mercoledì 23 luglio 2025

Revoca del permesso di lungo soggiorno e falsità del contratto di locazione: il TAR Toscana chiarisce i limiti dell’accertamento amministrativo Nota a TAR Toscana, Sez. II, sentenza n. 1363/2025, R.G. n. 1889/2024, emessa l’8 luglio 2025 e pubblicata il 14 luglio 2025

 Revoca del permesso di lungo soggiorno e falsità del contratto di locazione: il TAR Toscana chiarisce i limiti dell’accertamento amministrativo

Nota a TAR Toscana, Sez. II, sentenza n. 1363/2025, R.G. n. 1889/2024, emessa l’8 luglio 2025 e pubblicata il 14 luglio 2025

Con la sentenza in oggetto, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana ha respinto il ricorso presentato avverso il provvedimento di revoca del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, adottato dalla Questura di Grosseto.

1. I fatti di causa

Il ricorrente aveva ricevuto, in data 23 agosto 2024, la notifica del decreto di rigetto dell’istanza di aggiornamento del permesso e contestuale revoca del titolo di soggiorno. L’atto si fondava su un sequestro penale disposto in pari data dalla Squadra Mobile, relativo a un contratto di locazione che l’Amministrazione riteneva falso, poiché la locatrice aveva dichiarato di non aver mai stipulato il contratto in questione, sebbene la registrazione presso l’Agenzia delle Entrate risultasse formalmente regolare.

Il ricorrente, pur insistendo sull’infondatezza dell’addebito e sulla necessità di un accertamento penale per stabilire l’eventuale responsabilità, non ha fornito in giudizio elementi utili a comprovare la reale disponibilità dell’alloggio dichiarato.

2. Le motivazioni del rigetto

Il TAR ha ritenuto legittima la revoca del titolo in base a quanto previsto dall’art. 16, comma 2, del D.P.R. n. 394/1999, il quale impone al richiedente di indicare il luogo di residenza. In assenza di prova circa l’effettiva disponibilità dell’immobile, e in presenza di fondati elementi indiziari (tra cui il sequestro del contratto per presunta falsità), l’Amministrazione ha esercitato un potere discrezionale congruamente motivato.

Non è rilevante, ai fini del giudizio amministrativo, l’eventuale accertamento penale sulla consapevolezza della falsità, dal momento che ciò che assume rilevanza è la non veridicità dell’indicazione fornita, che incide direttamente sulla legittimità del soggiorno.

3. La decisione del Collegio

Il Collegio ha confermato la legittimità dell’operato della Questura, sottolineando che il ricorrente non ha dimostrato di aver avuto realmente la disponibilità dell’alloggio e che la contestazione penale non sospende né inficia l’efficacia del provvedimento amministrativo. Le spese sono state compensate, tenuto conto della particolarità della vicenda.

Osservazioni conclusive

La pronuncia si colloca nell’alveo di una giurisprudenza sempre più rigorosa nel valutare la regolarità dei requisiti documentali a sostegno delle istanze di soggiorno, in particolare in presenza di elementi sospetti che possono minare l’affidabilità del richiedente. La sentenza ricorda come l’onere probatorio circa la veridicità della documentazione prodotta gravi interamente sullo straniero e che la disponibilità dell’alloggio non è un requisito meramente formale, bensì sostanziale, che deve essere effettivamente dimostrato.

Avv. Fabio Loscerbo

martedì 22 luglio 2025

Il rigetto del permesso di soggiorno per tirocinio confermato dal TAR FVG: nessuna deroga per condanne ostative graviTAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I – Sentenza n. 237/2025 del 31 maggio 2025, R.G. n. 207/2025

Il rigetto del permesso di soggiorno per tirocinio confermato dal TAR FVG: nessuna deroga per condanne ostative gravi

TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I – Sentenza n. 237/2025 del 31 maggio 2025, R.G. n. 207/2025

Con la sentenza n. 237/2025, pubblicata il 31 maggio 2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia ha rigettato il ricorso proposto da un cittadino albanese contro il provvedimento con cui la Questura di Udine aveva negato il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di tirocinio, richiamando la sussistenza di gravi precedenti penali ostativi all’ingresso e al soggiorno nel territorio italiano.

Il caso

Il ricorrente, già minorenne straniero non accompagnato in Italia, aveva fatto rientro nel Paese nel 2022 munito di visto per tirocinio. Successivamente, aveva chiesto il rilascio di un permesso di soggiorno ai sensi dell’art. 27, comma 1, lett. f) del d.lgs. 286/1998 (lavoro in casi particolari), ma l’istanza era stata rigettata a seguito dell’emersione di condanne definitive per reati gravi commessi durante il precedente soggiorno in Italia, tra cui rapina, lesioni personali e furti aggravati.

La Questura, preso atto della gravità dei reati e dell’assenza di legami familiari significativi in Italia, aveva ritenuto insussistenti i presupposti normativi per il rilascio del titolo di soggiorno. Il ricorrente impugnava il diniego, contestando l’automatismo della valutazione e l’assenza di un bilanciamento con la sua attuale condizione personale.

