giovedì 31 luglio 2025

La pericolosità sociale giustifica il diniego del permesso anche in presenza di integrazione familiareTAR Sicilia, Sez. III – Sentenza n. 1518/2025, emessa il 6 giugno 2025, R.G. n. 1664/2024

La pericolosità sociale giustifica il diniego del permesso anche in presenza di integrazione familiare

TAR Sicilia, Sez. III – Sentenza n. 1518/2025, emessa il 6 giugno 2025, R.G. n. 1664/2024

Con la sentenza n. 1518/2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia ha rigettato il ricorso proposto contro il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato, confermando la legittimità della valutazione di pericolosità sociale effettuata dalla Questura.

La vicenda trae origine dal rigetto, da parte della Questura di Palermo, dell’istanza di rinnovo di un permesso di soggiorno per lavoro subordinato. Il provvedimento veniva motivato con riferimento a gravi indizi circa l’appartenenza del ricorrente a un sodalizio criminale dedito a truffe online e riciclaggio, nonché alla disponibilità, da parte dello stesso, di una parte dei proventi illeciti. A seguito di un’ordinanza cautelare favorevole al ricorrente, l’amministrazione procedeva al riesame del caso, confermando tuttavia il rigetto sulla base di una nuova valutazione istruttoria.

Il ricorso per motivi aggiunti contestava il nuovo provvedimento, lamentando l’assenza di una reale ponderazione dei legami familiari con la moglie e il figlio minore residenti in Italia, nonché l’inserimento lavorativo e abitativo dell’interessato.

Il Tribunale, decidendo con sentenza in forma semplificata ex art. 60 c.p.a., ha preliminarmente dichiarato improcedibile il ricorso introduttivo per sopravvenuta carenza d’interesse, essendo stato superato da un nuovo provvedimento.

Nel merito, ha ritenuto infondate le censure relative al secondo provvedimento. La Questura, secondo il TAR, ha correttamente svolto un’analisi non automatica della pericolosità sociale, valorizzando il ruolo di rilievo ricoperto dall’interessato all’interno del gruppo criminale e la disponibilità dei profitti illeciti. Tale valutazione – pur fondata su elementi indiziari – è stata ritenuta legittima e coerente con l’ampia discrezionalità riconosciuta all’amministrazione ai sensi degli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 286/1998.

Quanto ai legami familiari e ai segni di integrazione, il TAR ha ritenuto che l’amministrazione li abbia effettivamente considerati, ma correttamente ritenuti recessivi rispetto all’interesse pubblico alla tutela dell’ordine e della sicurezza. È stato ribadito, in linea con consolidata giurisprudenza, che la presenza di una famiglia o di un lavoro in Italia non preclude ex se un giudizio negativo sull’inserimento sociale, specie in presenza di reati gravi e reiterati (TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, sent. n. 487/2020).

Il ricorrente è stato comunque ammesso in via definitiva al patrocinio a spese dello Stato. Le spese di lite sono state poste a suo carico.

Avv. Fabio Loscerbo


mercoledì 30 luglio 2025

Revoca della carta di soggiorno per gravi reati contro minori: il TAR Palermo conferma la legittimità del provvedimento della QuesturaTAR Sicilia, Sezione III – Sentenza n. 1554/2025, R.G. n. 134/2024 – pubblicata il 7 luglio 2025

Revoca della carta di soggiorno per gravi reati contro minori: il TAR Palermo conferma la legittimità del provvedimento della Questura

TAR Sicilia, Sezione III – Sentenza n. 1554/2025, R.G. n. 134/2024 – pubblicata il 7 luglio 2025

Con la sentenza n. 1554/2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia ha rigettato il ricorso avverso il decreto della Questura di Palermo che aveva disposto la revoca della carta di soggiorno per familiare di cittadino dell’Unione Europea, già rilasciata in favore del ricorrente, a seguito di una condanna per violenza sessuale aggravata ai danni di un minore.

1. I fatti oggetto del giudizio

Il ricorrente aveva impugnato due provvedimenti:

la revoca della carta di soggiorno disposta dal Questore di Palermo;

il rigetto del ricorso gerarchico da parte del Prefetto.


Alla base del provvedimento vi era la condanna del ricorrente, pronunciata nel maggio 2023 dal GUP del Tribunale di Palermo, alla pena di sei anni e otto mesi di reclusione per il reato di violenza sessuale aggravata su minore di anni 14, reato commesso in modo reiterato nell’ambito lavorativo. L’Amministrazione ha considerato tale condotta incompatibile con la permanenza regolare del soggetto sul territorio nazionale.

2. Le censure sollevate e la valutazione del TAR

Il ricorrente ha dedotto:

carenza e apoditticità della motivazione;

omessa valutazione della sua non pericolosità sociale;

omessa considerazione del lungo radicamento in Italia (presenza dal 1990, lavoro stabile, legami familiari).


Il Collegio ha respinto tutte le doglianze.

Secondo il TAR, il provvedimento è adeguatamente motivato e poggia su valutazioni congrue e non irragionevoli della pericolosità sociale del ricorrente, fondate su condotte concretamente accertate in sede penale.

Il giudice amministrativo ha sottolineato che:

> “La condotta delittuosa non è stata episodica ma reiterata e commessa in modo non occasionale. Essa risulta del tutto incompatibile con l’inserimento in un contesto lavorativo lecito e con la permanenza sul territorio nazionale in qualità di familiare di cittadino UE”.



L’Amministrazione ha valutato anche gli elementi favorevoli (radicamento, lavoro, famiglia), ma li ha correttamente ritenuti recessivi rispetto alla gravità della condotta penale, come consentito dalla normativa vigente.

3. Il quadro normativo richiamato

Il TAR ha fatto riferimento all’art. 9, comma 4 del D.lgs. 286/1998, applicabile anche ai titoli di soggiorno per familiari di cittadini UE, nella parte in cui vieta il rilascio o il mantenimento del titolo allo straniero pericoloso per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato.

Inoltre, è stato evidenziato che la valutazione della pericolosità non richiede la definitività della sentenza penale, potendo basarsi su accertamenti anche in corso, ove sorretti da gravità indiziaria e coerenza logica.

4. La decisione

Il ricorso è stato respinto in quanto manifestamente infondato, con condanna alle spese a carico del ricorrente per un importo pari a euro 3.000 oltre accessori.

Il Tribunale ha disposto l’oscuramento dei dati personali in caso di diffusione, in applicazione degli articoli 52 D.lgs. 196/2003 e 6 Reg. (UE) 2016/679, con particolare riferimento alla tutela della vittima minorenne.


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Considerazioni conclusive

La sentenza conferma un principio consolidato in giurisprudenza: la revoca del titolo di soggiorno è legittima ove l’Amministrazione accerti, con adeguata motivazione, una situazione di pericolosità sociale fondata su gravi fatti penalmente rilevanti, anche in presenza di elementi di radicamento. Il bilanciamento tra sicurezza pubblica e integrazione è rimesso alla discrezionalità dell’autorità amministrativa, che il giudice può sindacare solo in caso di manifesta illogicità o irragionevolezza.


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Avv. Fabio Loscerbo


T.A.R. Salerno: va riesaminata la domanda di permesso di soggiorno rigettata per “piccolo spaccio” alla luce della giurisprudenza costituzionale Sentenza n. 1074/2025 – R.G. n. 869/2024 – Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, Sezione Terza – pubblicata l’11 giugno 2025

 T.A.R. Salerno: va riesaminata la domanda di permesso di soggiorno rigettata per “piccolo spaccio” alla luce della giurisprudenza costituzionale

Sentenza n. 1074/2025 – R.G. n. 869/2024 – Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, Sezione Terza – pubblicata l’11 giugno 2025

Con la sentenza in epigrafe, il T.A.R. Salerno ha accolto il ricorso proposto da un cittadino straniero avverso il decreto di diniego del permesso di soggiorno per emersione ai sensi dell’art. 103, co. 1, del D.L. 34/2020, basato su una condanna pregressa per detenzione di sostanze stupefacenti ex art. 73, co. 5, del D.P.R. 309/1990.

La Questura aveva ritenuto tale condanna ostativa in via automatica, applicando l’art. 103, comma 10, lett. c), del D.L. 34/2020, che esclude l’accesso alla procedura di regolarizzazione in caso di reati “inerenti agli stupefacenti”. Il ricorrente aveva tuttavia evidenziato che si trattava di una fattispecie di “piccolo spaccio”, con condanna risalente, pena sospesa e intervenuta riabilitazione.

Il Collegio ha ritenuto fondato il ricorso, in particolare alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 43/2024, che ha dichiarato incostituzionale la norma nella parte in cui prevede l’automatica esclusione dei soggetti condannati per i reati previsti dall’art. 73, comma 5, D.P.R. 309/1990 (spaccio di lieve entità). La Consulta ha chiarito che in tali casi è necessaria una valutazione individuale della pericolosità sociale attuale del richiedente, non essendo giustificabile una presunzione assoluta.

Il T.A.R. ha ribadito che, anche prima dell’evoluzione normativa che ha trasformato la fattispecie attenuata in reato autonomo, i principi di proporzionalità, ragionevolezza e tutela dei diritti fondamentali avrebbero comunque imposto una verifica istruttoria piena della situazione personale del richiedente. Nel caso in esame, tale valutazione era completamente assente nel provvedimento impugnato.

Pertanto, il Tribunale ha annullato il decreto di diniego e ha ordinato alla Questura di riesaminare l’istanza, valutando in concreto la pericolosità sociale del ricorrente alla luce della riabilitazione, del tempo trascorso, della condotta successiva e della situazione familiare e lavorativa documentata. Le spese sono state compensate per la peculiarità della vicenda, e il patrocinio a spese dello Stato è stato confermato, con liquidazione di € 1.000,00 al difensore.

Avv. Fabio Loscerbo

martedì 29 luglio 2025

Il TAR FVG conferma la legittimità dell’irricevibilità dell’istanza di permesso per attesa occupazione: permanenza irregolare e mancanza di presupposti oggettiviTAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I – Sentenza n. 206/2024, R.G. n. 169/2024, pubblicata l’11 giugno 2024

Il TAR FVG conferma la legittimità dell’irricevibilità dell’istanza di permesso per attesa occupazione: permanenza irregolare e mancanza di presupposti oggettivi

TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I – Sentenza n. 206/2024, R.G. n. 169/2024, pubblicata l’11 giugno 2024

Con la sentenza n. 206/2024, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia ha respinto il ricorso proposto avverso il provvedimento con cui la Questura di Udine aveva dichiarato irricevibile l’istanza di rilascio di un permesso di soggiorno per attesa occupazione, presentata nel novembre 2023.

1. Il fatto contestato

L’interessato aveva richiesto un permesso di soggiorno per attesa occupazione, dopo una precedente permanenza irregolare sul territorio nazionale. La Questura aveva rigettato l’istanza in quanto carente dei presupposti minimi richiesti dalla normativa vigente, rilevando altresì che non sussistevano titoli validi precedenti, né un visto d’ingresso recente.

La difesa ha contestato il provvedimento sotto due profili:

nullità per mancata traduzione del provvedimento in lingua comprensibile al destinatario;

violazione del principio di buona fede e affidamento ex art. 1, comma 2-bis, della legge n. 241/1990.


2. La pronuncia del Collegio

Il TAR ha ritenuto il ricorso infondato sotto entrambi i profili.

In primo luogo, ha richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la mancata traduzione del provvedimento non determina nullità, ma può al più giustificare la rimessione in termini per impugnazione (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 16 settembre 2022, n. 8052). Nel caso in esame, il provvedimento impugnato era una dichiarazione di irricevibilità e non un atto espulsivo, per cui non si applicano le garanzie di cui all’art. 13 del D.lgs. 286/1998.

