 e del D.M. 27 maggio 2020.
La difesa ha contestato la rigidità di tale valutazione, rappresentando che la difficoltà economica era frutto di eventi alluvionali che avevano colpito l’azienda agricola del datore di lavoro, compromettendone temporaneamente la produttività . A corredo veniva depositata anche una relazione geologica a firma di tecnico abilitato, attestante i danni subiti.
3. Le argomentazioni dell’Amministrazione e l’ordinanza del TAR
La Prefettura, nonostante la memoria difensiva ex art. 10-bis L. 241/1990, ha confermato la revoca del nulla osta, ritenendo non superata l'insufficienza reddituale del datore di lavoro.
Il TAR ha condiviso tale impostazione, osservando che l’insussistenza del requisito reddituale non era stata sostanzialmente contestata nella sua esistenza oggettiva, e che i fattori dedotti a giustificazione (ripresa dell’attività e eventi meteorici) non erano idonei a invalidare tale carenza.
Di conseguenza, ha respinto la richiesta di sospensione cautelare, compensando le spese della fase cautelare per la particolarità della vicenda.
4. Riflessioni critiche
L’ordinanza merita un commento critico sotto il profilo della tenuta sistemica dell’impianto normativo in tema di immigrazione e lavoro. Il rigetto della sospensiva appare in controtendenza rispetto a un orientamento giurisprudenziale consolidato (v. TAR Emilia-Romagna, ord. n. 408/2023; TAR Lecce, ord. n. 83/2025), secondo cui non è conforme al principio di proporzionalità penalizzare il lavoratore per carenze imputabili al datore di lavoro, soprattutto se temporanee e derivanti da cause di forza maggiore.
Non va dimenticato che l'art. 22 T.U. Immigrazione consente la revoca del nulla osta in caso di successiva perdita dei requisiti, il che implica anche la possibilità di concederlo in via provvisoria quando l'attività sia effettivamente in corso, come nel caso di specie.
Inoltre, la non valutazione dell’intera documentazione difensiva, che includeva dati economici aggiornati e patrimonio immobiliare del datore di lavoro, potrebbe configurare un vizio di motivazione e difetto di istruttoria in sede di giudizio di merito.
5. Conclusioni
Il caso solleva importanti interrogativi sul ruolo del giudice amministrativo nella tutela del lavoratore straniero integrato, in presenza di rigidità amministrative che non tengono conto della realtà economica dinamica né delle contingenze straordinarie. La decisione cautelare non esaurisce il merito del giudizio, che potrà ancora ribaltare l’esito, ma lancia un monito sul rischio che l’approccio meramente formale possa minare la funzione costituzionale dell’integrazione lavorativa come strumento di coesione sociale.
Avv. Fabio Loscerbo
Il diritto al ritiro temporaneo del passaporto durante la procedura di asilo: nota a Tribunale di Bologna, ordinanza n. R.G. 1222/2025 del 7 marzo 2025
Il diritto al ritiro temporaneo del passaporto durante la procedura di asilo: nota a Tribunale di Bologna, ordinanza n. R.G. 1222/2025 del 7 marzo 2025
Abstract:
Con l’ordinanza del 7 marzo 2025, il Tribunale di Bologna ha disposto la restituzione temporanea del passaporto a un richiedente protezione internazionale, pur in pendenza della procedura, al fine di consentirgli operazioni bancarie e il rinnovo del documento presso le autorità consolari. La decisione chiarisce il bilanciamento tra l’obbligo di consegna del passaporto ex art. 11 del D.lgs. 25/2008 e il diritto del richiedente ad avere accesso a strumenti essenziali di identificazione per esigenze concrete e documentate.
1. Introduzione
Il caso deciso dal Tribunale di Bologna concerne un aspetto operativo e delicato della procedura di protezione internazionale: la possibilità per il richiedente di rientrare temporaneamente in possesso del proprio passaporto, già consegnato alla Questura, in pendenza della domanda di asilo.
2. Il contesto normativo: art. 11 D.lgs. 25/2008
L’articolo 11, comma 1 del D.lgs. 25/2008 stabilisce l’obbligo per il richiedente asilo di consegnare il passaporto alle autorità competenti. Tale disposizione è finalizzata a garantire l’identificazione del soggetto e a impedire l’uso di documenti validi per espatriare durante la procedura. Tuttavia, non si configura come un divieto assoluto di utilizzo temporaneo del documento per finalità amministrative o personali non incompatibili con la procedura in corso.
3. Le esigenze del ricorrente
Nel caso in esame, il richiedente aveva documentato la necessità di utilizzare il passaporto — seppure scaduto — per due finalità legittime:
-
Chiudere una carta prepagata presso un istituto bancario che richiedeva un documento d’identità in originale e in corso di validità ;
-
Rinnovare il passaporto presso il consolato del Paese d’origine, procedura che presuppone la consegna fisica del documento scaduto.
4. La motivazione del Tribunale
Il Tribunale ha ritenuto che l’obbligo di consegna non impedisca l’uso temporaneo del documento qualora esistano esigenze concrete e non abusive. In particolare, ha rilevato che il passaporto è indispensabile per il rinnovo stesso e che, una volta utilizzato per lo scopo dichiarato, il ricorrente ha l’obbligo di riconsegnarlo alla Questura.
La pronuncia sottolinea inoltre che tali necessità rientrano nei limiti del principio di collaborazione e buona fede che governa l’intera procedura di protezione internazionale.
5. Decisione finale e spese
Il Giudice ha accolto l’istanza cautelare e disposto la restituzione del passaporto, precisando che il nuovo documento — una volta ottenuto — dovrà essere riconsegnato alle autorità . Le spese di lite sono state compensate, considerata la particolarità della questione e l’assenza di una resistenza attiva da parte della Pubblica Amministrazione.
6. Conclusioni
Questa ordinanza si colloca all’interno di un orientamento giurisprudenziale volto a garantire un’interpretazione flessibile e proporzionata degli obblighi imposti al richiedente asilo. Essa riafferma che i diritti fondamentali e le esigenze pratiche della vita quotidiana — come l’identificazione presso terzi — devono trovare spazio anche all’interno del procedimento amministrativo di protezione, purché nel rispetto della legalità .
Avv. Fabio Loscerbo
Il diritto alla protezione speciale fondato sulla vita familiare: nota a Tribunale di Bologna, sentenza n. R.G. 8636/2023 del 16 aprile 2025
Il diritto alla protezione speciale fondato sulla vita familiare: nota a Tribunale di Bologna, sentenza n. R.G. 8636/2023 del 16 aprile 2025
Abstract:
Il Tribunale di Bologna ha riconosciuto il diritto alla protezione speciale ex art. 19, comma 1.1, del Testo Unico Immigrazione, in applicazione della disciplina previgente al D.L. 20/2023, valorizzando il radicamento familiare e sociale della ricorrente, cittadina straniera madre e moglie convivente, priva di attività lavorativa ma inserita in un contesto familiare stabile e regolare. La sentenza si inserisce nel solco tracciato dalla giurisprudenza nazionale e della Corte EDU sul bilanciamento tra diritto alla vita privata e familiare e interesse statale all’allontanamento dello straniero.
1. Introduzione
La sentenza del Tribunale di Bologna (R.G. 8636/2023, depositata il 16 aprile 2025) affronta con lucidità il tema della protezione speciale nel quadro dell’art. 19 TUI (Testo Unico Immigrazione), nella formulazione anteriore alla riforma introdotta dal D.L. 20/2023, convertito nella L. 50/2023. La vicenda ruota attorno al rigetto del rinnovo del permesso di soggiorno per protezione speciale opposto da una cittadina straniera, madre di due figli minori e coniugata con un titolare di analogo permesso.
2. Il quadro normativo di riferimento
La disciplina applicabile ratione temporis è quella introdotta dal D.L. 130/2020. Essa prevede, accanto ai casi classici di rischio di tortura o trattamenti inumani, anche la tutela del diritto alla vita privata e familiare dello straniero, mutuata dall’art. 8 CEDU. È proprio su questa seconda ipotesi di protezione che si incentra la pronuncia in commento.