La decisione del Tribunale

Il TAR ha confermato integralmente il provvedimento amministrativo, evidenziando che l’art. 4, comma 3, del TUI prevede il rigetto automatico del permesso in presenza di condanne per i reati elencati nell’art. 380 c.p.p., senza necessità di valutazioni discrezionali circa la pericolosità sociale, salvo l’esistenza di legami familiari significativi ai sensi dell’art. 29 TUI. Nel caso di specie, l’unico familiare presente in Italia risultava essere uno zio, non rientrante tra i soggetti rilevanti per la deroga.

Il Collegio ha inoltre ritenuto non applicabile la recente sentenza della Corte costituzionale n. 88/2023, in quanto riferita a fattispecie meno gravi (art. 73, comma 5, T.U. Stupefacenti e art. 474, comma 2 c.p.), mentre i reati per cui era stato condannato il ricorrente rientrano tra quelli connotati da una particolare allarmante gravità.

In merito alla motivazione, il TAR ha ribadito che, in presenza di condanne per fatti penalmente gravi, l’Amministrazione può fondare la propria decisione sull’oggettiva intollerabilità della condotta, senza necessità di ulteriori approfondimenti istruttori, soprattutto in mancanza di elementi soggettivi meritevoli di tutela (come legami familiari o sociali in Italia).

Considerazioni conclusive

La pronuncia si pone in continuità con l’orientamento giurisprudenziale maggioritario, che riconosce al legislatore ampia discrezionalità nella individuazione delle ipotesi in cui l’interesse alla sicurezza pubblica prevale in via automatica. Essa rappresenta un ulteriore consolidamento del principio per cui, fatta eccezione per i casi di diritto all’unità familiare, non è consentito il rilascio o il rinnovo del titolo di soggiorno a cittadini stranieri condannati per reati di elevata gravità, anche se risalenti nel tempo.

Avv. Fabio Loscerbo

La riabilitazione annulla la revoca automatica del nulla osta: il TAR Toscana ribadisce i limiti dell'automatismo nei giudizi sull’affidabilità dello straniero

 

La riabilitazione annulla la revoca automatica del nulla osta: il TAR Toscana ribadisce i limiti dell'automatismo nei giudizi sull’affidabilità dello straniero

Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana – Sezione Seconda
Sentenza n. 1365/2025
R.G. n. 1848/2024 – Udienza dell’8 luglio 2025 – Pubblicazione il 14 luglio 2025

Con la sentenza in epigrafe, il TAR Toscana ha accolto il ricorso presentato avverso il provvedimento di revoca del nulla osta al lavoro, emesso dalla Prefettura di Massa Carrara nei confronti di uno straniero già titolare del relativo titolo in seguito a regolare istanza del datore di lavoro.

La revoca era stata motivata dalla sussistenza di condanne penali qualificate come ostative. Tuttavia, prima dell’adozione dell’atto, il difensore del ricorrente aveva formalmente comunicato l'avvenuto deposito dell’istanza di riabilitazione e chiesto la sospensione del procedimento amministrativo. Nonostante ciò, l’Amministrazione ha proseguito, revocando il nulla osta.

La riabilitazione, in effetti, è sopravvenuta dopo pochi giorni, determinando la proposizione del ricorso e l’accoglimento dell’istanza cautelare con ordinanza dell’11 dicembre 2024, la quale aveva sospeso gli effetti della revoca e ordinato il ripristino del nulla osta in attesa della decisione di merito.

Nel giudizio, il TAR ha richiamato un consolidato orientamento giurisprudenziale del Consiglio di Stato (sentenze n. 6781/2020, n. 23/2016 e n. 4685/2013), ribadendo che:

"L’intervento del giudice penale con la pronuncia di riabilitazione modifica la percezione giuridica e sociale della condanna penale, attenuandone gli effetti e facendo venir meno l’automatismo ostativo previsto dal legislatore in materia di permessi di soggiorno".

La sentenza chiarisce inoltre che, a fronte di una riabilitazione, l’Amministrazione non può limitarsi a invocare la mera esistenza del reato pregresso, ma deve procedere ad una nuova valutazione discrezionale, considerando:

  • il periodo di permanenza in Italia,

  • la stabilità lavorativa,

  • il tempo trascorso dal reato,

  • l’assenza di recidiva,

  • il grado di integrazione sociale.

L’omissione di tale istruttoria è stata giudicata motivo di illegittimità, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.

Le spese sono state compensate per la particolarità del caso.


Avv. Fabio Loscerbo

lunedì 21 luglio 2025

Mancata presentazione per i rilievi: il TAR Catania conferma il rigetto della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno Nota a TAR Sicilia – Sezione staccata di Catania, Sezione IV, sentenza n. 2159/2025, R.G. n. 1179/2025, pubblicata l’8 luglio 2025 Avv. Fabio Loscerbo

Mancata presentazione per i rilievi: il TAR Catania conferma il rigetto della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno

Nota a TAR Sicilia – Sezione staccata di Catania, Sezione IV, sentenza n. 2159/2025, R.G. n. 1179/2025, pubblicata l’8 luglio 2025
Avv. Fabio Loscerbo

Con la sentenza n. 2159/2025, pubblicata in data 8 luglio 2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia – sezione di Catania, IV Sezione, ha rigettato il ricorso proposto contro il provvedimento con cui la Questura di Ragusa aveva dichiarato improcedibile la richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno, motivando tale decisione con il presunto “disinteresse” del richiedente a seguito della mancata presentazione a due convocazioni per i rilievi fotodattiloscopici.