Quanto al secondo motivo, il TAR ha rilevato che non ricorrevano i presupposti per l’applicazione del principio di buona fede, atteso che la posizione del richiedente era connotata da una condizione di irregolarità consolidata e da una reiterata omissione di opposizione a precedenti provvedimenti di rigetto.

La pronuncia valorizza il disposto dell’art. 5, commi 4 e 5, del D.lgs. 286/1998, secondo cui il permesso può essere rifiutato in assenza dei requisiti oggettivi richiesti dalla legge e in presenza di condizioni ostative pregresse.

3. Conclusioni

La sentenza evidenzia come la mera presentazione di un’istanza tardiva, priva di legami con un precedente titolo di soggiorno valido o con un nuovo visto d’ingresso, non sia sufficiente per fondare una legittima aspettativa alla regolarizzazione.

Il Tribunale ha quindi respinto il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in € 2.000, oltre oneri di legge.


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Avv. Fabio Loscerbo



T.A.R. Salerno: la Prefettura deve concludere il procedimento anche in caso di rinuncia del datore di lavoro Sentenza n. 1260/2025 – R.G. n. 1808/2024 – Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, Sezione Terza – udienza del 10 giugno 2025

 T.A.R. Salerno: la Prefettura deve concludere il procedimento anche in caso di rinuncia del datore di lavoro

Sentenza n. 1260/2025 – R.G. n. 1808/2024 – Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, Sezione Terza – udienza del 10 giugno 2025

Con la sentenza in epigrafe, il T.A.R. Salerno ha accolto il ricorso proposto contro l’inerzia della Prefettura – Sportello Unico per l’Immigrazione in ordine all’istanza di rilascio di permesso di soggiorno per attesa occupazione, presentata il 7 marzo 2023.

Il ricorrente, regolarmente entrato in Italia con nulla osta per lavoro subordinato non stagionale, si era presentato presso lo Sportello Unico insieme al datore di lavoro per perfezionare il contratto di soggiorno. Tuttavia, per errore materiale nell’indicazione del nominativo, l’appuntamento si concludeva senza esito. Dopo ulteriori solleciti e la sopravvenuta rinuncia del datore all’assunzione, l’Amministrazione ometteva di adottare qualsivoglia provvedimento espresso.

Il Tribunale ha richiamato il principio, affermato anche dal Consiglio di Stato (Sez. III, sent. n. 4717/2024), secondo cui la stipula del contratto di soggiorno è fase essenziale e funzionale non solo all’ottenimento del titolo di soggiorno ma anche alla piena integrazione dello straniero nel tessuto sociale ed economico nazionale. Essa non può essere elusa dalla P.A., la quale ha l’obbligo giuridico di convocare le parti e verificare l’effettiva disponibilità del datore di lavoro, anche ai fini dell’eventuale rilascio di un permesso per attesa occupazione.

Il Collegio ha riconosciuto che, sebbene la Prefettura avesse infine convocato le parti a distanza di oltre un anno dal primo appuntamento, tale adempimento tardivo non esimeva l’Amministrazione dall’obbligo di concludere formalmente il procedimento avviato, in osservanza dell’art. 5, comma 9, del D.lgs. 286/1998. Quest’ultima disposizione prevede infatti un termine di 60 giorni entro cui decidere sulle istanze di permesso.

Pur considerando gli orientamenti giurisprudenziali che escludono il rilascio del permesso per attesa occupazione in caso di mancata instaurazione originaria del rapporto di lavoro, il T.A.R. ha ritenuto comunque doveroso un provvedimento espresso e motivato da parte dell’Amministrazione, poiché l’eventuale reperimento di una nuova opportunità lavorativa non può essere a priori escluso.

La sentenza dispone quindi l’obbligo per la Prefettura di pronunciarsi entro 30 giorni, nominando, in caso di ulteriore silenzio, un Commissario ad acta nella persona del Responsabile della Direzione Centrale per le Politiche Migratorie del Ministero dell’Interno. Le spese di giudizio sono poste a carico del Ministero, liquidate in € 1.000 oltre accessori.

Avv. Fabio Loscerbo

lunedì 28 luglio 2025

Annullata l’archiviazione del permesso di soggiorno per lavoro stagionale: la Questura non ha dimostrato l’avvenuta convocazioneTAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I – Sentenza n. 44/2025, R.G. n. 65/2024, pubblicata il 23 gennaio 2025

Annullata l’archiviazione del permesso di soggiorno per lavoro stagionale: la Questura non ha dimostrato l’avvenuta convocazione

TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I – Sentenza n. 44/2025, R.G. n. 65/2024, pubblicata il 23 gennaio 2025

Con la sentenza n. 44/2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia ha accolto il ricorso proposto avverso il provvedimento con cui la Questura di Gorizia aveva disposto l’archiviazione dell’istanza di rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro stagionale, ritenendo che il richiedente si fosse disinteressato al procedimento per non essersi presentato al ritiro del titolo.

1. I fatti oggetto del giudizio

L’interessato aveva presentato domanda in data 24 agosto 2022. Sebbene il permesso fosse stato formalmente emesso già nel novembre successivo, la Questura ne ha disposto l’archiviazione oltre un anno dopo, nel dicembre 2023, sul presupposto della mancata presentazione al ritiro.

Il ricorrente ha impugnato tale archiviazione, sostenendo di non aver mai ricevuto la convocazione per il ritiro del permesso, che gli sarebbe stato necessario per avanzare successivamente istanza di conversione in permesso per lavoro subordinato.

2. L’eccezione del Ministero e il suo rigetto

Nel giudizio si è costituito il Ministero dell’Interno, eccependo l’asserita carenza di interesse a ricorrere, dato che nel frattempo era stata presentata anche un’istanza di protezione internazionale. Il TAR ha respinto l’eccezione, rilevando che i due titoli di soggiorno hanno presupposti e finalità autonome, e che l’interesse al ricorso resta attuale, anche in assenza di decisione sulla protezione.

3. La violazione del dovere di comunicazione

Nel merito, il Collegio ha ritenuto fondate le doglianze, accertando che non vi era prova dell’invio dell’SMS per la convocazione al ritiro del permesso. Contrariamente a quanto sostenuto nel provvedimento impugnato, l’interessato aveva dimostrato un persistente interesse all’esito positivo del procedimento.

Il TAR ha ricordato che nei procedimenti ad istanza di parte, pur gravando sullo straniero un dovere di diligenza, l’Amministrazione non può presumere un disinteresse senza fondamento documentale certo, soprattutto in presenza di elementi che attestano una volontà collaborativa del richiedente.

4. La decisione del Tribunale

Il ricorso è stato accolto, con conseguente annullamento del provvedimento di archiviazione e con ordine alla Questura di Gorizia di rilasciare “ora per allora” il permesso di soggiorno richiesto, entro il termine di 30 giorni dalla comunicazione della sentenza.

Il TAR ha altresì condannato l’Amministrazione resistente alla rifusione delle spese di lite, liquidate in € 2.000, oltre accessori e rimborso del contributo unificato.

Questa pronuncia si pone in linea con l’orientamento giurisprudenziale che valorizza il principio di correttezza procedimentale e contrasta l’adozione di provvedimenti preclusivi fondati su presunzioni di fatto non supportate da elementi obiettivi, richiamando la necessità di tutela dell’interesse legittimo procedimentale anche in fase esecutiva.


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Avv. Fabio Loscerbo



T.A.R. Salerno: nessun risarcimento per il ritardo se non è provato il danno effettivo Sentenza n. 1270/2025, R.G. n. 226/2025, emessa in data 24 giugno 2025 dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sezione staccata di Salerno, Sezione Terza

 T.A.R. Salerno: nessun risarcimento per il ritardo se non è provato il danno effettivo

Sentenza n. 1270/2025, R.G. n. 226/2025, emessa in data 24 giugno 2025 dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sezione staccata di Salerno, Sezione Terza

Con la sentenza in epigrafe, il T.A.R. Salerno ha definito un ricorso proposto avverso il silenzio serbato dalla Questura di Salerno in merito a un’istanza di correzione dei dati anagrafici erroneamente riportati nel permesso di soggiorno.

Il ricorrente, cittadino tunisino, aveva segnalato alla Questura, tramite il proprio difensore, l’errata indicazione del codice fiscale e del luogo di nascita sul permesso aggiornato, sollecitando ripetutamente una rettifica. Non avendo ricevuto riscontro, aveva adito il giudice amministrativo per ottenere:
a) l’accertamento dell’illegittimità del silenzio;
b) l’ordine all’Amministrazione di provvedere mediante provvedimento espresso;
c) il risarcimento del danno da ritardo ex art. 2-bis, L. 241/1990;
d) l’indennizzo automatico da ritardo previsto dallo stesso articolo.

Durante il giudizio, l’Amministrazione ha provveduto alla correzione richiesta, consegnando il permesso rettificato e sostenendo l’intervenuta cessazione della materia del contendere. Il T.A.R. ha accolto tale eccezione limitatamente all’azione contro il silenzio, dichiarandone l’estinzione per sopravvenuto difetto di interesse.

Diversa la sorte delle domande risarcitorie e di indennizzo.

Il Collegio ha ricordato che, ai sensi dell’art. 2-bis della legge n. 241/1990, il risarcimento da ritardo non deriva automaticamente dal mero decorso dei termini, ma richiede la prova rigorosa del danno subito, del nesso causale e dell’elemento soggettivo della colpa o dolo dell’Amministrazione. Sul punto, è stato richiamato l’orientamento consolidato del Consiglio di Stato secondo cui l’onere probatorio grava integralmente sul ricorrente (Cons. Stato, Sez. II, 12 aprile 2021, n. 2960; Sez. III, 23 maggio 2025, n. 4507; Sez. VII, 21 maggio 2025, n. 4369). Nel caso di specie, il T.A.R. ha rilevato l’assenza di qualsiasi prova anche solo indiziaria circa l’effettivo danno subito, la sua entità e il collegamento causale con l’inerzia della Questura.

Parimenti infondata è stata ritenuta la domanda di indennizzo automatico da ritardo, poiché l’art. 28 del D.L. 69/2013 ha limitato l’applicabilità della norma ai soli procedimenti relativi all’esercizio di attività d’impresa. Non essendo mai intervenuta un’estensione normativa a procedimenti diversi, il T.A.R. ha dichiarato inammissibile la domanda per carenza della condizione dell’azione (Cons. Stato, Sez. III, sent. n. 2019/2025).

Infine, il Collegio ha disposto la compensazione delle spese, evidenziando la parziale soccombenza reciproca e il fatto che parte del ritardo era dipeso da un errore del sistema informatico dell’Agenzia delle Entrate.

Avv. Fabio Loscerbo

domenica 27 luglio 2025

Revoca nulla osta per errore del sistema informatico: il TAR FVG conferma la legittimità del provvedimento regionaleTAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I – Sentenza n. 85/2025, R.G. n. 23/2025, pubblicata il 13 marzo 2025

Revoca nulla osta per errore del sistema informatico: il TAR FVG conferma la legittimità del provvedimento regionale

TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I – Sentenza n. 85/2025, R.G. n. 23/2025, pubblicata il 13 marzo 2025

Con la sentenza n. 85/2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia ha rigettato il ricorso proposto da un cittadino straniero avverso il decreto della Regione Friuli Venezia Giulia di revoca del nulla osta al lavoro subordinato, originariamente rilasciato per effetto di un errore del sistema SPI 2.0.