3. Le risultanze istruttorie
Dall’istruttoria emerge una situazione chiara: la ricorrente, pur non lavorando, è stabilmente inserita in Italia da oltre sei anni, si occupa dei figli minori e della gestione familiare, vive in un’abitazione regolare con contratto intestato al marito e partecipa in modo attivo alla vita scolastica dei figli. Il marito è titolare di un contratto di lavoro a tempo indeterminato e di un permesso di soggiorno per protezione speciale.
4. La motivazione del Tribunale
Il Tribunale ha escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sotto il profilo del rischio di persecuzione o trattamenti inumani, ma ha accolto il ricorso alla luce del diritto al rispetto della vita familiare.
Particolarmente rilevante è il richiamo alla giurisprudenza della Corte EDU, che ha progressivamente ampliato il concetto di “vita familiare”, includendo situazioni di fatto e valutando in concreto la proporzionalità dell’allontanamento rispetto ai legami familiari instaurati. Il Tribunale si richiama espressamente alla sentenza della Cassazione n. 7167/2024, che riconosce il diritto alla protezione speciale anche in assenza di integrazione lavorativa, qualora sussistano concreti legami familiari.
5. Considerazioni sulla valutazione del radicamento
La sentenza sottolinea come la protezione speciale non sia subordinata alla cumulatività dei requisiti di integrazione sociale e lavorativa, ma possa fondarsi su uno solo di essi. In questo caso, il radicamento familiare, comprovato da convivenza, cura dei figli, conoscenza della lingua e stabilità abitativa, risulta decisivo per impedire il rimpatrio.
Il Tribunale ha inoltre chiarito che i legami mantenuti nel Paese d’origine (con genitori e sorella) non assumono rilevanza preclusiva, in assenza di elementi di dipendenza tali da costituire ostacolo all’integrazione familiare in Italia, secondo i parametri tracciati dalla Corte EDU.
6. La disciplina transitoria e gli effetti del permesso
Infine, è stato ribadito che, in forza dell’art. 7, comma 2, del D.L. 20/2023, la domanda della ricorrente – essendo stata proposta in data anteriore all’entrata in vigore del decreto – deve essere esaminata secondo la disciplina previgente. Pertanto, il permesso da rilasciarsi ha durata biennale, è rinnovabile e convertibile in permesso di soggiorno per motivi di lavoro.
7. Conclusioni
La decisione si distingue per rigore giuridico e coerenza con l’evoluzione normativa e giurisprudenziale in tema di protezione speciale. Essa riafferma che il diritto al rispetto della vita familiare può costituire autonomamente causa di protezione, anche in assenza di altri indici di vulnerabilità , a condizione che vi sia un radicamento affettivo effettivo e dimostrato.
Si tratta di un principio destinato a incidere profondamente sulle valutazioni amministrative e giudiziali, imponendo un approccio casistico e rispettoso della dimensione relazionale del migrante, in linea con i vincoli internazionali assunti dall’Italia.
Avv. Fabio Loscerbo
sabato 10 maggio 2025
Revoca del permesso UE per soggiornanti di lungo periodo: esclusa la tutela dei legami familiari in caso di condanna per maltrattamenti e denuncia per stalking
Revoca del permesso UE per soggiornanti di lungo periodo: esclusa la tutela dei legami familiari in caso di condanna per maltrattamenti e denuncia per stalking
In presenza di gravi condanne penali e denunce da parte dei familiari, il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo può legittimamente essere revocato, anche in presenza di un nucleo familiare residente in Italia. È quanto ribadito da una recente giurisprudenza amministrativa secondo cui la condanna per maltrattamenti in famiglia, associata a una denuncia per atti persecutori sporta dalla moglie e dai figli, è sufficiente a escludere l'invocabilità della tutela del diritto all’unità familiare.
Il permesso UE per lungo soggiornanti garantisce allo straniero una particolare stabilità , ma non è immune da revoca in caso di condotte che ledano l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato. In casi del genere, l’amministrazione è tenuta a effettuare un bilanciamento tra l’interesse pubblico alla revoca e gli interessi individuali del richiedente, tra cui i legami familiari. Tuttavia, quando il vincolo familiare stesso è fonte di pericolo o sofferenza per i suoi membri, tale bilanciamento risulta di fatto già compromesso.
Nel caso specifico, il richiedente aveva invocato la tutela del suo radicamento familiare, sostenendo la presenza stabile della moglie e dei figli sul territorio nazionale. Tuttavia, proprio gli stessi soggetti avevano richiesto l’intervento dell’autorità giudiziaria per violenze domestiche e atti persecutori, fatti culminati in una condanna definitiva. Ciò ha portato l’amministrazione a disporre la revoca del titolo, ritenendo prevalente la necessità di garantire la sicurezza delle vittime e dell’interesse pubblico alla prevenzione.
Questa linea interpretativa si colloca nel solco tracciato dalla Corte di Cassazione e dai Tribunali Amministrativi, secondo cui la tutela dei legami familiari non può essere invocata in modo strumentale da chi ha reso quel legame un veicolo di violenza.
Avv. Fabio Loscerbo
La tutela del radicamento del cittadino straniero e il rilascio della protezione speciale: commento alla sentenza del Tribunale di Bologna, R.G. 5453/2023, del 16 aprile 2025
La tutela del radicamento del cittadino straniero e il rilascio della protezione speciale: commento alla sentenza del Tribunale di Bologna, R.G. 5453/2023, del 16 aprile 2025
Articolo a cura dell’Avv. Fabio Loscerbo
La sentenza emessa in data 16 aprile 2025 dal Tribunale di Bologna (R.G. 5453/2023) rappresenta un esempio puntuale di applicazione coerente della normativa sulla protezione speciale di cui all’art. 19 del Testo Unico Immigrazione, nella versione vigente antecedente al D.L. 20/2023, in relazione ad una fattispecie caratterizzata da una forte integrazione personale, lavorativa e familiare del ricorrente nel contesto italiano.
Il ricorrente, cittadino marocchino stabilitosi in Italia dal 2021, aveva impugnato il provvedimento della Questura di Bologna che rigettava l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per protezione speciale. Il rigetto era stato notificato dopo un lungo periodo di attesa, durante il quale il ricorrente aveva consolidato in maniera significativa il proprio percorso di integrazione nel territorio italiano.
Il Tribunale, nel riconoscere la fondatezza del ricorso, ha ricostruito il quadro di fatto e giuridico con rigore istruttorio. Dall’audizione personale del ricorrente è emersa la costanza di una vita autonoma, fondata su un contratto di lavoro a tempo indeterminato, una retribuzione stabile, l’apprendimento della lingua italiana e la partecipazione alla vita sociale attraverso attività sportive. Il collegio ha inoltre valorizzato la presenza di legami familiari stabili con il padre, la sorella e altri parenti conviventi, con i quali il ricorrente divideva le spese domestiche contribuendo anche al sostegno dei familiari rimasti in patria.
Sul piano giuridico, il Tribunale ha ribadito l’applicabilità della versione dell’art. 19, comma 1.1, TUI previgente al D.L. 20/2023, richiamando la giurisprudenza della Corte di Cassazione e della Corte EDU secondo cui il diritto alla vita privata e familiare – come declinato dall’art. 8 CEDU – impone un serio bilanciamento tra l’interesse pubblico all’allontanamento e quello individuale al mantenimento del radicamento acquisito.
L’esame del collegio ha messo in luce come l’attività lavorativa e la stabilità abitativa costituiscano elementi centrali del diritto alla vita privata, e che la perdita di tale stabilità avrebbe determinato una grave compromissione dei diritti fondamentali del ricorrente, in assenza di qualunque esigenza di sicurezza pubblica o sanitaria tale da giustificare l’espulsione.
In conclusione, la sentenza ha disposto il rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale con durata biennale, rinnovabile e convertibile in permesso per lavoro, applicando espressamente il regime giuridico antecedente al “Decreto Cutro”, e riconoscendo il diritto soggettivo del ricorrente alla permanenza sul territorio italiano.
Questo provvedimento si inserisce in un filone giurisprudenziale che, con crescente coerenza, riconosce come la protezione speciale non sia un’eccezione, ma uno strumento ordinario di tutela del principio personalista e solidaristico dell’ordinamento italiano, soprattutto quando è in gioco l’identità , la dignità e il percorso di vita di chi ha costruito in Italia il proprio futuro.