I fatti

Il ricorrente aveva depositato istanza di rinnovo del permesso di soggiorno in data 21 maggio 2024. Dopo un preavviso di rigetto, egli aveva presentato memorie difensive in data 27 gennaio 2025. Tuttavia, a seguito della seconda convocazione per i rilievi fotodattiloscopici fissata al 3 marzo 2025, il ricorrente non si era presentato senza fornire alcuna giustificazione.

La Questura ha pertanto archiviato la pratica, motivando il provvedimento con il disinteresse dimostrato dal richiedente. Il ricorso amministrativo ha contestato tale valutazione, deducendo plurime violazioni procedimentali, tra cui il difetto di motivazione e istruttoria, nonché il mancato bilanciamento tra l'inadempimento formale e l'interesse sostanziale del ricorrente al rinnovo del permesso.

Le ragioni del rigetto

Il TAR ha respinto ogni censura, ritenendo manifestamente infondate le doglianze sollevate. Il Collegio ha ribadito che i rilievi fotodattiloscopici costituiscono un adempimento necessario e prodromico al rilascio del permesso di soggiorno ai sensi dell’art. 5, comma 2-bis, del d.lgs. n. 286/98. In loro assenza, l’Amministrazione è legittimata a dichiarare l’improcedibilità della richiesta.

Non sono risultate pertinenti, a giudizio del TAR, le argomentazioni difensive relative all’inserimento socio-lavorativo e familiare del ricorrente, che non incidevano sul vizio procedimentale causato dalla mancata presentazione all’appuntamento fissato.

Il Collegio ha inoltre rilevato che il ricorrente non ha allegato alcun impedimento concreto che avrebbe giustificato l’assenza al secondo appuntamento del 3 marzo 2025, nonostante fosse stato avvisato espressamente delle conseguenze dell’eventuale mancata presentazione.

Conseguenze

Oltre al rigetto del ricorso, la sentenza ha comportato anche il diniego dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ritenuto inammissibile alla luce della manifesta infondatezza della pretesa. Il ricorrente è stato altresì condannato al pagamento delle spese di lite in favore del Ministero, liquidate in euro 800, oltre accessori di legge.

Osservazioni conclusive

Questa pronuncia si inserisce in un filone giurisprudenziale che valorizza la diligenza del richiedente nel rispettare tutte le fasi procedurali. La sottovalutazione di adempimenti apparentemente “formali”, come il fotosegnalamento, può compromettere irrimediabilmente il procedimento, anche a fronte di una posizione sostanziale apparentemente meritevole di tutela. La decisione richiama l’attenzione sull’importanza della collaborazione attiva del cittadino straniero con l’Amministrazione, specie nei momenti chiave dell’istruttoria.

Avv. Fabio Loscerbo

domenica 20 luglio 2025

Permesso rilasciato dopo il ricorso: il TAR condanna la Questura alle spese nonostante la cessazione della materia del contendere Nota alla sentenza del TAR Sicilia – Catania, Sezione IV, n. 2160/2025, R.G. n. 1149/2025, pubblicata l’8 luglio 2025 Avv. Fabio Loscerbo

 Permesso rilasciato dopo il ricorso: il TAR condanna la Questura alle spese nonostante la cessazione della materia del contendere

Nota alla sentenza del TAR Sicilia – Catania, Sezione IV, n. 2160/2025, R.G. n. 1149/2025, pubblicata l’8 luglio 2025
Avv. Fabio Loscerbo

Con la sentenza n. 2160/2025, pubblicata in data 8 luglio 2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia – Sezione staccata di Catania, Sezione Quarta, ha dichiarato la cessazione della materia del contendere in un ricorso avverso il rigetto dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro autonomo. Il procedimento, definito in forma semplificata ex art. 60 c.p.a., si è tuttavia concluso con la condanna della Questura alle spese processuali, liquidate in via equitativa.

I fatti

Il ricorrente, cittadino cinese, aveva impugnato il decreto della Questura di Catania dell’8 aprile 2025, con il quale era stata rigettata la sua domanda di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo. Il ricorso era stato notificato il 19 maggio 2025 e depositato il 5 giugno successivo.

Successivamente alla proposizione del ricorso, con nota del 23 giugno 2025, depositata in giudizio dall’Avvocatura dello Stato il 24 giugno, la Questura ha comunicato di aver riesaminato favorevolmente l’istanza, con conclusione positiva del procedimento e rilascio del permesso di soggiorno con scadenza 27 aprile 2027. Il titolo risultava pronto per il ritiro da parte dell’interessato.

La decisione

All’udienza camerale del 3 luglio 2025, fissata per l’esame della domanda cautelare, la difesa erariale ha preso atto della sopravvenuta cessazione della materia del contendere. In tale sede, il TAR ha informato le parti della volontà di definire il giudizio con sentenza in forma semplificata, non essendo necessaria alcuna ulteriore istruttoria.