1. Il contesto del caso

Il ricorrente aveva fatto ingresso in Italia nel maggio 2023, munito di visto per lavoro subordinato rilasciato dal Consolato italiano a Casablanca. Tuttavia, il relativo nulla osta – rilasciato dalla Regione FVG tramite il nuovo portale SPI 2.0 – era stato generato automaticamente a causa di un errore tecnico informatico, nonostante l’assenza di quote disponibili per lavoro non stagionale nel territorio regionale.

La Regione, una volta individuato l’errore, aveva notificato l’annullamento dei nulla osta rilasciati per tale tipologia di lavoro, informando tempestivamente sia il datore di lavoro sia l’ufficio visti del Consolato.

Nonostante ciò, il visto era stato rilasciato ugualmente e il ricorrente era entrato in Italia senza che fosse stata mai formalizzata la stipula del contratto di soggiorno, né l’instaurazione di un valido rapporto di lavoro.

2. Le doglianze del ricorrente

Il ricorrente contestava la legittimità del decreto di revoca, invocando:

l’art. 22 del D.lgs. 286/1998, comma 11, in combinato con la circolare del Ministero dell’Interno n. 3836/2007, che consente il rilascio di un permesso per attesa occupazione allo straniero impossibilitato a formalizzare il contratto di soggiorno per causa non imputabile;

la violazione dei principi di buona fede e tutela dell’affidamento.


3. La motivazione del TAR

Il Tribunale ha ritenuto infondate le censure del ricorrente, chiarendo che:

l’errore informatico non era imputabile all’Amministrazione, la quale si era tempestivamente attivata per revocare i nulla osta rilasciati irregolarmente;

il mancato perfezionamento del contratto di soggiorno e la mancata instaurazione di un rapporto di lavoro non consentono l’accesso al permesso per attesa occupazione, che presuppone – ex art. 22, comma 11, TUI – la perdita di un lavoro esistente, non la mancata assunzione iniziale;

la circolare ministeriale n. 3836/2007 non può applicarsi al caso in esame, in quanto il ricorrente non si era mai presentato presso lo Sportello Unico per la firma del contratto, né vi è prova che il datore di lavoro fosse disponibile all’assunzione.


Inoltre, il TAR ha rilevato che il visto era stato rilasciato malgrado la comunicazione dell’errore già inviata al Consolato, il che conferma l’assenza di responsabilità regionale e l’insussistenza di un affidamento tutelabile in capo al ricorrente.

4. Principi affermati

La sentenza chiarisce alcuni aspetti fondamentali:

l’ingresso in Italia con un visto ottenuto per errore informatico non può di per sé legittimare la permanenza, né fondare un affidamento giuridicamente rilevante;

l’automazione dei procedimenti amministrativi non può derogare ai presupposti normativi sostanziali, come la disponibilità di quote di ingresso;

la responsabilità consolare per il rilascio di visti in difformità alle indicazioni ricevute non incide sulla validità del provvedimento amministrativo regionale di revoca.


Il ricorso è stato quindi respinto integralmente, con compensazione delle spese di lite, in ragione della complessità tecnico-giuridica della vicenda.


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Avv. Fabio Loscerbo



Revoca del nulla osta per lavoro subordinato e limiti dell’accertamento sulla capacità economica del datore di lavoro Tribunale: TAR Toscana, Sezione Seconda Numero di registro generale: R.G. n. 955/2023 Data di pubblicazione della sentenza: 30 maggio 2025

 Revoca del nulla osta per lavoro subordinato e limiti dell’accertamento sulla capacità economica del datore di lavoro

Tribunale:
TAR Toscana, Sezione Seconda

Numero di registro generale:
R.G. n. 955/2023

Data di pubblicazione della sentenza:
30 maggio 2025


Con la sentenza n. 961/2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana ha respinto un ricorso proposto avverso il provvedimento di revoca del nulla osta al lavoro subordinato rilasciato nell’ambito dei flussi d’ingresso 2022, nonché contro il successivo rigetto dell’istanza di riesame.

Il caso riguardava un’impresa individuale attiva nel settore edile, la quale aveva ottenuto, in prima battuta, un nulla osta per l’assunzione di un lavoratore straniero ai sensi dell’art. 42 del D.L. 73/2022. A seguito di verifiche sulla “consistenza economica” e sulla “correntezza contributiva” del datore di lavoro, la Prefettura di Firenze ha proceduto alla revoca del nulla osta. In sede procedimentale e poi contenziosa, la parte ricorrente ha dedotto violazioni di legge, carenza istruttoria, insufficienza motivazionale e lesione di principi costituzionali ed eurounitari, invocando, tra l’altro, la sopravvenuta disponibilità di documentazione reddituale aggiornata, inclusiva di dichiarazioni dei redditi 2022 e bilanci 2023–2024.

Il TAR ha tuttavia ritenuto infondate le censure. In primo luogo, ha escluso il carattere meramente “apparente” della motivazione amministrativa, che si è fondata su parametri normativi chiari, quali quelli previsti dall’art. 44 del D.L. 73/2022, dalla circolare INL n. 3/2022 e dal d.m. 27 maggio 2020. Tali fonti indicano come criterio essenziale la sussistenza, per ciascun lavoratore richiesto, di un reddito o fatturato non inferiore a 30.000 euro annui, da dimostrare attraverso l’ultima dichiarazione dei redditi o bilancio d’esercizio disponibile alla data di presentazione della domanda.

Secondo il Tribunale, la Prefettura ha legittimamente fondato la revoca sull’insufficiente capacità economico-finanziaria emersa dai dati relativi all’anno 2021, anno di riferimento per le istanze sui flussi 2022. La successiva produzione di documenti relativi agli esercizi 2022 e 2023 non può incidere sulla legittimità del provvedimento, in quanto sopravvenuta alla data di revoca e non idonea a riaprire i termini istruttori, bensì solo a giustificare nuove istanze per flussi futuri.

Interessante anche il chiarimento giurisprudenziale secondo cui l’asseverazione ex art. 44 D.L. 73/2022 non può essere utilizzata per fondare richieste basate su scenari ipotetici o prospettici, essendo richiesta invece una capacità economica già consolidata alla data della domanda. Tale posizione è conforme a un orientamento restrittivo che valorizza l’effettività delle condizioni di sostenibilità economica come garanzia della regolarità e serietà del rapporto di lavoro proposto.

Infine, il TAR ha ritenuto superflua la disamina delle ulteriori motivazioni (coerenza del CCNL applicato e correntezza contributiva), trattandosi di un provvedimento amministrativo “plurimotivato”, sorretto in autonomia dalla sola carenza di capacità economica.

Conclusione:
La sentenza conferma l’indirizzo rigoroso in tema di valutazione della capacità economica dei datori di lavoro nei procedimenti di rilascio o revoca del nulla osta al lavoro subordinato nell’ambito dei flussi, e riafferma l’impossibilità di far valere documentazione sopravvenuta in sede di riesame quale fondamento per modificare retroattivamente gli effetti di un provvedimento legittimo.


Avv. Fabio Loscerbo

sabato 26 luglio 2025

Conversione del permesso da lavoro stagionale a subordinato: quando l’autotutela amministrativa sana il diniegoNota a TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, sentenza 13 marzo 2025, n. 90 – R.G. 261/2024

Conversione del permesso da lavoro stagionale a subordinato: quando l’autotutela amministrativa sana il diniego
Nota a TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, sentenza 13 marzo 2025, n. 90 – R.G. 261/2024

Avv. Fabio Loscerbo


Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia, con la sentenza n. 90 del 13 marzo 2025, ha dichiarato la cessazione della materia del contendere nel giudizio promosso contro il rigetto, da parte della Questura di Gorizia, dell’istanza di conversione del permesso di soggiorno da lavoro stagionale a subordinato.

1. Il fatto processuale

Il ricorso era stato presentato avverso il decreto questorile del 2 luglio 2024, con cui si respingeva la richiesta di conversione del permesso di soggiorno stagionale in permesso per lavoro subordinato.

Tuttavia, in data 3 ottobre 2024, la Questura ha annullato d’ufficio il provvedimento gravato, accogliendo in autotutela l’istanza di riesame e tenendo conto delle motivazioni espresse nell’ordinanza cautelare n. 78/2024 emessa dallo stesso TAR in fase cautelare.

2. La pronuncia

In udienza pubblica il 19 febbraio 2025, il Collegio ha preso atto della dichiarazione congiunta di cessazione della materia del contendere e ha emesso una sentenza ai sensi dell’art. 34, co. 5, c.p.a., compensando le spese per giusti motivi.

Si evidenzia che la sentenza non contiene statuizioni sul merito, ma prende atto dell’avvenuto accoglimento sostanziale della domanda amministrativa, a seguito del ritiro del diniego originario.

3. Osservazioni

La vicenda si inserisce nel quadro delle numerose controversie relative alla conversione del permesso di soggiorno da lavoro stagionale a subordinato, ambito in cui l’oscillante giurisprudenza e l’assenza di prassi uniformi rendono frequente il contenzioso.

In questo caso, l’Amministrazione ha adottato un comportamento conforme al principio di legalità e buon andamento, mostrando attenzione ai rilievi giurisdizionali espressi in sede cautelare. Si tratta di un esempio virtuoso di autotutela amministrativa tempestiva, che evita la prosecuzione inutile del giudizio e consente una soluzione favorevole al ricorrente senza attendere la pronuncia nel merito.

Il TAR, da parte sua, ha correttamente ritenuto di non pronunciarsi nel merito e ha disposto la compensazione delle spese, in considerazione della natura della vicenda e del comportamento collaborativo dell’Amministrazione.

4. Conclusioni

La sentenza n. 90/2025 segnala l’importanza dell’istituto dell’autotutela anche nel contesto della gestione delle pratiche di soggiorno, e dimostra come l’interlocuzione giudiziale possa favorire soluzioni amministrative rapide ed efficaci, specie laddove la legittimità del diniego risulti già compromessa da una valutazione cautelare sfavorevole all’Amministrazione.




Il TAR Toscana dichiara il difetto di giurisdizione sul diniego di rinnovo del permesso per motivi familiari: la controversia spetta al giudice ordinario Tribunale: Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana – Sezione Seconda Numero di R.G.: 653/2024 Data di emissione: 7 luglio 2025

 Il TAR Toscana dichiara il difetto di giurisdizione sul diniego di rinnovo del permesso per motivi familiari: la controversia spetta al giudice ordinario

Tribunale: Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana – Sezione Seconda
Numero di R.G.: 653/2024
Data di emissione: 7 luglio 2025


Con sentenza n. 1294/2025, il TAR Toscana, Sezione Seconda, ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in relazione al ricorso promosso avverso un provvedimento di irricevibilità della richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi familiari, adottato dalla Questura di Arezzo.

Il giudice ha chiarito che, sebbene formalmente impugnato come vizio procedimentale (omessa comunicazione di avvio del procedimento e mancato preavviso di rigetto), il ricorso introduceva in realtà una domanda sostanziale finalizzata al riconoscimento del diritto al soggiorno in Italia per ragioni familiari. Tale qualificazione sostanziale del petitum ha condotto il TAR a ritenere che la giurisdizione dovesse appartenere al giudice ordinario, ai sensi dell’art. 30, comma 6, del d.lgs. n. 286/1998, trattandosi di diritti soggettivi.

È stato inoltre revocato il decreto di ammissione al patrocinio a spese dello Stato precedentemente concesso alla parte ricorrente, in conformità all’art. 136 del d.P.R. n. 115/2002, proprio in ragione della declaratoria di difetto di giurisdizione. Le spese di lite sono state compensate in considerazione della natura della vicenda.