Avv. Fabio Loscerbo
sabato 3 maggio 2025
La tutela cautelare dell’integrazione sociale nella protezione speciale: decreto di sospensione – R.G. 4598-1/2025, Tribunale di Brescia, 29 aprile 2025
La tutela cautelare dell’integrazione sociale nella protezione speciale: decreto di sospensione – R.G. 4598-1/2025, Tribunale di Brescia, 29 aprile 2025
Con decreto del 29 aprile 2025, il Tribunale di Brescia ha
sospeso l’efficacia esecutiva di un provvedimento di rigetto di
domanda per protezione speciale, ravvisando l’esistenza del fumus
boni iuris e del periculum in mora, alla luce della
documentazione comprovante l’inserimento socio-lavorativo del
ricorrente. Il caso ribadisce la centralità del principio di
radicamento sociale ai fini della tutela cautelare del diritto al
soggiorno.
La decisione del Tribunale Ordinario di Brescia – Sezione specializzata in materia d’immigrazione – con decreto cautelare emesso nel procedimento R.G. 4598-1/2025, offre un’importante conferma dell’orientamento giurisprudenziale che riconosce il valore protettivo dell’integrazione sociale nell’ambito della protezione speciale, anche in sede cautelare.
Il ricorrente, cittadino marocchino stabilitosi in Italia nel 2020, aveva presentato istanza di rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale ai sensi dell’art. 19 D.Lgs. 286/1998, corredata da documentazione volta a dimostrare un percorso effettivo di integrazione sociale, abitativa e lavorativa.
Tra gli elementi rilevanti prodotti in giudizio figuravano:
contratto di locazione regolarmente registrato e certificato di residenza;
contratto di lavoro a tempo indeterminato con la medesima impresa per cui aveva precedentemente lavorato a tempo determinato;
certificazione reddituale e previdenziale dimostrativa dell’autosufficienza economica.
Nonostante tali elementi, la Questura aveva rigettato l’istanza, decisione poi impugnata con richiesta contestuale di sospensione cautelare dell’efficacia esecutiva.
Il giudice ha ritenuto sussistenti i presupposti per la sospensione, evidenziando in particolare:
il fumus boni iuris, fondato sull’avvio e la prosecuzione di un rapporto lavorativo stabile a tempo indeterminato, nonché sulla documentazione che conferma l’integrazione del ricorrente nella realtà locale;
il periculum in mora, identificato nel concreto rischio di rimpatrio del ricorrente prima della definizione del giudizio di merito, con conseguente perdita del posto di lavoro e interruzione del processo di inserimento sociale.
Il provvedimento richiama gli artt. 19-ter e 5, comma 2, del D.Lgs. 150/2011, e si inserisce in un solco giurisprudenziale ormai consolidato che considera la permanenza stabile e l’integrazione socio-lavorativa come parametri rilevanti per la concessione di misure cautelari.
Il decreto cautelare emesso dal Tribunale di Brescia riafferma la funzione protettiva dell’art. 19, comma 1.1 del Testo Unico Immigrazione, in armonia con l’art. 8 della CEDU, riconoscendo tutela giurisdizionale immediata e concreta alla persona straniera che abbia stabilito un legame effettivo con il territorio nazionale. La decisione rafforza l’idea che l’integrazione costituisca non solo un fatto sociale, ma anche un valore giuridico idoneo a fondare pretese soggettive in sede cautelare e di merito.
Avv. Fabio Loscerbo
La tutela del radicamento come diritto soggettivo alla protezione speciale Tribunale di Bologna – Sentenza n. R.G. 12304/2023, emessa il 15 aprile 2025
La tutela del radicamento come diritto soggettivo alla protezione speciale
Tribunale di Bologna – Sentenza n. R.G. 12304/2023, emessa il 15 aprile 2025
Con la sentenza n. R.G. 12304/2023, il Tribunale di Bologna ha
accolto il ricorso avverso il diniego di rilascio del permesso di
soggiorno per protezione speciale, evidenziando la centralità del
principio del radicamento sociale e affettivo del cittadino straniero
come limite al potere di allontanamento dello Stato. Il Collegio ha
ritenuto che l’espulsione avrebbe comportato una violazione del
diritto al rispetto della vita privata e familiare, ai sensi
dell’art. 8 CEDU e dell’art. 19, co. 1.1, del T.U.I., nella
formulazione previgente al D.L. 20/2023.
La sentenza in commento offre una puntuale e motivata ricostruzione del perimetro applicativo della protezione speciale nel sistema italiano, nella sua formulazione risultante dalla riforma introdotta con il D.L. 130/2020, convertito con L. 173/2020, e prima delle restrizioni introdotte dal c.d. Decreto Cutro. Il Tribunale ha riconosciuto il diritto soggettivo del ricorrente – cittadino tunisino giunto in Italia nel 2021 – ad ottenere un permesso di soggiorno per protezione speciale a fronte del rischio concreto di violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare in caso di rimpatrio.
La domanda, presentata il 2 agosto 2022, era stata rigettata dalla Questura di Bologna sulla base del parere negativo della Commissione territoriale. Tuttavia, il Collegio ha ritenuto fondate le doglianze del ricorrente, osservando che egli aveva instaurato un percorso di integrazione effettivo e duraturo: attività lavorativa documentata e regolarizzata, trasformazione del contratto in tempo indeterminato, autonomia abitativa, legami sociali e affettivi stabili, nonché un progressivo affievolimento dei legami con il Paese d’origine.
Particolare rilievo assume il riferimento all’art. 19, co. 1.1, TUI, che impone un bilanciamento tra il diritto dello straniero alla tutela della propria vita privata e familiare e le esigenze di sicurezza nazionale. In assenza di concrete e specifiche esigenze pubbliche ostative – che nel caso concreto non risultavano sussistere – il Tribunale ha affermato che l’allontanamento avrebbe comportato uno “sradicamento” incompatibile con la tutela dei diritti fondamentali dell’interessato.
La sentenza valorizza la giurisprudenza della Corte di Cassazione (in particolare Cass. SS.UU. n. 24413/2021) e della Corte EDU (in primis Narjis c. Italia), riconoscendo che il radicamento personale, professionale e sociale in Italia costituisce un limite all’espulsione e un fondamento autonomo della protezione speciale.
Da un punto di vista procedurale, è rilevante anche il passaggio in cui il Collegio accoglie l’istanza di rimessione in termini per il deposito del ricorso oltre il termine, riconoscendo la violazione dell’art. 13, co. 7, TUI per omessa traduzione del provvedimento impugnato in una lingua comprensibile al ricorrente.
Il Tribunale ha riconosciuto il diritto del ricorrente al rilascio di un permesso di soggiorno biennale per protezione speciale, rinnovabile e convertibile in permesso per motivi di lavoro. La sentenza si inserisce nel solco di un’interpretazione costituzionalmente orientata del diritto dell’immigrazione, in cui l’integrazione sociale assume valore giuridico e non solo fattuale. La tutela dei diritti umani fondamentali – in primis il diritto all’identità e alla dignità personale – viene dunque riaffermata come fondamento del sistema di accoglienza e di inclusione.
Avv. Fabio Loscerbo
La nozione di radicamento e il diritto al rispetto della vita privata e familiare nella protezione speciale – Tribunale di Firenze, Sentenza n. R.G. 61/2023 del 30 aprile 2025
La nozione di radicamento e il diritto al rispetto della vita privata e familiare nella protezione speciale – Tribunale di Firenze, Sentenza n. R.G. 61/2023 del 30 aprile 2025
Con la sentenza n. R.G. 61/2023 del 30 aprile 2025, il
Tribunale di Firenze ha accolto il ricorso di un cittadino straniero
cui era stata rigettata la domanda di protezione internazionale per
manifesta infondatezza, riconoscendogli il diritto al rilascio del
permesso di soggiorno per protezione speciale. La decisione si fonda
sull’accertamento di un concreto radicamento socio-lavorativo in
Italia e sulla conseguente applicazione dell’art. 19, comma 1.1,
del Testo Unico Immigrazione, interpretato alla luce della
giurisprudenza CEDU.
La pronuncia emessa dal Tribunale di Firenze il 30 aprile 2025, n. R.G. 61/2023, costituisce un esempio esemplare dell’evoluzione giurisprudenziale italiana in materia di protezione speciale, alla luce del diritto europeo e delle più recenti modifiche normative.