Il Collegio ha dunque dichiarato cessata la materia del contendere, ma ha ritenuto di dover applicare il principio della “soccombenza virtuale”, condannando le amministrazioni resistenti al pagamento delle spese processuali nella misura di euro 1.000, oltre accessori di legge. Il criterio adottato si fonda sul rilascio del permesso solo dopo la proposizione del ricorso, a conferma dell’illegittimità dell’originario rigetto.

Osservazioni conclusive

La sentenza ribadisce un principio importante: l’Amministrazione non può sottrarsi alla condanna alle spese processuali semplicemente provvedendo in autotutela dopo l’introduzione del giudizio. Il rilascio del titolo, pur determinando la cessazione della materia del contendere, non elide la responsabilità per il contenzioso causato dal diniego originario. Il principio della “soccombenza virtuale”, ormai consolidato in giurisprudenza, rappresenta uno strumento di equilibrio tra autotutela e tutela giurisdizionale effettiva.

Avv. Fabio Loscerbo

sabato 19 luglio 2025

Permesso di soggiorno e frodi nel Decreto Flussi: il TAR Sicilia legittima il diniego ma trasmette gli atti alla Procura Nota a T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. IV, sent. n. 2246/2025, R.G. 1386/2023, depositata l’11 luglio 2025 Avv. Fabio Loscerbo Con la sentenza n. 2246

 Permesso di soggiorno e frodi nel Decreto Flussi: il TAR Sicilia legittima il diniego ma trasmette gli atti alla Procura

Nota a T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. IV, sent. n. 2246/2025, R.G. 1386/2023, depositata l’11 luglio 2025
Avv. Fabio Loscerbo

Con la sentenza n. 2246/2025, depositata l’11 luglio 2025, il TAR Sicilia – sede staccata di Catania, Sezione Quarta – ha respinto il ricorso di un cittadino marocchino avverso il diniego di rilascio del permesso di soggiorno per lavoro subordinato emesso dalla Questura di Enna. Tuttavia, il Collegio ha disposto la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Enna, per le possibili responsabilità dei datori di lavoro ex art. 12 TUI, in merito a condotte fraudolente nell’ambito del cosiddetto "Decreto Flussi".

I fatti

Il ricorrente era entrato in Italia in attuazione del Decreto Flussi 2022, con contratto di soggiorno sottoscritto presso la Prefettura, per essere impiegato in un’azienda agricola. Tuttavia, secondo quanto emerso, i datori di lavoro non solo non gli avevano consentito di svolgere l’attività lavorativa, ma neppure gli avevano fornito l’alloggio promesso. La Questura, a seguito di sopralluoghi, rilevava l’irreperibilità del lavoratore e riceveva dal datore di lavoro una dichiarazione di abbandono del posto da parte dello stesso. Ne derivava il rigetto della richiesta di permesso.

Il ricorrente, a sua volta, proponeva querela per truffa, denunciando di aver versato somme di denaro a connazionali e ai datori di lavoro nella convinzione – rivelatasi infondata – che fossero necessarie per la regolarizzazione dell’impiego. Impugnava il provvedimento per omessa comunicazione del preavviso di rigetto, travisamento dei fatti e mancata traduzione nella propria lingua.

La decisione

Il TAR ha respinto il ricorso, ritenendo legittimo il provvedimento impugnato sotto tutti i profili:

  • Sull’assenza del lavoratore in azienda, la Questura ha fornito adeguata prova documentale, mentre il ricorrente non ha prodotto elementi idonei a dimostrare l’avvenuta prestazione lavorativa, né ha chiarito l’esito della querela sporta.

  • Sul rapporto di lavoro, lo stesso ricorrente ha ammesso che i datori di lavoro erano “fittizi” e che non ha mai svolto alcuna attività, né goduto dell’alloggio. Tale ammissione, secondo il Collegio, conferma sia l’assenza dei presupposti per il rilascio del permesso, sia l’infondatezza della censura sulla valutazione dei fatti.

  • Sull’omessa comunicazione del preavviso di rigetto, la Sezione ha richiamato l’art. 21-octies, comma 2, l. 241/1990, ritenendo che, trattandosi di atto vincolato (in assenza del rapporto di lavoro effettivo), l’omissione non determina l’illegittimità del provvedimento.

  • Sulla mancata traduzione, la questione è stata considerata irrilevante, trattandosi di mera irregolarità non idonea ad incidere sulla difesa, ampiamente esercitata nel giudizio.

Trasmissione degli atti alla Procura

Pur respingendo il ricorso, il TAR ha riconosciuto la gravità delle allegazioni del ricorrente riguardo alla condotta dei promittenti datori di lavoro, disponendo la trasmissione del fascicolo alla Procura della Repubblica per le valutazioni del caso, ipotizzando anche una possibile violazione dell’art. 12 del d.lgs. n. 286/1998, che punisce chi favorisca l’ingresso irregolare di stranieri nel territorio dello Stato.

Considerazioni conclusive

Questa pronuncia conferma la rigidità interpretativa in materia di rilascio del permesso di soggiorno legato al Decreto Flussi, dove il rapporto di lavoro non solo deve essere formalmente costituito, ma anche effettivamente eseguito. Tuttavia, la sentenza pone in evidenza anche i rischi sistemici di frodi organizzate ai danni degli stranieri, troppo spesso lasciati in balia di false promesse e richieste indebite di denaro.