Nota di commento:
La decisione del TAR rafforza l’orientamento per cui la giurisdizione è ordinaria quando il ricorso, anche se mascherato da doglianza procedimentale, mira in realtà a ottenere il riconoscimento del diritto al soggiorno sulla base di presupposti sostanziali. Questo ribadisce l’importanza di un’attenta qualificazione dell’azione giudiziaria in materia di immigrazione, specie nei casi in cui i titoli di soggiorno abbiano matrice familiare.


Avv. Fabio Loscerbo

venerdì 25 luglio 2025

Conversione del permesso per minore età e pericolosità sociale: la linea rigorosa del TAR Friuli Venezia GiuliaNota a TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, sentenza 31 maggio 2025, n. 233 – R.G. 96/2025

Conversione del permesso per minore età e pericolosità sociale: la linea rigorosa del TAR Friuli Venezia Giulia
Nota a TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, sentenza 31 maggio 2025, n. 233 – R.G. 96/2025

Avv. Fabio Loscerbo


Con la sentenza n. 233/2025, il TAR Friuli Venezia Giulia ha rigettato il ricorso proposto da un cittadino egiziano, già titolare di permesso di soggiorno per minore età, contro il rigetto della domanda di conversione in permesso per attesa occupazione. Il caso offre l’occasione per riflettere sui margini effettivi di tutela dei minori stranieri non accompagnati, una volta raggiunta la maggiore età, quando la loro condotta confligge con i requisiti di ordine pubblico richiesti dall’ordinamento.

1. Il contesto fattuale

Il ricorrente, giunto irregolarmente in Italia come minore nel 2023, aveva ottenuto un permesso ex art. 32 TUI. Dopo l’allontanamento da una prima struttura, era stato nuovamente affidato e identificato con nuove generalità. Durante la sua permanenza in Italia, aveva accumulato una lunga serie di precedenti penali, per reati commessi da minorenne e da maggiorenne, tra cui furti, lesioni, resistenza a pubblico ufficiale, oltraggio, rissa e istigazione alla discriminazione razziale.

2. Il diniego della Questura

La Questura di Udine ha rigettato l’istanza di conversione del permesso, valorizzando:

la valutazione di pericolosità sociale ex art. 4, co. 3 TUI;

il pregresso avviso orale ex art. 3 co. 3-bis D.lgs. 159/2011 (misura di prevenzione antimafia);

l’assenza di integrazione sociale e di un alloggio idoneo;

la mancanza di legami familiari in Italia e la presenza di “forti legami con il Paese d’origine”.


3. Le doglianze del ricorrente

Il ricorrente ha eccepito la violazione:

dell’art. 10-bis L. 241/1990, per omessa comunicazione dei motivi ostativi;

dell’art. 32 TUI e dell’art. 14 del DPR 394/1999, per l’assenza del parere del Comitato per i minori stranieri;

dell’art. 18-ter TUI, in quanto asserita vittima di sfruttamento lavorativo.


4. La decisione del TAR

Il TAR ha respinto tutte le censure, ritenendo il provvedimento:

sufficientemente motivato con riferimento alla pericolosità sociale attuale, in base a numerosi deferimenti all’A.G.;

non soggetto a obbligo di preavviso ex art. 10-bis, trattandosi di atto vincolato per legge;

esente da vizi per mancato parere del Comitato, poiché recessivo rispetto alla valutazione di sicurezza pubblica;

non fondato sulla presunta vittima di sfruttamento lavorativo, poiché privo di elementi minimi di riscontro fattuale.


Il TAR ha inoltre revocato il patrocinio a spese dello Stato, ai sensi dell’art. 136 DPR 115/2002, per manifesta infondatezza del ricorso.

5. Spunti critici e considerazioni

La pronuncia, coerente con l’indirizzo prevalente in giurisprudenza, conferma che la valutazione sulla pericolosità sociale costituisce un limite insuperabile alla stabilizzazione del soggiorno anche in presenza di un pregresso status protetto (permesso per minore età).

Il provvedimento impugnato si configura come atto vincolato, frutto di un giudizio amministrativo autonomo e non subordinato all’esito di condanne penali definitive. È sufficiente, secondo la giurisprudenza costante, la sussistenza di fatti oggettivamente rivelatori di pericolosità sociale, anche se non sfociati in condanna.

In secondo luogo, si evidenzia come la funzione riabilitativa e protettiva del permesso per minore età tenda a svanire con la maggiore età, qualora il comportamento del soggetto ne contraddica radicalmente la finalità.

Infine, la sentenza lascia trasparire un orientamento tendenzialmente restrittivo nell’interpretazione dell’art. 18-ter TUI, la cui applicabilità resta confinata a casi strutturati e documentati di sfruttamento lavorativo, con riscontro da parte dell’autorità pubblica.

6. Conclusioni

La decisione del TAR Friuli Venezia Giulia n. 233/2025 segna un confine netto tra la tutela garantita ai minori stranieri non accompagnati e la valutazione della loro condotta al raggiungimento della maggiore età. Il sistema mostra un volto severo, che predilige l’interesse generale alla sicurezza pubblica rispetto alla prosecuzione dei percorsi individuali di regolarizzazione, soprattutto in presenza di condotte penalmente rilevanti.



Revoca nulla osta per lavoro non stagionale: legittimità confermata anche in caso di rinuncia del datore di lavoro Nota a T.A.R. Toscana, Sez. II, sent. n. 1360/2025, R.G. 716/2025, depositata il 14 luglio 2025

 Revoca nulla osta per lavoro non stagionale: legittimità confermata anche in caso di rinuncia del datore di lavoro

Nota a T.A.R. Toscana, Sez. II, sent. n. 1360/2025, R.G. 716/2025, depositata il 14 luglio 2025

Con sentenza n. 1360/2025, emessa in data 14 luglio 2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana – Sezione Seconda – ha respinto il ricorso proposto avverso la revoca del nulla osta al lavoro subordinato non stagionale disposto dallo Sportello Unico per l’Immigrazione di Arezzo, a seguito di comunicazione di rinuncia da parte del datore di lavoro.

1. I fatti di causa
Due cittadini stranieri, entrati regolarmente in Italia il 26 dicembre 2024 in forza di nulla osta rilasciati a settembre 2024, hanno impugnato i provvedimenti di revoca adottati in data 13 dicembre 2024. La revoca si fondava sulla comunicazione, da parte del datore di lavoro, della propria rinuncia all’assunzione, formalizzata con istanza del 29 novembre 2024. I ricorrenti hanno eccepito che tale rinuncia non fosse loro imputabile, ma derivasse da sopravvenute difficoltà economiche dell’impresa, intervenute nel periodo intercorrente tra la domanda e l’effettivo ingresso dei lavoratori in Italia.

2. Le argomentazioni difensive e il rigetto del ricorso
Secondo i ricorrenti, l’Amministrazione avrebbe dovuto valutare soluzioni alternative, come il subentro di un nuovo datore di lavoro o il rilascio di un permesso di soggiorno per attesa occupazione. Il T.A.R., nel pronunciarsi, ha tuttavia richiamato la giurisprudenza consolidata del Consiglio di Stato (in particolare, C.d.S., Sez. III, n. 3158/2025 e n. 4839/2025), secondo cui il permesso per attesa occupazione presuppone l’interruzione di un rapporto lavorativo effettivamente instaurato e successivamente cessato per causa non imputabile al lavoratore. Ne consegue che, in assenza della sottoscrizione del contratto di soggiorno e dell’avvio del rapporto di lavoro, la revoca del nulla osta è atto dovuto e legittimo.

3. Valutazione della condotta della P.A.
Nonostante l’ordinanza cautelare favorevole ai ricorrenti (n. 187/2025), che ordinava all’Amministrazione il deposito di una relazione istruttoria (poi non trasmessa), il Collegio ha ritenuto che la fondatezza nel merito delle deduzioni fosse comunque carente. L’obbligo della P.A. non si estende al rilascio del permesso per attesa occupazione se manca un precedente rapporto contrattuale regolarmente instaurato.

4. Conclusioni
Il ricorso è stato definitivamente respinto e le spese compensate per la natura particolare della fattispecie.


Avv. Fabio Loscerbo

giovedì 24 luglio 2025

Cittadinanza italiana e requisiti oggettivi: il TAR Friuli Venezia Giulia ribadisce l’inflessibilità su residenza legale e reddito sufficienteNota a TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, sentenza 31 maggio 2025, n. 235 – R.G. n. 00458/2024

Cittadinanza italiana e requisiti oggettivi: il TAR Friuli Venezia Giulia ribadisce l’inflessibilità su residenza legale e reddito sufficiente
Nota a TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, sentenza 31 maggio 2025, n. 235 – R.G. n. 00458/2024

Avv. Fabio Loscerbo

Il TAR Friuli Venezia Giulia, con sentenza n. 235 del 31 maggio 2025, ha rigettato il ricorso proposto da un cittadino camerunense avverso il provvedimento prefettizio di inammissibilità della domanda di cittadinanza italiana per residenza decennale (ex art. 9, co. 1, lett. f), L. 91/1992), fondato sulla mancanza di continuità anagrafica e sull’insufficienza del reddito.

1. I fatti di causa

Il ricorrente, titolare di permesso di soggiorno di lungo periodo, aveva presentato nel 2019 istanza di cittadinanza, rigettata nel 2024 per due ordini di motivi:

cancellazione anagrafica per irreperibilità dal Comune di Farra di Soligo (TV) nel gennaio 2024, e successiva iscrizione anagrafica solo a luglio dello stesso anno presso il Comune di Palmanova (UD);

insufficienza del reddito imponibile nei bienni 2021-2022, in relazione al nucleo familiare dichiarato.


2. La decisione del TAR

Il Tribunale ha dato piena ragione alla Prefettura, ritenendo legittimo il diniego per entrambe le motivazioni, con un richiamo articolato alla giurisprudenza di legittimità e di merito.

a) Continuità della residenza legale

Il TAR ha ribadito che la residenza ultradecennale deve essere:

effettiva, legalmente registrata e continuativa sin dalla presentazione della domanda e fino al giuramento;

documentata esclusivamente tramite l’iscrizione anagrafica, senza possibilità di prova alternativa.


È stato ritenuto irrilevante che il ricorrente avesse tentato di opporsi alla cancellazione anagrafica, giacché l’istanza era stata formalmente respinta dal Comune e non impugnata davanti al giudice ordinario, unico competente in materia di stato civile e residenza.

b) Requisito reddituale

Il Collegio ha riaffermato che:

la capacità reddituale è condizione essenziale per la naturalizzazione e deve sussistere sia nel triennio precedente alla domanda, sia fino al giuramento (art. 4, co. 7, DPR 572/1993);

non è ammessa alcuna deroga o giustificazione soggettiva (motivi familiari, personali o di salute) in caso di carenza reddituale, poiché la normativa richiede un dato oggettivo, documentabile e durevole.


La decisione si fonda su un consolidato orientamento che collega l’adeguatezza reddituale alla capacità del richiedente di integrarsi, contribuire al sistema fiscale e non gravare sull’erario pubblico (Cons. Stato, nn. 8042/2022; 3143/2023; TAR Lazio, V bis, n. 4309/2025).

3. Osservazioni critiche

La sentenza riflette una lettura rigorosa e formalista dei presupposti per l’accesso alla cittadinanza italiana, orientata a salvaguardare l’interesse pubblico alla coesione e sicurezza sociale. Tuttavia, si conferma ancora una volta la rigidità del sistema, incapace di valorizzare circostanze eccezionali o transitorie che possono compromettere, in modo non colpevole, uno dei due requisiti richiesti.