Nel caso esaminato, il ricorrente, cittadino marocchino, aveva inizialmente presentato domanda di protezione internazionale, rigettata in via amministrativa per manifesta infondatezza. In sede giudiziale, il ricorrente ha abbandonato la richiesta di status di rifugiato e protezione sussidiaria, insistendo per il solo riconoscimento della protezione speciale, allegando una documentazione comprovante un percorso di integrazione socio-lavorativa stabile e duraturo.
Il Tribunale, ritenendo ormai cristallizzate le valutazioni della Commissione in merito alla protezione internazionale, ha concentrato l’analisi sulla sussistenza dei presupposti per la protezione speciale, ai sensi dell’art. 19, comma 1.1, D.Lgs. 286/98, nella formulazione risultante dalla L. 173/2020. Tale norma prevede un divieto di espulsione o respingimento ogniqualvolta l’allontanamento possa comportare una violazione del diritto alla vita privata e familiare.
Significativo è l’uso, da parte del Collegio, della nozione di "radicamento sociale e familiare", utilizzata come parametro decisivo per la concessione della protezione. La decisione richiama esplicitamente la giurisprudenza della Corte EDU, in particolare il caso Narjis c. Italia, per affermare che anche in assenza di vincoli familiari tradizionali, la rete di relazioni sociali e lavorative costituisce espressione della vita privata protetta dall’art. 8 CEDU.
Nel caso concreto, il ricorrente aveva stipulato un contratto di apprendistato a tempo indeterminato, seguito corsi di lingua italiana e formazione professionale nel settore edilizio, e risultava pienamente inserito nel tessuto sociale fiorentino. Di contro, il rientro in patria non avrebbe garantito pari condizioni di inserimento, in quanto mancava ogni legame effettivo con la comunità d’origine.
Il Tribunale ha sottolineato come il bilanciamento richiesto dalla norma non si fondi su un confronto astratto tra ordinamenti, ma su un’analisi concreta della vulnerabilità derivante dalla perdita del proprio habitat relazionale in Italia.
La decisione si conclude con il riconoscimento della protezione
speciale per due anni, con possibilità di conversione in permesso
per motivi di lavoro, secondo la normativa vigente, e con la
compensazione delle spese di lite in ragione della sopravvenienza
delle circostanze emerse solo in giudizio.
Questa sentenza si
inserisce nel solco di un’interpretazione costituzionalmente
orientata dell’art. 19, comma 1.1, TUI, valorizzando la centralitÃ
dell’integrazione e del radicamento personale quali elementi
autonomi e rilevanti per la tutela dello straniero, anche al di fuori
dei presupposti classici della protezione internazionale.
Avv. Fabio Loscerbo
domenica 27 aprile 2025
Regolarizzazione 2020: Il Consiglio di Stato valorizza la tutela sostanziale dello straniero
Regolarizzazione 2020: Il Consiglio di Stato valorizza la tutela sostanziale dello straniero
Due recenti e importanti pronunce del Consiglio di Stato contribuiscono a chiarire il corretto approccio alla regolarizzazione dei lavoratori stranieri prevista dall’art. 103 del D.L. n. 34/2020, convertito con modificazioni nella legge 17 luglio 2020, n. 77.
Si tratta di decisioni fondamentali che riaffermano un principio essenziale: quando l'irregolarità formale che ostacola la procedura non è imputabile allo straniero, ma deriva da carenze o omissioni imputabili al datore di lavoro o all'amministrazione, il lavoratore conserva il diritto ad ottenere un permesso di soggiorno.
Il primato dei presupposti sostanziali
Con la sentenza n. 3643 del 22 aprile 2024, il Consiglio di Stato ha affermato che il rigetto di una domanda di regolarizzazione, basato su meri profili formali non imputabili al lavoratore, senza un'adeguata verifica della sussistenza sostanziale dei requisiti, comporta una frustrazione irragionevole dell’interesse pubblico primario alla regolarizzazione dei lavoratori stranieri.
Il giudice amministrativo richiama il vincolo di ragionevolezza che deve guidare anche il legislatore nella disciplina della materia, sottolineando che:
-
la regolarizzazione persegue interessi pubblici essenziali, legati sia alla tutela dei diritti fondamentali sia alla funzionalità del mercato del lavoro e dell’economia;
-
lo straniero che ha dimostrato un inserimento sociale e lavorativo effettivo, in assenza di elementi di pericolosità sociale, non può essere penalizzato per irregolarità procedurali a lui non imputabili.
L'interpretazione funzionale e costituzionalmente orientata delle norme impone quindi che, in casi del genere, si riconosca comunque il diritto del lavoratore a vedere tutelata la propria posizione.
Il diritto al permesso per "attesa occupazione"
Una conseguenza pratica di questo orientamento è che, anche in presenza di irregolarità riferibili esclusivamente al datore di lavoro, il cittadino straniero mantiene il diritto a ottenere il permesso di soggiorno per attesa occupazione.
Si evita così che l'interesse legittimo protetto dall’ordinamento venga frustrato per motivi meramente formali.
La conferma: la sentenza n. 7757 del 24 settembre 2024
Con la sentenza n. 7757 del 24 settembre 2024, il Consiglio di Stato ha ribadito e rafforzato questi principi.
In particolare, ha affermato che non solo il datore di lavoro, ma anche il lavoratore straniero ha diritto a partecipare pienamente al procedimento amministrativo, ricevendo le necessarie comunicazioni di garanzia ex legge 241/1990.
La posizione del lavoratore è qualificata e differenziata, perché:
-
è coinvolto direttamente nella stipula del contratto di soggiorno;
-
è destinatario della richiesta di permesso di soggiorno subordinato alla procedura di emersione;
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partecipa attivamente a tutto il procedimento, a partire dalla verifica di ammissibilità della domanda presso lo Sportello Unico.
Questa impostazione restituisce centralità alla persona straniera nel procedimento di regolarizzazione, in linea con i principi costituzionali di uguaglianza e tutela dei diritti fondamentali.
Conclusioni
Le sentenze del Consiglio di Stato rappresentano un importante passo avanti nel riconoscimento del ruolo e dei diritti dei lavoratori stranieri all'interno del procedimento di regolarizzazione del 2020.
Esse riaffermano che la tutela dei diritti fondamentali non può essere subordinata a formalismi procedurali e che l'amministrazione deve sempre operare in modo ragionevole, equo e funzionale agli interessi pubblici perseguiti dalla legge.
Il principio è chiaro: dove sussistono i presupposti sostanziali, il diritto dello straniero deve essere riconosciuto.
Avv. Fabio Loscerbo
Email: avv.loscerbo@gmail.com
PEC: avv.loscerbo@ordineavvocatibopec.it
Telefono: +39 334 1675274
Sito ufficiale: www.avvocatofabioloscerbo.it
Ho pubblicato il mio nuovo libro: "La Protezione Complementare: Giurisprudenza Anno 2024"
Ho pubblicato il mio nuovo libro: "La Protezione Complementare: Giurisprudenza Anno 2024"
Negli ultimi anni, la protezione complementare è diventata uno degli strumenti più importanti nella tutela dei diritti fondamentali dei cittadini stranieri.
Come avvocato da sempre impegnato nella difesa dei richiedenti protezione, ho sentito l’esigenza di raccogliere e analizzare in modo sistematico la giurisprudenza più recente su questa materia.
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Avv. Fabio Loscerbo
giovedì 24 aprile 2025
Tutela dell’unità familiare e carta di soggiorno per ex coniuge: la nozione estensiva di “familiare” alla luce della sentenza del Tribunale di Bologna del 2 ottobre 2024
Tutela dell’unità familiare e carta di soggiorno per ex coniuge: la nozione estensiva di “familiare” alla luce della sentenza del Tribunale di Bologna del 2 ottobre 2024
Avv. Fabio Loscerbo
Foro di Bologna
La sentenza del Tribunale di Bologna del 2 ottobre 2024 affronta un tema giuridico di particolare attualità e rilievo: la possibilità di riconoscere il diritto al rilascio della carta di soggiorno per familiare di cittadino dell’Unione europea anche in favore dell’ex coniuge che versi in una condizione di grave vulnerabilità e riceva assistenza stabile e continuativa da parte del cittadino UE.