Se da un lato il diniego appare giuridicamente fondato, dall’altro l’attenzione del TAR al possibile reato di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare testimonia un doveroso bilanciamento tra la necessaria legalità dell’ingresso e la tutela della dignità e buona fede del lavoratore straniero.

Avv. Fabio Loscerbo

venerdì 18 luglio 2025

Permesso per attesa occupazione: il TAR Molise accoglie il ricorso e annulla la revoca del visto per manifesta illegittimità amministrativa Nota a TAR Molise, Sez. I, sentenza n. 213/2025, R.G. n. 40/2025, emessa in data 18 giugno 2025 Avv. Fabio Loscerbo

 Permesso per attesa occupazione: il TAR Molise accoglie il ricorso e annulla la revoca del visto per manifesta illegittimità amministrativa

Nota a TAR Molise, Sez. I, sentenza n. 213/2025, R.G. n. 40/2025, emessa in data 18 giugno 2025
Avv. Fabio Loscerbo

Con la sentenza n. 213/2025, pubblicata il 7 luglio 2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise ha accolto il ricorso contro il silenzio serbato dalla Prefettura di Isernia in merito all’istanza di rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione e ha annullato i provvedimenti di revoca del visto d’ingresso e di archiviazione della pratica. La decisione si distingue per la puntuale ricostruzione di una vicenda amministrativa fortemente viziata da abusi procedurali, incoerenze logiche e disparità di trattamento.

I fatti

Dopo il rilascio di un nulla osta per lavoro subordinato, lo straniero è entrato regolarmente in Italia, ma la società che ne aveva promosso l’assunzione si è resa indisponibile. In forza della circolare del Ministero dell’Interno del 20 agosto 2007, lo straniero ha diritto a chiedere un permesso per attesa occupazione. È stata presentata una prima istanza alla Questura, seguita da una seconda domanda alla Prefettura per comunicare la disponibilità a un nuovo impiego. Nonostante ciò, l’Amministrazione è rimasta silente e — come emerso solo nel corso del giudizio — aveva già proceduto ad archiviare la pratica e revocare il visto d’ingresso, addirittura prima che l’interessato entrasse nel territorio nazionale.

La decisione del TAR

Il Collegio ha censurato la condotta dell’Amministrazione sotto diversi profili. In primo luogo, i provvedimenti contestati risultavano mai formalizzati né notificati, ma solo desunti da semplici annotazioni informatiche interne, prive di valore provvedimentale. In secondo luogo, la revoca del visto e l’archiviazione risultavano temporalmente antecedenti all’ingresso in Italia e alla presentazione delle istanze, dimostrando un’azione amministrativa del tutto arbitraria.

Ulteriore elemento di gravità è stato individuato nella disparità di trattamento: a fronte di situazioni identiche, altri lavoratori stranieri provenienti dallo stesso datore di lavoro erano stati convocati e regolarizzati, mentre in questo caso l’irragionevole archiviazione è stata motivata con l’irreperibilità, benché l’interessato non fosse ancora presente sul territorio nazionale.

Il TAR ha dunque annullato gli atti, accertando l’illegittimità del silenzio e ordinando alla Prefettura di adottare un provvedimento espresso entro 40 giorni, nominando un commissario ad acta in caso di ulteriore inerzia.

Considerazioni conclusive

La sentenza riafferma il principio secondo cui l’attività amministrativa deve essere sorretta da atti formali, motivati e trasparenti. L’utilizzo di sistemi informatici non può surrogare l’obbligo di adottare provvedimenti secondo legge, né giustificare archiviazioni o revoche fondate su presunzioni o automatismi.

In ambito migratorio, il rispetto del diritto al soggiorno e alla difesa assume valore ancora più rilevante, poiché incide direttamente su diritti fondamentali. Il giudice amministrativo ha opportunamente evidenziato che ogni richiesta deve essere valutata nel merito, anche alla luce di elementi sopravvenuti come la disponibilità a nuova occupazione, e che l’inerzia dell’Amministrazione, specie se fondata su presupposti erronei, costituisce una violazione intollerabile del principio di buon andamento.

Avv. Fabio Loscerbo

giovedì 17 luglio 2025

Permesso di soggiorno negato senza contraddittorio: il TAR Sardegna annulla per omessa prova del preavviso di rigetto Nota a TAR Sardegna, Sez. II, sentenza n. 242/2025, R.G. n. 699/2024, del 12 marzo 2025 Avv. Fabio Loscerbo

 Permesso di soggiorno negato senza contraddittorio: il TAR Sardegna annulla per omessa prova del preavviso di rigetto

Nota a TAR Sardegna, Sez. II, sentenza n. 242/2025, R.G. n. 699/2024, del 12 marzo 2025
Avv. Fabio Loscerbo

Con sentenza n. 242/2025, pronunciata il 12 marzo 2025 e pubblicata il 17 marzo 2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Seconda) ha accolto il ricorso proposto da un cittadino straniero avverso il provvedimento della Questura di rigetto dell’istanza di rilascio del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, annullandolo per vizio procedurale rilevante: la mancata prova della notifica del preavviso di rigetto ex art. 10-bis L. 241/1990.