Il TAR si uniforma al principio secondo cui la cittadinanza non è un diritto, ma un atto discrezionale concessorio, subordinato alla verifica tecnica di condizioni predeterminate. Ne deriva una configurazione della cittadinanza come riconoscimento post-integrativo, piuttosto che come strumento per favorire l’inclusione.

4. Conclusioni

La sentenza n. 235/2025 rappresenta l’ennesima conferma dell’orientamento giurisprudenziale che reputa insuperabile la cancellazione anagrafica per irreperibilità, anche se di breve durata, e che non tollera flessioni sul piano reddituale, neppure in presenza di cause documentate.

Per i difensori e gli operatori legali, è essenziale:

vigilare sulla continuità formale dell’iscrizione anagrafica dei propri assistiti;

valutare ex ante l’effettiva sostenibilità dei parametri reddituali richiesti, sin dalla fase della domanda;

suggerire, ove vi siano elementi contestabili, un contenzioso parallelo in sede ordinaria per impugnare eventuali cancellazioni anagrafiche.





Revoca del nulla-osta e impossibilità di ottenere il permesso per attesa occupazione: legittimità confermata dal TAR Toscana Tribunale: Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana – Sezione Seconda Numero di R.G.: 116/2025 Data di emissione: 14 luglio 2025

 Revoca del nulla-osta e impossibilità di ottenere il permesso per attesa occupazione: legittimità confermata dal TAR Toscana

Tribunale: Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana – Sezione Seconda
Numero di R.G.: 116/2025
Data di emissione: 14 luglio 2025


Con la sentenza n. 1361/2025, il TAR Toscana ha respinto il ricorso presentato da un lavoratore straniero avverso il provvedimento della Prefettura di Massa Carrara che aveva disposto la revoca del nulla-osta al lavoro subordinato, negando contestualmente il rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione.

Il ricorrente si trovava in Italia a seguito di un visto di ingresso per motivi di lavoro subordinato, richiesto da un datore di lavoro che, tuttavia, successivamente alla concessione del nulla-osta, aveva manifestato la propria indisponibilità ad assumere il lavoratore, giustificando la decisione con la "mancanza di rapporto fiduciario".

Di fronte a tale rinuncia, il lavoratore aveva invocato la possibilità di ottenere un permesso per attesa occupazione, richiamando la circolare ministeriale n. 3836 del 20 agosto 2007. Secondo tale documento, sarebbe possibile richiedere il permesso anche nei casi in cui l’assunzione non si concretizzi per rinuncia del datore, purché lo Sportello Unico certifichi tale indisponibilità.

La Prefettura, tuttavia, ha rigettato tale possibilità, ritenendo che il caso in questione non rientrasse tra le ipotesi eccezionali che consentono la conversione del nulla-osta in permesso per attesa occupazione, come previsto dalla normativa vigente (ad es. morte o fallimento del datore, licenziamento del lavoratore già assunto).

Il TAR ha confermato la posizione dell’amministrazione, richiamando la giurisprudenza del Consiglio di Stato (sez. III, n. 3158/2025; n. 4839/2025), secondo cui il rilascio del permesso per attesa occupazione presuppone un rapporto di lavoro effettivamente instaurato e successivamente interrotto per cause non imputabili al lavoratore. Nel caso di specie, non essendoci mai stata la sottoscrizione del contratto di soggiorno né l’instaurazione del rapporto di lavoro, la revoca del nulla-osta è stata ritenuta conforme a legge.

Il Collegio, valutando l’assenza di colpa nel comportamento del ricorrente e la peculiarità del caso, ha comunque disposto la compensazione delle spese processuali tra le parti.


Avv. Fabio Loscerbo

mercoledì 23 luglio 2025

Il TAR FVG ribadisce la validità dell’attestazione consolare per la conversione del permesso di soggiornoTAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I – Sentenza n. 236/2025 del 31 maggio 2025, R.G. n. 131/2025

 Il TAR FVG ribadisce la validità dell’attestazione consolare per la conversione del permesso di soggiorno

TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I – Sentenza n. 236/2025 del 31 maggio 2025, R.G. n. 131/2025

Con la sentenza n. 236/2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia ha accolto il ricorso di un cittadino beninese contro il provvedimento della Questura di Udine che aveva negato la conversione del permesso di soggiorno da “minore età” a “motivi di affidamento”, per asserita mancanza di passaporto.

Il caso

Il giovane ricorrente, già beneficiario di un permesso di soggiorno per minore età e destinatario di un provvedimento del Tribunale per i Minorenni di Trieste che disponeva il prolungamento dell’affidamento ai sensi dell’art. 13, comma 2, L. 47/2017, aveva presentato istanza di conversione del titolo di soggiorno nel novembre 2023. Tuttavia, la Questura di Udine ha rigettato l’istanza, motivando che il richiedente non avrebbe fornito copia del passaporto o di documento equipollente.

La decisione del Tribunale

Il TAR ha ritenuto fondata la doglianza del ricorrente, censurando la violazione dell’art. 9, comma 3, del D.P.R. 394/1999. Tale norma consente l’utilizzo di documenti equipollenti al passaporto — quali le attestazioni consolari — purché contengano gli elementi essenziali per l’identificazione: nazionalità, data e luogo di nascita.

Nel caso concreto, il ricorrente aveva prodotto una carta d’identità consolare rilasciata dal Consolato del Benin a Venezia, accompagnata dal certificato di nascita, ed aveva dimostrato documentalmente l’impossibilità di ottenere il passaporto in Italia. Il Collegio ha sottolineato che tale documentazione soddisfa pienamente i requisiti normativi e che la mancata considerazione da parte dell’Amministrazione costituisce un vizio istruttorio e motivazionale.

Il TAR ha richiamato anche giurisprudenza conforme (TAR Veneto n. 2508/2024, TAR Emilia-Romagna n. 134/2024, TAR Lazio n. 10072/2017), che riconosce la piena validità delle attestazioni consolari nei casi di impossibilità oggettiva a ottenere un passaporto.

Chiarimenti sul ruolo del provvedimento del Tribunale per i Minorenni

Significativa è anche la precisazione del Tribunale circa la natura e la funzione del decreto del Tribunale per i Minorenni: sebbene utile ai fini della valutazione del percorso di integrazione del minore straniero, esso non sostituisce il titolo di soggiorno, che rimane soggetto all’autonoma valutazione della Questura ai sensi dell’art. 5 del T.U. Immigrazione.

Effetti della sentenza

Il provvedimento della Questura è stato annullato e l’Amministrazione dovrà riesaminare la posizione del ricorrente, conformandosi al principio secondo cui l’attestazione consolare può sostituire il passaporto nei casi di impossibilità documentata. Il TAR ha inoltre ammesso in via definitiva il ricorrente al patrocinio a spese dello Stato, con spese compensate in ragione della peculiarità della vicenda.

Considerazioni conclusive

La sentenza riafferma un principio fondamentale in materia di diritto degli stranieri: la tutela dell’integrazione e del percorso educativo del minore non accompagnato non può essere vanificata da rigidità documentali, specie quando l’interessato abbia fornito prova dell’impossibilità di ottenere un passaporto. L’attestazione consolare, in presenza di tutti i requisiti formali, deve essere considerata strumento idoneo e sufficiente per la conversione del titolo di soggiorno.

Avv. Fabio Loscerbo



Revoca del permesso di lungo soggiorno e falsità del contratto di locazione: il TAR Toscana chiarisce i limiti dell’accertamento amministrativo Nota a TAR Toscana, Sez. II, sentenza n. 1363/2025, R.G. n. 1889/2024, emessa l’8 luglio 2025 e pubblicata il 14 luglio 2025

 Revoca del permesso di lungo soggiorno e falsità del contratto di locazione: il TAR Toscana chiarisce i limiti dell’accertamento amministrativo

Nota a TAR Toscana, Sez. II, sentenza n. 1363/2025, R.G. n. 1889/2024, emessa l’8 luglio 2025 e pubblicata il 14 luglio 2025

Con la sentenza in oggetto, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana ha respinto il ricorso presentato avverso il provvedimento di revoca del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, adottato dalla Questura di Grosseto.

1. I fatti di causa

Il ricorrente aveva ricevuto, in data 23 agosto 2024, la notifica del decreto di rigetto dell’istanza di aggiornamento del permesso e contestuale revoca del titolo di soggiorno. L’atto si fondava su un sequestro penale disposto in pari data dalla Squadra Mobile, relativo a un contratto di locazione che l’Amministrazione riteneva falso, poiché la locatrice aveva dichiarato di non aver mai stipulato il contratto in questione, sebbene la registrazione presso l’Agenzia delle Entrate risultasse formalmente regolare.

Il ricorrente, pur insistendo sull’infondatezza dell’addebito e sulla necessità di un accertamento penale per stabilire l’eventuale responsabilità, non ha fornito in giudizio elementi utili a comprovare la reale disponibilità dell’alloggio dichiarato.

2. Le motivazioni del rigetto

Il TAR ha ritenuto legittima la revoca del titolo in base a quanto previsto dall’art. 16, comma 2, del D.P.R. n. 394/1999, il quale impone al richiedente di indicare il luogo di residenza. In assenza di prova circa l’effettiva disponibilità dell’immobile, e in presenza di fondati elementi indiziari (tra cui il sequestro del contratto per presunta falsità), l’Amministrazione ha esercitato un potere discrezionale congruamente motivato.

Non è rilevante, ai fini del giudizio amministrativo, l’eventuale accertamento penale sulla consapevolezza della falsità, dal momento che ciò che assume rilevanza è la non veridicità dell’indicazione fornita, che incide direttamente sulla legittimità del soggiorno.

3. La decisione del Collegio

Il Collegio ha confermato la legittimità dell’operato della Questura, sottolineando che il ricorrente non ha dimostrato di aver avuto realmente la disponibilità dell’alloggio e che la contestazione penale non sospende né inficia l’efficacia del provvedimento amministrativo. Le spese sono state compensate, tenuto conto della particolarità della vicenda.

Osservazioni conclusive

La pronuncia si colloca nell’alveo di una giurisprudenza sempre più rigorosa nel valutare la regolarità dei requisiti documentali a sostegno delle istanze di soggiorno, in particolare in presenza di elementi sospetti che possono minare l’affidabilità del richiedente. La sentenza ricorda come l’onere probatorio circa la veridicità della documentazione prodotta gravi interamente sullo straniero e che la disponibilità dell’alloggio non è un requisito meramente formale, bensì sostanziale, che deve essere effettivamente dimostrato.

Avv. Fabio Loscerbo

martedì 22 luglio 2025

Il rigetto del permesso di soggiorno per tirocinio confermato dal TAR FVG: nessuna deroga per condanne ostative graviTAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I – Sentenza n. 237/2025 del 31 maggio 2025, R.G. n. 207/2025

Il rigetto del permesso di soggiorno per tirocinio confermato dal TAR FVG: nessuna deroga per condanne ostative gravi

TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I – Sentenza n. 237/2025 del 31 maggio 2025, R.G. n. 207/2025

Con la sentenza n. 237/2025, pubblicata il 31 maggio 2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia ha rigettato il ricorso proposto da un cittadino albanese contro il provvedimento con cui la Questura di Udine aveva negato il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di tirocinio, richiamando la sussistenza di gravi precedenti penali ostativi all’ingresso e al soggiorno nel territorio italiano.