Il caso
Il ricorrente, cittadino straniero residente in Italia dal 1989, aveva contratto matrimonio con una cittadina dell’Unione europea, con la quale aveva avuto due figli. In seguito al divorzio, era sopravvenuta una grave condizione di invalidità , con l’insorgenza di patologie altamente debilitanti. In tale contesto, il rapporto con l’ex moglie si era trasformato nuovamente in una relazione stabile di convivenza e assistenza, in cui la donna rappresentava l’unico supporto economico e materiale del ricorrente.
A fronte di una situazione di evidente dipendenza, il cittadino straniero presentava istanza per il rilascio della carta di soggiorno per familiare di cittadino UE ai sensi dell’art. 10 del D.Lgs. 30/2007. La Questura, tuttavia, rigettava la richiesta, ritenendola irricevibile per insussistenza del rapporto di coniugio.
Il quadro normativo e giurisprudenziale
Il Tribunale di Bologna, con un’accurata ricostruzione del quadro normativo nazionale ed eurounitario, ha riconosciuto il diritto del ricorrente al rilascio del titolo di soggiorno, valorizzando una lettura estensiva e costituzionalmente orientata dell’art. 3, comma 2, della Direttiva 2004/38/CE e del corrispondente art. 3 del D.Lgs. 30/2007.
Secondo tali norme, gli Stati membri devono “agevolare” l’ingresso e il soggiorno di ogni altro familiare che non rientri nella definizione ristretta dell’art. 2, ma che conviva con il cittadino UE o sia da questi assistito per gravi motivi di salute.
Richiamando il fondamentale considerando n. 6 della direttiva, che sancisce l’obiettivo di “preservare l’unità della famiglia in senso più ampio”, il Tribunale ha fatto leva sul principio dell’interpretazione funzionale e teleologica del diritto dell’Unione, avvalorata anche dalla sentenza della Corte di Giustizia UE, causa C-22/21 (SRS) del 15 settembre 2022.
La nozione ampia di “familiare”
La Corte di Giustizia ha chiarito che rientra nella categoria di cui all’art. 3, comma 2, chi intrattenga un rapporto di dipendenza stabile e personale con il cittadino UE, sviluppatosi in un contesto familiare e non meramente convivenziale. Non rileva, in altri termini, la qualifica giuridica del legame, quanto piuttosto la concretezza della relazione di assistenza e coesione domestica.
Il Tribunale di Bologna, sulla base di questa autorevole interpretazione, ha dunque riconosciuto il diritto del ricorrente alla carta di soggiorno, ribadendo che la convivenza e l’assistenza ricevuta dall’ex coniuge costituiscono requisiti sufficienti, alla luce della ratio della normativa UE, finalizzata alla protezione della vita familiare anche in situazioni atipiche e vulnerabili.
Conclusioni
La decisione si inserisce in una progressiva evoluzione giurisprudenziale volta a superare l’approccio formalistico alla nozione di “familiare” nei rapporti tra cittadini di Paesi terzi e cittadini dell’Unione. Essa afferma con forza un principio di solidarietà familiare sostanziale, che tiene conto delle reali dinamiche affettive, assistenziali e sociali all’interno del nucleo, anche al di fuori del vincolo coniugale.
In un contesto normativo che richiede flessibilità e attenzione ai diritti fondamentali della persona, la pronuncia del Tribunale di Bologna merita di essere segnalata per la capacità di coniugare legalità , umanità e tutela della dignità individuale.
sabato 19 aprile 2025
Accoglimento della misura cautelare in materia di protezione speciale – Tribunale di Torino, decreto del 11 aprile 2025, R.G. 6600/2025
Accoglimento della misura cautelare in materia di protezione speciale – Tribunale di Torino, decreto del 11 aprile 2025, R.G. 6600/2025
Autore: Avv. Fabio Loscerbo
Introduzione
Con provvedimento del 11 aprile 2025, il Tribunale Ordinario di Torino – Nona Sezione Civile – ha accolto l’istanza cautelare proposta nell’ambito di un procedimento promosso ai sensi dell’art. 281 undecies c.p.c., disponendo la sospensione dell’efficacia esecutiva di un provvedimento amministrativo di rigetto concernente una richiesta di permesso di soggiorno per protezione speciale.
Il caso riveste interesse per due ordini di motivi: da un lato per l’immediato ripristino delle condizioni giuridiche del ricorrente sul territorio nazionale mediante la restituzione della ricevuta del titolo di soggiorno, dall’altro per la conferma dell’applicabilità del rito semplificato di cognizione ai procedimenti in materia di immigrazione ai sensi dell’art. 19 del D.Lgs. 286/98.
Il quadro fattuale e normativo
La vicenda prende le mosse dal rigetto di una domanda di permesso per protezione speciale ex art. 19, comma 1.1, TUI. Il provvedimento amministrativo impugnato veniva ritenuto viziato dalla difesa del ricorrente, sia per carenza motivazionale, sia per l’assenza di una adeguata valutazione delle circostanze personali e familiari, documentate con allegazioni successive al deposito della domanda.
In parallelo, il ricorrente aveva attivato un percorso d’integrazione lavorativa e abitativa documentato, corredato da buste paga, contratto di apprendistato e residenza stabile in Italia. L’effettiva attivazione dell’inserimento socio-lavorativo ha costituito elemento centrale nella valutazione del giudice.
In questo contesto è stato attivato il rito semplificato di cognizione previsto dagli articoli 281 decies e ss. c.p.c., con contestuale istanza cautelare volta a sospendere l’efficacia del rigetto.
La motivazione del Tribunale
Nel provvedimento dell’11 aprile 2025, il Collegio – composto dai magistrati Dott. Andrea Natale (Presidente), Dott.ssa Silvia Carosio e Dott.ssa Sara Perlo – ha ritenuto, “sulla base dei documenti depositati e di una valutazione meramente sommaria qual è quella che tipicamente connota la presente fase,” di dover accogliere l’istanza di sospensiva.
Conseguentemente, è stata disposta la sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato e il diritto del ricorrente ad ottenere dalla Questura competente la restituzione della ricevuta del titolo di soggiorno provvisorio.
Inoltre, è stata fissata udienza di comparizione delle parti, ai sensi dell’art. 281 undecies c.p.c., per il giorno 22 ottobre 2025.
Rilievi critici e riflessioni
Il decreto in esame si inserisce in una ormai consolidata giurisprudenza di merito che riconosce la centralità del diritto al rispetto della vita privata e familiare nei giudizi relativi alla protezione speciale. È altresì significativo il richiamo, implicito ma evidente, al principio del favor integrazione, quale criterio ermeneutico per la tutela effettiva dei diritti fondamentali degli stranieri regolarmente integrati sul territorio nazionale.
L’adozione di una misura cautelare urgente, in attesa della definizione del merito, si rivela funzionale alla tutela dei diritti sociali ed economici del ricorrente, evitando effetti pregiudizievoli irreversibili legati all’esecuzione di un provvedimento di rigetto (es. licenziamento, espulsione, perdita della rete familiare e abitativa).
Conclusioni
Il decreto del Tribunale di Torino delinea una prassi virtuosa nell’utilizzo degli strumenti del processo civile semplificato per garantire una tutela rapida ed effettiva in materia di immigrazione. La sospensione della decisione amministrativa fino alla definizione della controversia si pone a presidio del principio di proporzionalità e del diritto al soggiorno temporaneo nei casi in cui emergano elementi concreti di radicamento.
Questa decisione si inserisce coerentemente nel solco tracciato da numerosi Tribunali italiani in materia di protezione speciale e conferma la legittimità dell’azione cautelare anche in presenza di un rigetto motivato con formula standardizzata e priva di effettiva ponderazione individuale.
Avv. Fabio Loscerbo
Sospensione del Decreto di Espulsione a seguito della Richiesta di Protezione Internazionale: Giudice di Pace di Ravenna, Ordinanza del 16 aprile 2025 – R.G. 319/2025
Sospensione del Decreto di Espulsione a seguito della Richiesta di Protezione Internazionale: Giudice di Pace di Ravenna, Ordinanza del 16 aprile 2025 – R.G. 319/2025
Avv. Fabio Loscerbo
1. Introduzione
Con ordinanza resa in data 16 aprile 2025, nel procedimento R.G. 319/2025, il Giudice di Pace di Ravenna ha disposto la sospensione dell’efficacia esecutiva di un decreto di espulsione emesso nei confronti di una cittadina straniera, accogliendo l’istanza cautelare presentata nell’ambito di un ricorso proposto ai sensi dell’art. 13, comma 8, del D.lgs. 286/1998.