I fatti

Il ricorrente, cittadino marocchino, già titolare di un permesso di soggiorno per lavoro subordinato, aveva chiesto nel 2020 il rilascio del permesso di lungo periodo. Dopo essere uscito dal territorio nazionale nel 2021 e aver ottenuto nel 2022 un diniego al visto di reingresso dal Consolato d’Italia in Marocco (oggetto di separato contenzioso presso il TAR Lazio), la Questura aveva avviato il procedimento conclusosi con il provvedimento negativo impugnato, fondato sul combinato disposto dell’art. 13, comma 4, del d.P.R. 394/1999 e dell’art. 19, comma 7, lett. d), del d.lgs. 286/1998.

Il preavviso di rigetto, datato 16 dicembre 2022, sarebbe stato trasmesso al Consolato generale per la notifica, ma nel giudizio amministrativo l’Amministrazione non è riuscita a fornire prova della sua effettiva comunicazione all’interessato, neppure a seguito della specifica richiesta istruttoria formulata dal Collegio.

La decisione

Il TAR ha rilevato come la mancata dimostrazione della notifica del preavviso di rigetto integri un vizio procedurale non sanabile, che comporta l’annullamento del provvedimento impugnato. Non si tratta, infatti, di una mera omessa comunicazione di avvio del procedimento (oggi meno incisiva a seguito della modifica dell’art. 21-octies, l. 241/1990), ma di un vizio afferente alla partecipazione al procedimento, la cui violazione è insanabile quando incide su procedimenti ad elevato contenuto discrezionale.

Il Collegio ha richiamato consolidati orientamenti del Consiglio di Stato (sent. n. 3121/2023, n. 2072/2023, n. 629/2021, n. 6378/2020), secondo cui il preavviso di rigetto assume un rilievo rafforzato in materia di immigrazione, per via del necessario bilanciamento tra sicurezza pubblica e tutela dei diritti fondamentali dello straniero.

Non potendo l’Amministrazione dimostrare la notifica dell’atto endoprocedimentale, il TAR ha accolto il ricorso, annullando il provvedimento lesivo, e disponendo la compensazione delle spese per la complessità del caso, che ha coinvolto più autorità in ambito nazionale ed estero.

Considerazioni conclusive

La sentenza si inserisce nel solco di un orientamento garantista volto a rafforzare le garanzie partecipative nei procedimenti amministrativi che incidono sul diritto fondamentale al soggiorno. In particolare, essa riafferma con nettezza il principio secondo cui la prova della notifica del preavviso di rigetto è elemento imprescindibile della legittimità del procedimento.

Il messaggio che il giudice amministrativo trasmette è chiaro: il rispetto del contraddittorio procedimentale non può essere surrogato da mere presunzioni o dichiarazioni formali, specie in ambiti – come quello dell’immigrazione – in cui sono in gioco diritti fondamentali e delicate esigenze di tutela della persona.

Avv. Fabio Loscerbo

mercoledì 16 luglio 2025

Affidamento familiare e rilascio del permesso di soggiorno: il TAR Bolzano annulla il diniego della Questura per violazione dell’art. 10-bis L. 241/1990 Commento alla sentenza del Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa – Sezione autonoma di Bolzano, n. 181/2025, emessa il 10 giugno 2025, R.G. n. 100/2025

 Affidamento familiare e rilascio del permesso di soggiorno: il TAR Bolzano annulla il diniego della Questura per violazione dell’art. 10-bis L. 241/1990

Commento alla sentenza del Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa – Sezione autonoma di Bolzano, n. 181/2025, emessa il 10 giugno 2025, R.G. n. 100/2025

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Bolzano, con la sentenza n. 181/2025, ha accolto il ricorso proposto da un giovane cittadino straniero avverso il provvedimento con cui la Questura di Bolzano aveva dichiarato irricevibile l’istanza di permesso di soggiorno per motivi familiari derivanti da affidamento, presentata prima del compimento della maggiore età.

La decisione è di particolare rilievo sotto il profilo della tutela procedimentale e sostanziale dello straniero minorenne affidato informalmente a familiari, e ribadisce l’obbligo dell’Amministrazione di attivare un’istruttoria completa, nonché di applicare correttamente le norme di diritto interno e dell’ordinamento dell’Unione.

1. Il fatto

Il ricorrente, entrato in Italia da minorenne, era stato affidato al cugino materno con formale dichiarazione notarile dei genitori e provvedimento del Sindaco del Comune di residenza del familiare affidatario. Aveva successivamente presentato istanza per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari. La Questura di Bolzano aveva però dichiarato irricevibile la domanda, sostenendo l’assenza di un provvedimento di affidamento del Tribunale per i minorenni, la mancanza di convivenza effettiva con l’affidatario e l’avvenuto raggiungimento della maggiore età.

2. Le doglianze del ricorrente

Tra i motivi di ricorso, il TAR ha ritenuto fondato – e sufficiente per l’annullamento del provvedimento – quello relativo alla violazione dell’art. 10-bis della L. n. 241/1990. L’Amministrazione, infatti, non aveva comunicato i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, impedendo così al ricorrente di interloquire in fase procedimentale e di integrare la documentazione mancante.