Il caso

Il ricorrente, già minorenne straniero non accompagnato in Italia, aveva fatto rientro nel Paese nel 2022 munito di visto per tirocinio. Successivamente, aveva chiesto il rilascio di un permesso di soggiorno ai sensi dell’art. 27, comma 1, lett. f) del d.lgs. 286/1998 (lavoro in casi particolari), ma l’istanza era stata rigettata a seguito dell’emersione di condanne definitive per reati gravi commessi durante il precedente soggiorno in Italia, tra cui rapina, lesioni personali e furti aggravati.

La Questura, preso atto della gravità dei reati e dell’assenza di legami familiari significativi in Italia, aveva ritenuto insussistenti i presupposti normativi per il rilascio del titolo di soggiorno. Il ricorrente impugnava il diniego, contestando l’automatismo della valutazione e l’assenza di un bilanciamento con la sua attuale condizione personale.

La decisione del Tribunale

Il TAR ha confermato integralmente il provvedimento amministrativo, evidenziando che l’art. 4, comma 3, del TUI prevede il rigetto automatico del permesso in presenza di condanne per i reati elencati nell’art. 380 c.p.p., senza necessità di valutazioni discrezionali circa la pericolosità sociale, salvo l’esistenza di legami familiari significativi ai sensi dell’art. 29 TUI. Nel caso di specie, l’unico familiare presente in Italia risultava essere uno zio, non rientrante tra i soggetti rilevanti per la deroga.

Il Collegio ha inoltre ritenuto non applicabile la recente sentenza della Corte costituzionale n. 88/2023, in quanto riferita a fattispecie meno gravi (art. 73, comma 5, T.U. Stupefacenti e art. 474, comma 2 c.p.), mentre i reati per cui era stato condannato il ricorrente rientrano tra quelli connotati da una particolare allarmante gravità.

In merito alla motivazione, il TAR ha ribadito che, in presenza di condanne per fatti penalmente gravi, l’Amministrazione può fondare la propria decisione sull’oggettiva intollerabilità della condotta, senza necessità di ulteriori approfondimenti istruttori, soprattutto in mancanza di elementi soggettivi meritevoli di tutela (come legami familiari o sociali in Italia).

Considerazioni conclusive

La pronuncia si pone in continuità con l’orientamento giurisprudenziale maggioritario, che riconosce al legislatore ampia discrezionalità nella individuazione delle ipotesi in cui l’interesse alla sicurezza pubblica prevale in via automatica. Essa rappresenta un ulteriore consolidamento del principio per cui, fatta eccezione per i casi di diritto all’unità familiare, non è consentito il rilascio o il rinnovo del titolo di soggiorno a cittadini stranieri condannati per reati di elevata gravità, anche se risalenti nel tempo.

Avv. Fabio Loscerbo

La riabilitazione annulla la revoca automatica del nulla osta: il TAR Toscana ribadisce i limiti dell'automatismo nei giudizi sull’affidabilità dello straniero

 

La riabilitazione annulla la revoca automatica del nulla osta: il TAR Toscana ribadisce i limiti dell'automatismo nei giudizi sull’affidabilità dello straniero

Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana – Sezione Seconda
Sentenza n. 1365/2025
R.G. n. 1848/2024 – Udienza dell’8 luglio 2025 – Pubblicazione il 14 luglio 2025

Con la sentenza in epigrafe, il TAR Toscana ha accolto il ricorso presentato avverso il provvedimento di revoca del nulla osta al lavoro, emesso dalla Prefettura di Massa Carrara nei confronti di uno straniero già titolare del relativo titolo in seguito a regolare istanza del datore di lavoro.

La revoca era stata motivata dalla sussistenza di condanne penali qualificate come ostative. Tuttavia, prima dell’adozione dell’atto, il difensore del ricorrente aveva formalmente comunicato l'avvenuto deposito dell’istanza di riabilitazione e chiesto la sospensione del procedimento amministrativo. Nonostante ciò, l’Amministrazione ha proseguito, revocando il nulla osta.

La riabilitazione, in effetti, è sopravvenuta dopo pochi giorni, determinando la proposizione del ricorso e l’accoglimento dell’istanza cautelare con ordinanza dell’11 dicembre 2024, la quale aveva sospeso gli effetti della revoca e ordinato il ripristino del nulla osta in attesa della decisione di merito.

Nel giudizio, il TAR ha richiamato un consolidato orientamento giurisprudenziale del Consiglio di Stato (sentenze n. 6781/2020, n. 23/2016 e n. 4685/2013), ribadendo che:

"L’intervento del giudice penale con la pronuncia di riabilitazione modifica la percezione giuridica e sociale della condanna penale, attenuandone gli effetti e facendo venir meno l’automatismo ostativo previsto dal legislatore in materia di permessi di soggiorno".

La sentenza chiarisce inoltre che, a fronte di una riabilitazione, l’Amministrazione non può limitarsi a invocare la mera esistenza del reato pregresso, ma deve procedere ad una nuova valutazione discrezionale, considerando:

  • il periodo di permanenza in Italia,

  • la stabilità lavorativa,

  • il tempo trascorso dal reato,

  • l’assenza di recidiva,

  • il grado di integrazione sociale.

L’omissione di tale istruttoria è stata giudicata motivo di illegittimità, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.

Le spese sono state compensate per la particolarità del caso.


Avv. Fabio Loscerbo

lunedì 21 luglio 2025

Mancata presentazione per i rilievi: il TAR Catania conferma il rigetto della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno Nota a TAR Sicilia – Sezione staccata di Catania, Sezione IV, sentenza n. 2159/2025, R.G. n. 1179/2025, pubblicata l’8 luglio 2025 Avv. Fabio Loscerbo

Mancata presentazione per i rilievi: il TAR Catania conferma il rigetto della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno

Nota a TAR Sicilia – Sezione staccata di Catania, Sezione IV, sentenza n. 2159/2025, R.G. n. 1179/2025, pubblicata l’8 luglio 2025
Avv. Fabio Loscerbo

Con la sentenza n. 2159/2025, pubblicata in data 8 luglio 2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia – sezione di Catania, IV Sezione, ha rigettato il ricorso proposto contro il provvedimento con cui la Questura di Ragusa aveva dichiarato improcedibile la richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno, motivando tale decisione con il presunto “disinteresse” del richiedente a seguito della mancata presentazione a due convocazioni per i rilievi fotodattiloscopici.

I fatti

Il ricorrente aveva depositato istanza di rinnovo del permesso di soggiorno in data 21 maggio 2024. Dopo un preavviso di rigetto, egli aveva presentato memorie difensive in data 27 gennaio 2025. Tuttavia, a seguito della seconda convocazione per i rilievi fotodattiloscopici fissata al 3 marzo 2025, il ricorrente non si era presentato senza fornire alcuna giustificazione.

La Questura ha pertanto archiviato la pratica, motivando il provvedimento con il disinteresse dimostrato dal richiedente. Il ricorso amministrativo ha contestato tale valutazione, deducendo plurime violazioni procedimentali, tra cui il difetto di motivazione e istruttoria, nonché il mancato bilanciamento tra l'inadempimento formale e l'interesse sostanziale del ricorrente al rinnovo del permesso.

Le ragioni del rigetto

Il TAR ha respinto ogni censura, ritenendo manifestamente infondate le doglianze sollevate. Il Collegio ha ribadito che i rilievi fotodattiloscopici costituiscono un adempimento necessario e prodromico al rilascio del permesso di soggiorno ai sensi dell’art. 5, comma 2-bis, del d.lgs. n. 286/98. In loro assenza, l’Amministrazione è legittimata a dichiarare l’improcedibilità della richiesta.

Non sono risultate pertinenti, a giudizio del TAR, le argomentazioni difensive relative all’inserimento socio-lavorativo e familiare del ricorrente, che non incidevano sul vizio procedimentale causato dalla mancata presentazione all’appuntamento fissato.

Il Collegio ha inoltre rilevato che il ricorrente non ha allegato alcun impedimento concreto che avrebbe giustificato l’assenza al secondo appuntamento del 3 marzo 2025, nonostante fosse stato avvisato espressamente delle conseguenze dell’eventuale mancata presentazione.

Conseguenze

Oltre al rigetto del ricorso, la sentenza ha comportato anche il diniego dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ritenuto inammissibile alla luce della manifesta infondatezza della pretesa. Il ricorrente è stato altresì condannato al pagamento delle spese di lite in favore del Ministero, liquidate in euro 800, oltre accessori di legge.

Osservazioni conclusive

Questa pronuncia si inserisce in un filone giurisprudenziale che valorizza la diligenza del richiedente nel rispettare tutte le fasi procedurali. La sottovalutazione di adempimenti apparentemente “formali”, come il fotosegnalamento, può compromettere irrimediabilmente il procedimento, anche a fronte di una posizione sostanziale apparentemente meritevole di tutela. La decisione richiama l’attenzione sull’importanza della collaborazione attiva del cittadino straniero con l’Amministrazione, specie nei momenti chiave dell’istruttoria.

Avv. Fabio Loscerbo

domenica 20 luglio 2025

Permesso rilasciato dopo il ricorso: il TAR condanna la Questura alle spese nonostante la cessazione della materia del contendere Nota alla sentenza del TAR Sicilia – Catania, Sezione IV, n. 2160/2025, R.G. n. 1149/2025, pubblicata l’8 luglio 2025 Avv. Fabio Loscerbo

 Permesso rilasciato dopo il ricorso: il TAR condanna la Questura alle spese nonostante la cessazione della materia del contendere

Nota alla sentenza del TAR Sicilia – Catania, Sezione IV, n. 2160/2025, R.G. n. 1149/2025, pubblicata l’8 luglio 2025
Avv. Fabio Loscerbo

Con la sentenza n. 2160/2025, pubblicata in data 8 luglio 2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia – Sezione staccata di Catania, Sezione Quarta, ha dichiarato la cessazione della materia del contendere in un ricorso avverso il rigetto dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro autonomo. Il procedimento, definito in forma semplificata ex art. 60 c.p.a., si è tuttavia concluso con la condanna della Questura alle spese processuali, liquidate in via equitativa.

I fatti

Il ricorrente, cittadino cinese, aveva impugnato il decreto della Questura di Catania dell’8 aprile 2025, con il quale era stata rigettata la sua domanda di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo. Il ricorso era stato notificato il 19 maggio 2025 e depositato il 5 giugno successivo.

Successivamente alla proposizione del ricorso, con nota del 23 giugno 2025, depositata in giudizio dall’Avvocatura dello Stato il 24 giugno, la Questura ha comunicato di aver riesaminato favorevolmente l’istanza, con conclusione positiva del procedimento e rilascio del permesso di soggiorno con scadenza 27 aprile 2027. Il titolo risultava pronto per il ritiro da parte dell’interessato.

La decisione

All’udienza camerale del 3 luglio 2025, fissata per l’esame della domanda cautelare, la difesa erariale ha preso atto della sopravvenuta cessazione della materia del contendere. In tale sede, il TAR ha informato le parti della volontà di definire il giudizio con sentenza in forma semplificata, non essendo necessaria alcuna ulteriore istruttoria.

Il Collegio ha dunque dichiarato cessata la materia del contendere, ma ha ritenuto di dover applicare il principio della “soccombenza virtuale”, condannando le amministrazioni resistenti al pagamento delle spese processuali nella misura di euro 1.000, oltre accessori di legge. Il criterio adottato si fonda sul rilascio del permesso solo dopo la proposizione del ricorso, a conferma dell’illegittimità dell’originario rigetto.