Il caso affrontato rappresenta un’occasione utile per riflettere sull’efficacia giuridica della presentazione della domanda di protezione internazionale e sulla rilevanza che tale elemento assume nell’ambito del giudizio di legittimità avverso i provvedimenti espulsivi.
2. Il contesto normativo e giurisprudenziale
Secondo una consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione – da ultimo confermata con l’ordinanza n. 9610 del 10 aprile 2024 – la presentazione di una domanda di protezione internazionale non comporta l’automatica nullità o invalidità del decreto di espulsione eventualmente emesso in data anteriore o contestuale, bensì ne sospende l’efficacia esecutiva, fintanto che non sia definita la relativa procedura.
Tale principio discende direttamente dall’art. 35-bis del D.lgs. 25/2008 e dall’art. 19 del D.lgs. 286/1998, che garantiscono allo straniero il diritto a non essere allontanato dal territorio nazionale fino a quando penda una decisione sulla sua domanda di protezione. L’adozione del permesso di soggiorno provvisorio rilasciato dalla Questura in seguito alla formalizzazione della richiesta di asilo rappresenta un indice concreto della pendenza del procedimento e dell'inapplicabilità , in tale frangente, dell'esecuzione forzata del decreto espulsivo.
3. La decisione del Giudice di Pace di Ravenna
Nel caso di specie, il Giudice ha valorizzato due elementi centrali:
-
La presentazione della domanda di protezione internazionale da parte della ricorrente in data 20 gennaio 2025, immediatamente successiva alla notifica del decreto di espulsione;
-
Il rilascio del permesso di soggiorno provvisorio da parte della Questura di Ravenna nella medesima data, a riprova dell’instaurazione del procedimento amministrativo ex art. 26 D.lgs. 25/2008.
Sulla base di tali circostanze, il Giudice ha ritenuto sussistenti i presupposti per disporre la sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento prefettizio, precisando altresì che il procedimento avrebbe dovuto rimanere sospeso fino alla definizione della domanda di protezione internazionale.
4. La tutela cautelare nei procedimenti contro l’espulsione
Il provvedimento si inserisce nel solco di una giurisprudenza ormai consolidata che riconosce al giudice ordinario la possibilità di intervenire in via cautelare per impedire l’esecuzione di atti amministrativi lesivi di diritti fondamentali, come quelli derivanti dall’art. 10 Cost. e dall’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
La sospensione del decreto di espulsione rappresenta, in questi casi, l’unica forma di tutela effettiva per evitare il rischio che il ricorrente sia allontanato coattivamente prima che la sua situazione venga esaminata in sede amministrativa e giurisdizionale. La misura cautelare, pertanto, si pone a presidio del diritto di difesa, del diritto al contraddittorio e della presunzione di non refoulement.
5. Osservazioni conclusive
L’ordinanza del Giudice di Pace di Ravenna assume rilievo non solo per l’immediata efficacia sospensiva del decreto di espulsione, ma anche per il suo valore di conferma di un principio di civiltà giuridica: non è possibile allontanare uno straniero che abbia attivato un legittimo procedimento di protezione, salvo che tale richiesta non sia manifestamente strumentale, fattispecie che nel caso di specie non è stata neppure contestata.
Si tratta di un provvedimento conforme al diritto nazionale, al diritto UE e alla giurisprudenza della Corte EDU, che sottolinea il ruolo centrale del giudice di pace nella tutela dei diritti fondamentali nel contesto delle misure amministrative di allontanamento.
Avv. Fabio Loscerbo
Il Tribunale di Bologna riconosce la protezione speciale: R.G. 9465/2024, sentenza del 14 aprile 2025
Il Tribunale di Bologna riconosce la protezione speciale: R.G. 9465/2024, sentenza del 14 aprile 2025
di Avv. Fabio Loscerbo
Con sentenza n. 935/2025, pubblicata il 14 aprile 2025 (R.G. 9465/2024), il Tribunale Ordinario di Bologna – Sezione Specializzata in materia di Immigrazione – ha accolto il ricorso proposto da una cittadina albanese, annullando il diniego della Questura di Modena e riconoscendo in suo favore il diritto al rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale, ai sensi dell’art. 19, commi 1 e 1.1, del D.lgs. 286/98.
1. La cornice normativa
La decisione si colloca nel quadro della normativa vigente prima dell’entrata in vigore del D.L. 20/2023, come previsto dall’art. 7, comma 2, della stessa fonte normativa: per le domande presentate prima dell’entrata in vigore del decreto, o già oggetto di invito alla formalizzazione da parte della Questura, continua ad applicarsi la disciplina previgente. Ne consegue che il permesso per protezione speciale ha durata biennale, è rinnovabile ed è convertibile in permesso per motivi di lavoro.
La Corte bolognese compie un’approfondita analisi della riforma introdotta dal D.L. 130/2020, la quale ha ancorato espressamente la protezione speciale anche alla tutela del diritto alla vita privata e familiare ex art. 8 CEDU, ampliando il paradigma giurisprudenziale precedentemente sviluppato in materia di protezione umanitaria.
2. I criteri di valutazione: vita privata e radicamento
Il Collegio richiama la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazione (n. 24413/2021) e l’ordinanza interlocutoria n. 28316/2020, evidenziando come il diritto al rispetto della vita privata e familiare vada interpretato in chiave estensiva, anche alla luce delle pronunce della Corte EDU. In particolare, si ribadisce che il “radicamento” dello straniero non può essere valutato solo in base alla durata della permanenza o alla titolarità di un contratto di lavoro, ma anche sulla base della rete di relazioni, dell’identità sociale, della partecipazione alla vita collettiva e culturale.
Nel caso esaminato, la ricorrente vive da otto anni in Italia, ha una relazione affettiva stabile con un cittadino straniero titolare di protezione speciale, è occupata con contratto a tempo indeterminato e ha prodotto documentazione comprovante redditi, domicilio, vita relazionale e assenza di pericolosità sociale attuale. Tali elementi, secondo il Tribunale, integrano una vita privata consolidata e non possono essere sacrificati senza che si realizzi un vulnus al diritto sancito dall’art. 8 CEDU.
3. Il superamento del criterio esclusivo della “integrazione lavorativa”
Un passaggio rilevante della sentenza consiste nel superamento dell’approccio riduzionista secondo cui la protezione speciale debba fondarsi unicamente sull’inserimento lavorativo. Il Tribunale chiarisce, invece, che l’integrazione va letta in senso olistico, comprendente anche la dimensione affettiva, abitativa, linguistica e sociale. La decisione si allinea pertanto all’indirizzo più avanzato in giurisprudenza, che riconosce il “diritto a non essere sradicati” come nucleo essenziale della tutela dei diritti fondamentali.
4. Le conseguenze giuridiche
Oltre al riconoscimento della protezione speciale, la sentenza stabilisce che il relativo permesso dovrà essere rilasciato con le caratteristiche della vecchia disciplina: durata biennale, possibilità di svolgere attività lavorativa, rinnovabilità e convertibilità . Si dichiara inoltre la compensazione integrale delle spese di lite, evidenziando la natura meramente difensiva della pretesa del ricorrente.
5. Osservazioni conclusive
Questa sentenza rafforza ulteriormente l’orientamento secondo cui la protezione speciale – soprattutto nella sua declinazione fondata sulla vita privata – rappresenta oggi l’unica forma di tutela residuale per le persone straniere che, pur non rientrando nelle forme tipiche di protezione internazionale, abbiano costruito in Italia un percorso stabile, dignitoso e coerente con i valori costituzionali.
In tal senso, il Tribunale di Bologna si conferma come punto di riferimento nazionale nella giurisprudenza in materia di immigrazione, nella direzione di un’applicazione coerente dei principi costituzionali, convenzionali e sovranazionali.