A ciò si aggiunge la fondatezza delle censure sostanziali relative alla mancata applicazione dell’art. 10 della L. 47/2017 e dell’art. 32 del D.Lgs. 286/1998, che disciplinano rispettivamente i permessi per minorenni stranieri non accompagnati o affidati e la possibilità di conversione del titolo al compimento della maggiore età.

3. L’affidamento familiare e il diritto al soggiorno

Il Tribunale ha riconosciuto che, alla luce della documentazione in atti, il ricorrente si trovava in una situazione di affidamento familiare consensuale, validamente disposto ai sensi dell’art. 4 della L. n. 184/1983, che lo poneva in condizione di richiedere un permesso di soggiorno per motivi familiari. Ha ritenuto irrilevante, ai fini del diritto al titolo, l’eventuale mancata convalida del provvedimento da parte del Tribunale per i minorenni, attesa la piena efficacia del provvedimento sindacale di affidamento e la chiara volontà dei genitori.

Il TAR ha inoltre chiarito che, anche laddove l’Amministrazione avesse ritenuto il venir meno dei presupposti per il rilascio del titolo familiare a causa della sopravvenuta maggiore età, avrebbe dovuto procedere alla valutazione d’ufficio della possibilità di conversione del titolo in permesso per lavoro subordinato, ex art. 32, comma 1, D.Lgs. n. 286/1998. Tale obbligo discende anche dall’art. 5, comma 9, del medesimo testo normativo, che impone alla Pubblica Amministrazione di valutare l’alternativa tipologia di permesso qualora manchino i presupposti per quello richiesto.

4. Il principio affermato

La sentenza riafferma due importanti principi:

  • La violazione dell’art. 10-bis L. 241/1990 comporta l’illegittimità insanabile del provvedimento, ove non sia data al cittadino la possibilità di partecipare al procedimento.

  • L’affidamento familiare formalizzato anche in via amministrativa e con supporto documentale adeguato legittima il rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari, e la sopravvenuta maggiore età impone la valutazione della conversione in permesso per lavoro subordinato.

5. Conclusione

Con l’annullamento del provvedimento e la condanna dell’Amministrazione alle spese di giudizio, il TAR Bolzano ha sancito una linea interpretativa garantista, conforme ai princìpi del diritto minorile e agli obblighi di buona amministrazione.

La pronuncia si pone nel solco di un orientamento giurisprudenziale volto a valorizzare l’effettività dell’affidamento e la tutela dell’integrazione del minore straniero, anche oltre il compimento della maggiore età.


Avv. Fabio Loscerbo

martedì 15 luglio 2025

Revoca del permesso di soggiorno per lavoro subordinato: legittimità del provvedimento anche in presenza di nuova occupazione R.G. n. 826/2024 – Sentenza del 2 luglio 2025 – Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sezione Terza

 Revoca del permesso di soggiorno per lavoro subordinato: legittimità del provvedimento anche in presenza di nuova occupazione

R.G. n. 826/2024 – Sentenza del 2 luglio 2025 – Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sezione Terza

Con la sentenza n. 964/2025, pubblicata in data 12 luglio 2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Sezione Terza – ha rigettato il ricorso proposto da un cittadino straniero avverso il decreto di annullamento del permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo rilasciato per motivi di lavoro subordinato, adottato dalla Questura di Foggia.

L’annullamento era stato motivato dall’accertata falsità del contratto di lavoro presentato dal ricorrente, che risultava stipulato con un’impresa inesistente, come confermato da un accertamento dell’INPS: totale assenza di documentazione fiscale, irreperibilità della presunta titolare e insussistenza dei rapporti di lavoro denunciati. Secondo la Questura, il titolo era quindi stato conseguito in assenza di una condizione essenziale: la prova della sussistenza di un reddito lecito da lavoro.

Il ricorrente, per contro, aveva eccepito di essere stato vittima di un datore di lavoro scorretto e di aver comunque prestato attività lavorativa, pur presso altro imprenditore. Sosteneva inoltre di essere attualmente titolare di un nuovo contratto di lavoro, stipulato nel 2023 e valido fino al 2025, e di aver dunque diritto al mantenimento del titolo. In via subordinata, lamentava il mancato esame da parte della Questura della possibilità di rilascio di altri titoli di soggiorno.

Il TAR ha ritenuto infondato il ricorso. In primo luogo, ha escluso che l’Amministrazione potesse valutare la sopravvenuta situazione lavorativa del ricorrente, sia perché questa non era nota all’epoca del provvedimento (adottato nel 2018 e notificato solo nel 2024 per irreperibilità del destinatario), sia perché il lavoratore non aveva partecipato alla fase procedimentale. Inoltre, il nuovo contratto era posteriore alla data dell’annullamento, e quindi irrilevante ai fini della valutazione di legittimità del provvedimento impugnato.

Quanto alla doglianza relativa alla condotta fraudolenta del datore di lavoro, il TAR ha osservato che tale circostanza, pur a volerla accogliere, non avrebbe eliso il dato obiettivo dell’assenza di qualsiasi documentazione fiscale e reddituale a carico del ricorrente fino al 2023, con conseguente legittimità del ritiro del titolo.

Infine, il Collegio ha chiarito che la valutazione circa il rilascio di altri titoli di soggiorno non può interferire con l’autonomia del procedimento di annullamento in autotutela. Spetta infatti all’interessato attivare, in via separata, nuove istanze fondate su presupposti differenti.