Osservazioni conclusive

La sentenza ribadisce un principio importante: l’Amministrazione non può sottrarsi alla condanna alle spese processuali semplicemente provvedendo in autotutela dopo l’introduzione del giudizio. Il rilascio del titolo, pur determinando la cessazione della materia del contendere, non elide la responsabilità per il contenzioso causato dal diniego originario. Il principio della “soccombenza virtuale”, ormai consolidato in giurisprudenza, rappresenta uno strumento di equilibrio tra autotutela e tutela giurisdizionale effettiva.

Avv. Fabio Loscerbo

sabato 19 luglio 2025

Permesso di soggiorno e frodi nel Decreto Flussi: il TAR Sicilia legittima il diniego ma trasmette gli atti alla Procura Nota a T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. IV, sent. n. 2246/2025, R.G. 1386/2023, depositata l’11 luglio 2025 Avv. Fabio Loscerbo Con la sentenza n. 2246

 Permesso di soggiorno e frodi nel Decreto Flussi: il TAR Sicilia legittima il diniego ma trasmette gli atti alla Procura

Nota a T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. IV, sent. n. 2246/2025, R.G. 1386/2023, depositata l’11 luglio 2025
Avv. Fabio Loscerbo

Con la sentenza n. 2246/2025, depositata l’11 luglio 2025, il TAR Sicilia – sede staccata di Catania, Sezione Quarta – ha respinto il ricorso di un cittadino marocchino avverso il diniego di rilascio del permesso di soggiorno per lavoro subordinato emesso dalla Questura di Enna. Tuttavia, il Collegio ha disposto la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Enna, per le possibili responsabilità dei datori di lavoro ex art. 12 TUI, in merito a condotte fraudolente nell’ambito del cosiddetto "Decreto Flussi".

I fatti

Il ricorrente era entrato in Italia in attuazione del Decreto Flussi 2022, con contratto di soggiorno sottoscritto presso la Prefettura, per essere impiegato in un’azienda agricola. Tuttavia, secondo quanto emerso, i datori di lavoro non solo non gli avevano consentito di svolgere l’attività lavorativa, ma neppure gli avevano fornito l’alloggio promesso. La Questura, a seguito di sopralluoghi, rilevava l’irreperibilità del lavoratore e riceveva dal datore di lavoro una dichiarazione di abbandono del posto da parte dello stesso. Ne derivava il rigetto della richiesta di permesso.

Il ricorrente, a sua volta, proponeva querela per truffa, denunciando di aver versato somme di denaro a connazionali e ai datori di lavoro nella convinzione – rivelatasi infondata – che fossero necessarie per la regolarizzazione dell’impiego. Impugnava il provvedimento per omessa comunicazione del preavviso di rigetto, travisamento dei fatti e mancata traduzione nella propria lingua.

La decisione

Il TAR ha respinto il ricorso, ritenendo legittimo il provvedimento impugnato sotto tutti i profili:

  • Sull’assenza del lavoratore in azienda, la Questura ha fornito adeguata prova documentale, mentre il ricorrente non ha prodotto elementi idonei a dimostrare l’avvenuta prestazione lavorativa, né ha chiarito l’esito della querela sporta.

  • Sul rapporto di lavoro, lo stesso ricorrente ha ammesso che i datori di lavoro erano “fittizi” e che non ha mai svolto alcuna attività, né goduto dell’alloggio. Tale ammissione, secondo il Collegio, conferma sia l’assenza dei presupposti per il rilascio del permesso, sia l’infondatezza della censura sulla valutazione dei fatti.

  • Sull’omessa comunicazione del preavviso di rigetto, la Sezione ha richiamato l’art. 21-octies, comma 2, l. 241/1990, ritenendo che, trattandosi di atto vincolato (in assenza del rapporto di lavoro effettivo), l’omissione non determina l’illegittimità del provvedimento.

  • Sulla mancata traduzione, la questione è stata considerata irrilevante, trattandosi di mera irregolarità non idonea ad incidere sulla difesa, ampiamente esercitata nel giudizio.

Trasmissione degli atti alla Procura

Pur respingendo il ricorso, il TAR ha riconosciuto la gravità delle allegazioni del ricorrente riguardo alla condotta dei promittenti datori di lavoro, disponendo la trasmissione del fascicolo alla Procura della Repubblica per le valutazioni del caso, ipotizzando anche una possibile violazione dell’art. 12 del d.lgs. n. 286/1998, che punisce chi favorisca l’ingresso irregolare di stranieri nel territorio dello Stato.

Considerazioni conclusive

Questa pronuncia conferma la rigidità interpretativa in materia di rilascio del permesso di soggiorno legato al Decreto Flussi, dove il rapporto di lavoro non solo deve essere formalmente costituito, ma anche effettivamente eseguito. Tuttavia, la sentenza pone in evidenza anche i rischi sistemici di frodi organizzate ai danni degli stranieri, troppo spesso lasciati in balia di false promesse e richieste indebite di denaro.

Se da un lato il diniego appare giuridicamente fondato, dall’altro l’attenzione del TAR al possibile reato di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare testimonia un doveroso bilanciamento tra la necessaria legalità dell’ingresso e la tutela della dignità e buona fede del lavoratore straniero.

Avv. Fabio Loscerbo

venerdì 18 luglio 2025

Permesso per attesa occupazione: il TAR Molise accoglie il ricorso e annulla la revoca del visto per manifesta illegittimità amministrativa Nota a TAR Molise, Sez. I, sentenza n. 213/2025, R.G. n. 40/2025, emessa in data 18 giugno 2025 Avv. Fabio Loscerbo

 Permesso per attesa occupazione: il TAR Molise accoglie il ricorso e annulla la revoca del visto per manifesta illegittimità amministrativa

Nota a TAR Molise, Sez. I, sentenza n. 213/2025, R.G. n. 40/2025, emessa in data 18 giugno 2025
Avv. Fabio Loscerbo

Con la sentenza n. 213/2025, pubblicata il 7 luglio 2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise ha accolto il ricorso contro il silenzio serbato dalla Prefettura di Isernia in merito all’istanza di rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione e ha annullato i provvedimenti di revoca del visto d’ingresso e di archiviazione della pratica. La decisione si distingue per la puntuale ricostruzione di una vicenda amministrativa fortemente viziata da abusi procedurali, incoerenze logiche e disparità di trattamento.

I fatti

Dopo il rilascio di un nulla osta per lavoro subordinato, lo straniero è entrato regolarmente in Italia, ma la società che ne aveva promosso l’assunzione si è resa indisponibile. In forza della circolare del Ministero dell’Interno del 20 agosto 2007, lo straniero ha diritto a chiedere un permesso per attesa occupazione. È stata presentata una prima istanza alla Questura, seguita da una seconda domanda alla Prefettura per comunicare la disponibilità a un nuovo impiego. Nonostante ciò, l’Amministrazione è rimasta silente e — come emerso solo nel corso del giudizio — aveva già proceduto ad archiviare la pratica e revocare il visto d’ingresso, addirittura prima che l’interessato entrasse nel territorio nazionale.

La decisione del TAR

Il Collegio ha censurato la condotta dell’Amministrazione sotto diversi profili. In primo luogo, i provvedimenti contestati risultavano mai formalizzati né notificati, ma solo desunti da semplici annotazioni informatiche interne, prive di valore provvedimentale. In secondo luogo, la revoca del visto e l’archiviazione risultavano temporalmente antecedenti all’ingresso in Italia e alla presentazione delle istanze, dimostrando un’azione amministrativa del tutto arbitraria.

Ulteriore elemento di gravità è stato individuato nella disparità di trattamento: a fronte di situazioni identiche, altri lavoratori stranieri provenienti dallo stesso datore di lavoro erano stati convocati e regolarizzati, mentre in questo caso l’irragionevole archiviazione è stata motivata con l’irreperibilità, benché l’interessato non fosse ancora presente sul territorio nazionale.

Il TAR ha dunque annullato gli atti, accertando l’illegittimità del silenzio e ordinando alla Prefettura di adottare un provvedimento espresso entro 40 giorni, nominando un commissario ad acta in caso di ulteriore inerzia.

Considerazioni conclusive

La sentenza riafferma il principio secondo cui l’attività amministrativa deve essere sorretta da atti formali, motivati e trasparenti. L’utilizzo di sistemi informatici non può surrogare l’obbligo di adottare provvedimenti secondo legge, né giustificare archiviazioni o revoche fondate su presunzioni o automatismi.

In ambito migratorio, il rispetto del diritto al soggiorno e alla difesa assume valore ancora più rilevante, poiché incide direttamente su diritti fondamentali. Il giudice amministrativo ha opportunamente evidenziato che ogni richiesta deve essere valutata nel merito, anche alla luce di elementi sopravvenuti come la disponibilità a nuova occupazione, e che l’inerzia dell’Amministrazione, specie se fondata su presupposti erronei, costituisce una violazione intollerabile del principio di buon andamento.

Avv. Fabio Loscerbo

giovedì 17 luglio 2025

Permesso di soggiorno negato senza contraddittorio: il TAR Sardegna annulla per omessa prova del preavviso di rigetto Nota a TAR Sardegna, Sez. II, sentenza n. 242/2025, R.G. n. 699/2024, del 12 marzo 2025 Avv. Fabio Loscerbo

 Permesso di soggiorno negato senza contraddittorio: il TAR Sardegna annulla per omessa prova del preavviso di rigetto

Nota a TAR Sardegna, Sez. II, sentenza n. 242/2025, R.G. n. 699/2024, del 12 marzo 2025
Avv. Fabio Loscerbo

Con sentenza n. 242/2025, pronunciata il 12 marzo 2025 e pubblicata il 17 marzo 2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Seconda) ha accolto il ricorso proposto da un cittadino straniero avverso il provvedimento della Questura di rigetto dell’istanza di rilascio del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, annullandolo per vizio procedurale rilevante: la mancata prova della notifica del preavviso di rigetto ex art. 10-bis L. 241/1990.

I fatti

Il ricorrente, cittadino marocchino, già titolare di un permesso di soggiorno per lavoro subordinato, aveva chiesto nel 2020 il rilascio del permesso di lungo periodo. Dopo essere uscito dal territorio nazionale nel 2021 e aver ottenuto nel 2022 un diniego al visto di reingresso dal Consolato d’Italia in Marocco (oggetto di separato contenzioso presso il TAR Lazio), la Questura aveva avviato il procedimento conclusosi con il provvedimento negativo impugnato, fondato sul combinato disposto dell’art. 13, comma 4, del d.P.R. 394/1999 e dell’art. 19, comma 7, lett. d), del d.lgs. 286/1998.

Il preavviso di rigetto, datato 16 dicembre 2022, sarebbe stato trasmesso al Consolato generale per la notifica, ma nel giudizio amministrativo l’Amministrazione non è riuscita a fornire prova della sua effettiva comunicazione all’interessato, neppure a seguito della specifica richiesta istruttoria formulata dal Collegio.

La decisione

Il TAR ha rilevato come la mancata dimostrazione della notifica del preavviso di rigetto integri un vizio procedurale non sanabile, che comporta l’annullamento del provvedimento impugnato. Non si tratta, infatti, di una mera omessa comunicazione di avvio del procedimento (oggi meno incisiva a seguito della modifica dell’art. 21-octies, l. 241/1990), ma di un vizio afferente alla partecipazione al procedimento, la cui violazione è insanabile quando incide su procedimenti ad elevato contenuto discrezionale.

Il Collegio ha richiamato consolidati orientamenti del Consiglio di Stato (sent. n. 3121/2023, n. 2072/2023, n. 629/2021, n. 6378/2020), secondo cui il preavviso di rigetto assume un rilievo rafforzato in materia di immigrazione, per via del necessario bilanciamento tra sicurezza pubblica e tutela dei diritti fondamentali dello straniero.