Avv. Fabio Loscerbo
domenica 13 aprile 2025
Effettività della notifica e diritto di difesa nei procedimenti in materia di asilo: il Tribunale di Roma chiarisce i limiti della conoscenza informale del provvedimento
Effettività della notifica e diritto di difesa nei procedimenti in materia di asilo: il Tribunale di Roma chiarisce i limiti della conoscenza informale del provvedimento
Avv. Fabio Loscerbo
Con decreto del 9 ottobre 2024 (R.G. 22188/2021), il Tribunale di Roma si è pronunciato su un ricorso ex art. 35-bis del d.lgs. 25/2008 presentato da un richiedente asilo ivoriano, rigettando la domanda di riconoscimento della protezione internazionale ma accogliendo quella per protezione speciale. Il decreto contiene un passaggio di particolare interesse sotto il profilo processuale, con riferimento alla tempestività del ricorso e alla validità della notifica del provvedimento impugnato.
Secondo quanto sostenuto in giudizio dall’Amministrazione dell’interno, il ricorrente sarebbe stato a conoscenza della decisione di rigetto della Commissione territoriale di Cagliari per effetto della consegna informale del provvedimento, benché la notifica non fosse ancora avvenuta nelle forme prescritte. Di conseguenza, secondo la difesa erariale, il termine per la proposizione del ricorso sarebbe dovuto decorrere da quel momento.
Il Tribunale, tuttavia, ha smentito tale ricostruzione, chiarendo che il provvedimento impugnato è stato formalmente conosciuto dal ricorrente solo in seguito all’accesso agli atti, e che non può attribuirsi rilievo giuridico alla semplice consegna informale priva delle garanzie previste dalla legge in materia di notificazione.
La certezza giuridica nella decorrenza dei termini
La pronuncia si inserisce in un filone giurisprudenziale che tutela la certezza dei rapporti giuridici e il diritto di difesa. Come chiarito dal Tribunale, ritenere sufficiente una presa di conoscenza informale del provvedimento – priva di prova documentale, avviso di ricevimento o relata di notifica – equivarrebbe a introdurre una zona grigia nella determinazione del dies a quo, compromettendo tanto il principio della certezza del diritto quanto quello dell’economia processuale.
Sotto il primo profilo, si rischierebbe di fondare la decadenza del diritto di azione su una data incerta, unilaterale e difficilmente dimostrabile, in contrasto con il principio per cui le decadenze processuali devono sempre poggiare su atti formali e verificabili.
Sotto il secondo profilo, il riconoscimento di effetti alla conoscenza informale potrebbe moltiplicare inutili contenziosi, costringendo i giudici a pronunciarsi su eccezioni preliminari relative alla tempestività sulla base di elementi indeterminati, anziché favorire la concentrazione processuale sui profili sostanziali.
Il diritto a un ricorso effettivo e la forma della notifica
La decisione si collega direttamente al principio sancito dagli artt. 13 CEDU e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, secondo cui ogni persona ha diritto a un ricorso effettivo. L’effettività del ricorso implica non solo l’accesso alla giustizia, ma anche la possibilità di esercitare un diritto di difesa consapevole, che presuppone la piena conoscenza dell’atto da impugnare nelle forme legali previste.
In tal senso, la notificazione del provvedimento amministrativo costituisce non una mera formalità , ma un presidio di legalità e tutela per il destinatario. Il suo perfezionamento secondo le modalità previste dalla legge – ad esempio mediante raccomandata con avviso di ricevimento – è condizione necessaria affinché possa validamente iniziare a decorrere il termine per proporre ricorso.
Conclusioni
Il Tribunale di Roma riafferma un principio fondamentale: il termine per proporre ricorso decorre solo dalla notifica rituale del provvedimento e non da forme informali di conoscenza che, per quanto possano ritenersi avvenute, non offrono garanzie idonee a tutelare il diritto di difesa.
In materia di protezione internazionale, dove le conseguenze della decisione amministrativa possono incidere su beni primari come la libertà personale o l’integrità psicofisica, ogni limitazione del diritto a impugnare deve essere fondata su presupposti certi, formali e verificabili. Solo così si garantisce un effettivo accesso alla giustizia, conforme ai principi costituzionali e sovranazionali.
Avv. Fabio Loscerbo
Notifica del provvedimento amministrativo e decorrenza del termine per impugnare: il Tribunale di Catania ribadisce la necessità della prova effettiva della consegna
Notifica del provvedimento amministrativo e decorrenza del termine per impugnare: il Tribunale di Catania ribadisce la necessità della prova effettiva della consegna
Avv. Fabio Loscerbo
Con il decreto del 14 novembre 2024 (R.G. 5763/2024), il Tribunale di Catania ha affrontato una questione di rilevante interesse pratico in materia di protezione internazionale: la validità della notifica del provvedimento di rigetto e il conseguente computo del termine per proporre ricorso ex art. 35-bis del d.lgs. 25/2008.
Nel caso in esame, l’Amministrazione aveva provato l’avvenuto invio della decisione negativa della Commissione territoriale tramite una schermata del sistema VESTANET, contenente la data di spedizione della raccomandata al richiedente. Tuttavia, non aveva fornito prova del perfezionamento della notifica, ossia della sua effettiva consegna al destinatario, elemento determinante per stabilire il dies a quo del termine decadenziale per impugnare.
Il principio generale: chi propone il ricorso deve provarne la tempestivitÃ
Il Tribunale ha correttamente richiamato l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità secondo cui è onere del ricorrente dimostrare la tempestività dell’impugnazione, ad esempio mediante il deposito della copia notificata del provvedimento impugnato (Cass. n. 37672/2022; Cass. n. 21133/2020).
Tuttavia, come chiarito dalla Cassazione con sentenza n. 18925 del 10 luglio 2024, questo principio va applicato tenendo conto anche dell’atteggiamento dell’Amministrazione: se l’Amministrazione non produce copia del provvedimento notificato con la relata o l’avviso di ricevimento, ciò non impedisce al ricorrente di dimostrare comunque la tempestività , allegando la documentazione alternativa o dimostrando l’infruttuoso tentativo di ottenerla.
La notifica per posta: rilevanza del timbro postale e dell’avviso di ricevimento
Il Tribunale di Catania ha osservato che, ai sensi dell’art. 11, co. 3-bis, d.lgs. 142/2015, la notifica del provvedimento di rigetto deve essere provata mediante la produzione degli atti completi del procedimento notificatorio, vale a dire l’avviso di ricevimento restituito al mittente. La sola schermata informatica del sistema VESTANET, che attesta l’invio ma non la ricezione, non è sufficiente a provare che la notifica si sia perfezionata (Cass. n. 36900/2022).
La conseguenza: il ricorso è tempestivo se manca prova della notifica
Alla luce di ciò, il giudice ha stabilito che in assenza di prova dell’effettiva consegna tramite posta, la notifica non può ritenersi valida. Di conseguenza, ha individuato il termine iniziale (dies a quo) non nella data di spedizione ma in quella della consegna a mano del provvedimento presso la Questura, avvenuta il 20 maggio 2024. Essendo stato il ricorso presentato entro 30 giorni da tale data, è stato dichiarato tempestivo.
Rilievi conclusivi
Questa pronuncia ribadisce un principio fondamentale nel contenzioso in materia di protezione internazionale: non basta inviare un provvedimento per via postale per considerarlo notificato, ma occorre fornire la prova documentale della sua effettiva ricezione. È su questa base che si calcola il termine per ricorrere, e non sulla semplice esistenza di un’informazione interna al sistema amministrativo.
Inoltre, il decreto evidenzia il necessario bilanciamento tra l’onere probatorio del ricorrente e il dovere di cooperazione dell’Amministrazione, in un contesto in cui l’effettiva conoscenza dell’atto incide direttamente sull’esercizio di un diritto fondamentale: quello alla tutela giurisdizionale contro un diniego che può compromettere la permanenza sul territorio nazionale.
Avv. Fabio Loscerbo
La protezione speciale e il precedente penale grave: la rilevanza dell’integrazione e del bilanciamento con l’interesse pubblico secondo il Tribunale di Bologna
La protezione speciale e il precedente penale grave: la rilevanza dell’integrazione e del bilanciamento con l’interesse pubblico secondo il Tribunale di Bologna
Avv. Fabio Loscerbo
Con la sentenza n. 2291/2024, emessa in data 8 marzo 2024 (R.G. 579/2024), il Tribunale di Bologna affronta in modo approfondito e innovativo il tema dell’accesso alla protezione speciale per stranieri gravati da una condanna per reato grave, collocandosi nel solco della giurisprudenza di legittimità che valorizza la funzione costituzionale e convenzionale di tale istituto.
Il ricorrente aveva presentato istanza ex art. 19, comma 1.1, del d.lgs. 286/98 direttamente al Questore prima dell’entrata in vigore della riforma del 2023, ricevendone rigetto in quanto gravato da condanna definitiva per un reato di particolare gravità , nonostante la pena fosse già stata interamente espiata. La decisione era stata adottata sulla base del parere negativo espresso dalla Commissione territoriale di Bologna.
Il principio generale: il bilanciamento tra diritto alla vita privata e sicurezza pubblica
Nella propria motivazione, il Tribunale richiama i principi sanciti dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 24413/2021, sottolineando come l’accertamento del diritto al rispetto della vita privata e familiare ai sensi dell’art. 8 CEDU debba essere sempre oggetto di un bilanciamento con le esigenze di ordine e sicurezza pubblica, secondo un criterio di proporzionalità e attualità del pericolo.
Il punto centrale dell’argomentazione è che la sola esistenza di una condanna penale – anche grave – non preclude automaticamente l’accesso alla protezione speciale, soprattutto quando il richiedente ha già scontato la pena e ha dimostrato nel tempo un percorso serio di integrazione sociale e rieducazione.
Gli elementi valutati dal Tribunale
Nel caso concreto, il Tribunale ha ricostruito con attenzione la posizione personale del ricorrente, evidenziando:
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una presenza ultradecennale in Italia (13 anni), con un progressivo percorso di radicamento personale e lavorativo;
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la partecipazione attiva a percorsi di istruzione e formazione, anche durante la detenzione;
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l’attività lavorativa svolta sia all’interno che all’esterno del carcere, a dimostrazione di un impegno costante;
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il miglioramento delle competenze linguistiche e l’inserimento sociale progressivo;
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la convivenza con la zia ma con autonomia abitativa, segno di un consolidato equilibrio personale.
Il Tribunale osserva come, pur non potendosi ritenere cessata ogni potenziale pericolosità del ricorrente, questa risulti tuttavia notevolmente affievolita rispetto al passato e comunque non più prevalente rispetto al diritto al rispetto della vita privata.
Il giudizio di prevalenza: protezione speciale e non espulsione
Secondo il giudice, il diritto del ricorrente a non essere allontanato dal territorio nazionale, in forza del legame consolidato con l’Italia, del percorso rieducativo compiuto e dell’integrazione personale e lavorativa raggiunta, supera le esigenze generiche di sicurezza pubblica, che appaiono “subvalenti” nel caso di specie.
In particolare, la pronuncia ribadisce che il rischio di una compromissione irreparabile della vita privata e familiare – qualora l’interessato fosse rimpatriato dopo molti anni di vita in Italia – impone una valutazione che non può prescindere dal principio di proporzionalità e dal riconoscimento della dignità personale del migrante.
Conclusioni
La sentenza del Tribunale di Bologna rappresenta un importante precedente nell’ambito del diritto degli stranieri: essa dimostra come anche chi ha commesso reati gravi possa, attraverso un autentico percorso di integrazione e riscatto, vedersi riconosciuto il diritto a restare in Italia per effetto della protezione speciale.
È una decisione che ricorda come il diritto debba sempre coniugare tutela della collettività e riconoscimento del valore delle storie personali, in coerenza con i principi della Costituzione italiana e della CEDU. La protezione speciale, in questa prospettiva, si conferma come uno strumento di giustizia sostanziale, capace di valutare il migrante non solo per il suo passato, ma anche per il suo presente e per il futuro che costruisce ogni giorno.
Avv. Fabio Loscerbo
La protezione speciale tra legami familiari e diritto alla vita privata: il Tribunale di Bologna riconosce il diritto a madre albanese di sostenere la figlia universitaria in Italia
La protezione speciale tra legami familiari e diritto alla vita privata: il Tribunale di Bologna riconosce il diritto a madre albanese di sostenere la figlia universitaria in Italia
Avv. Fabio Loscerbo
Avvocato immigrazionista – www.avvocatofabioloscerbo.it
Con sentenza del 9 gennaio 2025 (RG. 6843/2024), il Tribunale di Bologna ha riconosciuto il diritto alla protezione speciale in favore di una cittadina albanese, residente in Italia dal 2021, giunta nel nostro Paese per sostenere economicamente e affettivamente la propria figlia, cittadina greca, iscritta presso un'università italiana. Il provvedimento annulla il diniego emesso dalla Questura di Forlì sulla base del parere negativo espresso dalla competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.
1. Il contesto familiare: una madre al fianco della figlia
La vicenda ricostruita in fatto dal Tribunale evidenzia una dinamica familiare di forte impatto umano e giuridico: la donna, residente in Grecia da 24 anni con il marito, si separava da quest’ultimo nel momento in cui la figlia, giunta alla maggiore età , decideva di trasferirsi in Italia contro la volontà paterna. La madre la seguiva, scegliendo di vivere in Italia per fornire sostegno affettivo ed economico, anche a costo di interrompere un rapporto matrimoniale pluridecennale.
2. Il fondamento giuridico: l’art. 8 CEDU e la protezione speciale
Esclusa la sussistenza dei presupposti per la protezione internazionale o per la protezione complementare ex art. 19, commi 1 e 1.1., d.lgs. 286/1998 nella loro prima parte, il Tribunale riconosce i presupposti per l'applicazione della protezione speciale nella sua formulazione antecedente alla riforma introdotta con il D.L. n. 20/2023, in quanto la relativa istanza era stata proposta anteriormente.
La motivazione si fonda in larga parte sull’interpretazione dell’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), richiamando espressamente i principi elaborati dalla Corte EDU e consolidati dalla Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 24413/2021, nonché dalla successiva Cass. n. 7861/2022.
3. Vita privata e familiare: nozioni autonome e interconnesse
Il Tribunale ribadisce la distinzione tra diritto alla vita privata e diritto alla vita familiare, entrambi tutelati dall’art. 8 CEDU. Quanto alla vita privata, viene richiamata la giurisprudenza della Corte EDU (Niemetz c. Germania, Peck c. Regno Unito, Bărbulescu v. Romania) che ne evidenzia la portata ampia, comprendente l’identità personale, le relazioni sociali, l’inserimento lavorativo e la stabilità in una data collettività .
Quanto alla vita familiare, viene richiamata la nota sentenza Marckx c. Belgio e altre pronunce più recenti (Narjis c. Italia, Paradiso e Campanelli c. Italia, Oliari c. Italia), che evidenziano come tale concetto possa estendersi anche a rapporti tra genitori e figli adulti, ove vi siano elementi concreti di dipendenza che vadano oltre la mera affettività .
4. L’elemento di dipendenza: un legame affettivo che diventa giuridicamente rilevante
Pur riconoscendo che ordinariamente i rapporti tra genitori e figli maggiorenni non danno luogo, di per sé, a una situazione giuridicamente protetta ex art. 8 CEDU, il Tribunale ravvisa nella vicenda concreta un’eccezione significativa: la ricorrente è oggi l’unico riferimento familiare per la figlia, che ha scelto un percorso autonomo in Italia in contrasto con la volontà del padre; la madre, a sua volta, ha modificato radicalmente la propria vita per accompagnare e sostenere questa scelta. Il legame, dunque, travalica la sfera privata per assumere rilevanza pubblica e giuridica.
5. L’integrazione sociale come ulteriore elemento di protezione
Il Tribunale valorizza inoltre la capacità di inserimento della ricorrente nel contesto italiano: ha reperito impieghi lavorativi, vive in autonomia e ha acquisito la lingua italiana. La circostanza che non conviva più con la figlia non è ritenuta ostativa, in quanto non richiesta dalla giurisprudenza europea per la tutela del diritto alla vita privata e familiare.
6. Conclusioni: il diritto alla protezione speciale come tutela dell’identità personale e relazionale
La sentenza in commento si inserisce nel solco di un orientamento giurisprudenziale sempre più attento alla dimensione relazionale dell’identità migrante, valorizzando non solo la protezione da pericoli, ma anche la tutela dell'inserimento, delle relazioni significative e della progettualità individuale.
In tale prospettiva, la protezione speciale si conferma non come uno strumento residuale, ma come una garanzia costituzionale e convenzionale, che riconosce la dignità delle scelte affettive, familiari e sociali, soprattutto quando queste sono sostenute da sacrifici reali e da un percorso di integrazione autentico.