Non potendo l’Amministrazione dimostrare la notifica dell’atto endoprocedimentale, il TAR ha accolto il ricorso, annullando il provvedimento lesivo, e disponendo la compensazione delle spese per la complessità del caso, che ha coinvolto più autorità in ambito nazionale ed estero.

Considerazioni conclusive

La sentenza si inserisce nel solco di un orientamento garantista volto a rafforzare le garanzie partecipative nei procedimenti amministrativi che incidono sul diritto fondamentale al soggiorno. In particolare, essa riafferma con nettezza il principio secondo cui la prova della notifica del preavviso di rigetto è elemento imprescindibile della legittimità del procedimento.

Il messaggio che il giudice amministrativo trasmette è chiaro: il rispetto del contraddittorio procedimentale non può essere surrogato da mere presunzioni o dichiarazioni formali, specie in ambiti – come quello dell’immigrazione – in cui sono in gioco diritti fondamentali e delicate esigenze di tutela della persona.

Avv. Fabio Loscerbo

mercoledì 16 luglio 2025

Affidamento familiare e rilascio del permesso di soggiorno: il TAR Bolzano annulla il diniego della Questura per violazione dell’art. 10-bis L. 241/1990 Commento alla sentenza del Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa – Sezione autonoma di Bolzano, n. 181/2025, emessa il 10 giugno 2025, R.G. n. 100/2025

 Affidamento familiare e rilascio del permesso di soggiorno: il TAR Bolzano annulla il diniego della Questura per violazione dell’art. 10-bis L. 241/1990

Commento alla sentenza del Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa – Sezione autonoma di Bolzano, n. 181/2025, emessa il 10 giugno 2025, R.G. n. 100/2025

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Bolzano, con la sentenza n. 181/2025, ha accolto il ricorso proposto da un giovane cittadino straniero avverso il provvedimento con cui la Questura di Bolzano aveva dichiarato irricevibile l’istanza di permesso di soggiorno per motivi familiari derivanti da affidamento, presentata prima del compimento della maggiore età.

La decisione è di particolare rilievo sotto il profilo della tutela procedimentale e sostanziale dello straniero minorenne affidato informalmente a familiari, e ribadisce l’obbligo dell’Amministrazione di attivare un’istruttoria completa, nonché di applicare correttamente le norme di diritto interno e dell’ordinamento dell’Unione.

1. Il fatto

Il ricorrente, entrato in Italia da minorenne, era stato affidato al cugino materno con formale dichiarazione notarile dei genitori e provvedimento del Sindaco del Comune di residenza del familiare affidatario. Aveva successivamente presentato istanza per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari. La Questura di Bolzano aveva però dichiarato irricevibile la domanda, sostenendo l’assenza di un provvedimento di affidamento del Tribunale per i minorenni, la mancanza di convivenza effettiva con l’affidatario e l’avvenuto raggiungimento della maggiore età.

2. Le doglianze del ricorrente

Tra i motivi di ricorso, il TAR ha ritenuto fondato – e sufficiente per l’annullamento del provvedimento – quello relativo alla violazione dell’art. 10-bis della L. n. 241/1990. L’Amministrazione, infatti, non aveva comunicato i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, impedendo così al ricorrente di interloquire in fase procedimentale e di integrare la documentazione mancante.

A ciò si aggiunge la fondatezza delle censure sostanziali relative alla mancata applicazione dell’art. 10 della L. 47/2017 e dell’art. 32 del D.Lgs. 286/1998, che disciplinano rispettivamente i permessi per minorenni stranieri non accompagnati o affidati e la possibilità di conversione del titolo al compimento della maggiore età.

3. L’affidamento familiare e il diritto al soggiorno

Il Tribunale ha riconosciuto che, alla luce della documentazione in atti, il ricorrente si trovava in una situazione di affidamento familiare consensuale, validamente disposto ai sensi dell’art. 4 della L. n. 184/1983, che lo poneva in condizione di richiedere un permesso di soggiorno per motivi familiari. Ha ritenuto irrilevante, ai fini del diritto al titolo, l’eventuale mancata convalida del provvedimento da parte del Tribunale per i minorenni, attesa la piena efficacia del provvedimento sindacale di affidamento e la chiara volontà dei genitori.

Il TAR ha inoltre chiarito che, anche laddove l’Amministrazione avesse ritenuto il venir meno dei presupposti per il rilascio del titolo familiare a causa della sopravvenuta maggiore età, avrebbe dovuto procedere alla valutazione d’ufficio della possibilità di conversione del titolo in permesso per lavoro subordinato, ex art. 32, comma 1, D.Lgs. n. 286/1998. Tale obbligo discende anche dall’art. 5, comma 9, del medesimo testo normativo, che impone alla Pubblica Amministrazione di valutare l’alternativa tipologia di permesso qualora manchino i presupposti per quello richiesto.

4. Il principio affermato

La sentenza riafferma due importanti principi:

  • La violazione dell’art. 10-bis L. 241/1990 comporta l’illegittimità insanabile del provvedimento, ove non sia data al cittadino la possibilità di partecipare al procedimento.

  • L’affidamento familiare formalizzato anche in via amministrativa e con supporto documentale adeguato legittima il rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari, e la sopravvenuta maggiore età impone la valutazione della conversione in permesso per lavoro subordinato.

5. Conclusione

Con l’annullamento del provvedimento e la condanna dell’Amministrazione alle spese di giudizio, il TAR Bolzano ha sancito una linea interpretativa garantista, conforme ai princìpi del diritto minorile e agli obblighi di buona amministrazione.

La pronuncia si pone nel solco di un orientamento giurisprudenziale volto a valorizzare l’effettività dell’affidamento e la tutela dell’integrazione del minore straniero, anche oltre il compimento della maggiore età.


Avv. Fabio Loscerbo

martedì 15 luglio 2025

Revoca del permesso di soggiorno per lavoro subordinato: legittimità del provvedimento anche in presenza di nuova occupazione R.G. n. 826/2024 – Sentenza del 2 luglio 2025 – Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sezione Terza

 Revoca del permesso di soggiorno per lavoro subordinato: legittimità del provvedimento anche in presenza di nuova occupazione

R.G. n. 826/2024 – Sentenza del 2 luglio 2025 – Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sezione Terza

Con la sentenza n. 964/2025, pubblicata in data 12 luglio 2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Sezione Terza – ha rigettato il ricorso proposto da un cittadino straniero avverso il decreto di annullamento del permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo rilasciato per motivi di lavoro subordinato, adottato dalla Questura di Foggia.

L’annullamento era stato motivato dall’accertata falsità del contratto di lavoro presentato dal ricorrente, che risultava stipulato con un’impresa inesistente, come confermato da un accertamento dell’INPS: totale assenza di documentazione fiscale, irreperibilità della presunta titolare e insussistenza dei rapporti di lavoro denunciati. Secondo la Questura, il titolo era quindi stato conseguito in assenza di una condizione essenziale: la prova della sussistenza di un reddito lecito da lavoro.

Il ricorrente, per contro, aveva eccepito di essere stato vittima di un datore di lavoro scorretto e di aver comunque prestato attività lavorativa, pur presso altro imprenditore. Sosteneva inoltre di essere attualmente titolare di un nuovo contratto di lavoro, stipulato nel 2023 e valido fino al 2025, e di aver dunque diritto al mantenimento del titolo. In via subordinata, lamentava il mancato esame da parte della Questura della possibilità di rilascio di altri titoli di soggiorno.

Il TAR ha ritenuto infondato il ricorso. In primo luogo, ha escluso che l’Amministrazione potesse valutare la sopravvenuta situazione lavorativa del ricorrente, sia perché questa non era nota all’epoca del provvedimento (adottato nel 2018 e notificato solo nel 2024 per irreperibilità del destinatario), sia perché il lavoratore non aveva partecipato alla fase procedimentale. Inoltre, il nuovo contratto era posteriore alla data dell’annullamento, e quindi irrilevante ai fini della valutazione di legittimità del provvedimento impugnato.

Quanto alla doglianza relativa alla condotta fraudolenta del datore di lavoro, il TAR ha osservato che tale circostanza, pur a volerla accogliere, non avrebbe eliso il dato obiettivo dell’assenza di qualsiasi documentazione fiscale e reddituale a carico del ricorrente fino al 2023, con conseguente legittimità del ritiro del titolo.

Infine, il Collegio ha chiarito che la valutazione circa il rilascio di altri titoli di soggiorno non può interferire con l’autonomia del procedimento di annullamento in autotutela. Spetta infatti all’interessato attivare, in via separata, nuove istanze fondate su presupposti differenti.

Le spese sono state compensate, in considerazione della natura e dell’andamento del giudizio.

Avv. Fabio Loscerbo

lunedì 14 luglio 2025

Permesso di soggiorno di lungo periodo: legittima la revoca anche nell’ambito di un procedimento di aggiornamento R.G. n. 39/2021 – Sentenza dell’11 ottobre 2022 – Tribunale Amministrativo Regionale della Valle d’Aosta, Sezione Unica

 Permesso di soggiorno di lungo periodo: legittima la revoca anche nell’ambito di un procedimento di aggiornamento

R.G. n. 39/2021 – Sentenza dell’11 ottobre 2022 – Tribunale Amministrativo Regionale della Valle d’Aosta, Sezione Unica

Con la sentenza n. 63/2022, pubblicata il 23 dicembre 2022, il Tribunale Amministrativo Regionale della Valle d’Aosta ha respinto il ricorso proposto da un cittadino straniero avverso il provvedimento della Questura di Aosta che negava l’aggiornamento del permesso di soggiorno di lungo periodo e il successivo rigetto del ricorso gerarchico da parte del Presidente della Regione.

Il caso riguardava una richiesta di aggiornamento del permesso già rilasciato, che la Questura ha respinto, motivando l’atto con la mancanza di elementi sufficienti a dimostrare la permanenza stabile del richiedente sul territorio nazionale, nonché con considerazioni ostative legate alla sua condotta. La Regione ha confermato tale valutazione, rigettando l'impugnazione in sede gerarchica.

Nel ricorso, il difensore ha lamentato la trasformazione surrettizia del procedimento di aggiornamento in un procedimento di revoca, contestando altresì la valutazione discrezionale dell’amministrazione in ordine all’affidabilità e al radicamento dell’interessato.

Il TAR ha tuttavia respinto le censure. Sotto il primo profilo, ha osservato che, ai sensi dell’art. 9, comma 7, del D.Lgs. 286/1998, l’amministrazione ha sempre il potere di revoca del permesso quando vengono meno le condizioni per il rilascio, anche all’interno di un procedimento formale di aggiornamento. La comunicazione dei motivi ostativi, regolarmente effettuata, ha assicurato il contraddittorio procedimentale.

Quanto alla discrezionalità amministrativa, il Collegio ha riconosciuto che la Questura ha esercitato in modo legittimo e non irragionevole il proprio apprezzamento, motivando in modo adeguato il diniego alla luce delle circostanze documentate, ritenute ostative al mantenimento del titolo di soggiorno.

La sentenza chiarisce un punto delicato nella prassi amministrativa: la possibilità di convertire in revoca un procedimento di aggiornamento, qualora emergano motivi legittimi. Essa conferma anche l’estensione del potere discrezionale dell’amministrazione nella valutazione della sussistenza dei presupposti per il rilascio o mantenimento del titolo, purché ciò avvenga in osservanza delle garanzie procedurali e con motivazione congrua.

Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali, liquidate in € 2.000 complessivi, ripartiti tra Regione e Ministero dell’Interno.

Avv. Fabio Loscerbo