Le spese sono state compensate, in considerazione della natura e dell’andamento del giudizio.

Avv. Fabio Loscerbo

lunedì 14 luglio 2025

Permesso di soggiorno di lungo periodo: legittima la revoca anche nell’ambito di un procedimento di aggiornamento R.G. n. 39/2021 – Sentenza dell’11 ottobre 2022 – Tribunale Amministrativo Regionale della Valle d’Aosta, Sezione Unica

 Permesso di soggiorno di lungo periodo: legittima la revoca anche nell’ambito di un procedimento di aggiornamento

R.G. n. 39/2021 – Sentenza dell’11 ottobre 2022 – Tribunale Amministrativo Regionale della Valle d’Aosta, Sezione Unica

Con la sentenza n. 63/2022, pubblicata il 23 dicembre 2022, il Tribunale Amministrativo Regionale della Valle d’Aosta ha respinto il ricorso proposto da un cittadino straniero avverso il provvedimento della Questura di Aosta che negava l’aggiornamento del permesso di soggiorno di lungo periodo e il successivo rigetto del ricorso gerarchico da parte del Presidente della Regione.

Il caso riguardava una richiesta di aggiornamento del permesso già rilasciato, che la Questura ha respinto, motivando l’atto con la mancanza di elementi sufficienti a dimostrare la permanenza stabile del richiedente sul territorio nazionale, nonché con considerazioni ostative legate alla sua condotta. La Regione ha confermato tale valutazione, rigettando l'impugnazione in sede gerarchica.

Nel ricorso, il difensore ha lamentato la trasformazione surrettizia del procedimento di aggiornamento in un procedimento di revoca, contestando altresì la valutazione discrezionale dell’amministrazione in ordine all’affidabilità e al radicamento dell’interessato.

Il TAR ha tuttavia respinto le censure. Sotto il primo profilo, ha osservato che, ai sensi dell’art. 9, comma 7, del D.Lgs. 286/1998, l’amministrazione ha sempre il potere di revoca del permesso quando vengono meno le condizioni per il rilascio, anche all’interno di un procedimento formale di aggiornamento. La comunicazione dei motivi ostativi, regolarmente effettuata, ha assicurato il contraddittorio procedimentale.

Quanto alla discrezionalità amministrativa, il Collegio ha riconosciuto che la Questura ha esercitato in modo legittimo e non irragionevole il proprio apprezzamento, motivando in modo adeguato il diniego alla luce delle circostanze documentate, ritenute ostative al mantenimento del titolo di soggiorno.

La sentenza chiarisce un punto delicato nella prassi amministrativa: la possibilità di convertire in revoca un procedimento di aggiornamento, qualora emergano motivi legittimi. Essa conferma anche l’estensione del potere discrezionale dell’amministrazione nella valutazione della sussistenza dei presupposti per il rilascio o mantenimento del titolo, purché ciò avvenga in osservanza delle garanzie procedurali e con motivazione congrua.

Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali, liquidate in € 2.000 complessivi, ripartiti tra Regione e Ministero dell’Interno.

Avv. Fabio Loscerbo

domenica 13 luglio 2025

Accesso agli atti e tutela giurisdizionale: il TAR Marche riafferma il diritto alla trasparenza procedimentale R.G. n. 221/2025 – Sentenza del 12 giugno 2025 – Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche, Sez. II

 Accesso agli atti e tutela giurisdizionale: il TAR Marche riafferma il diritto alla trasparenza procedimentale

R.G. n. 221/2025 – Sentenza del 12 giugno 2025 – Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche, Sez. II

Con sentenza pubblicata il 16 giugno 2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche (Sezione Seconda), decidendo sul ricorso R.G. n. 221/2025, ha accolto il ricorso proposto avverso il silenzio serbato dalla Questura di Fermo in relazione a un’istanza di accesso agli atti presentata da una cittadina straniera, titolare di una richiesta di permesso di soggiorno per motivi familiari.

La ricorrente, in data 5 novembre 2024, aveva inoltrato formale richiesta di accesso ex artt. 22 ss. della L. 241/1990, al fine di ottenere copia degli atti relativi al procedimento avviato con la presentazione di un’istanza tramite kit postale il 22 febbraio 2023. Non avendo ricevuto alcuna risposta, nonostante un successivo sollecito del 19 dicembre 2024, ha adito il giudice amministrativo per far valere il proprio diritto alla conoscenza degli atti amministrativi, anche in vista di una possibile tutela giurisdizionale.

Il TAR ha ritenuto il ricorso pienamente fondato, rilevando l’illegittimità del silenzio serbato dall’amministrazione, che, pur costituitasi in giudizio, non ha offerto alcuna motivazione ostativa all’accesso. Il Collegio ha sottolineato che l’istanza non era né generica né esplorativa, e che l’interesse giuridicamente rilevante della ricorrente era stato chiaramente illustrato. Di conseguenza, ha annullato il provvedimento tacito di rigetto formatosi sul silenzio dell’amministrazione, condannando la Questura di Fermo a esibire gli atti richiesti entro il termine di trenta giorni dalla comunicazione o notificazione della sentenza.

La pronuncia assume particolare rilievo nella prassi dell’accesso documentale nei procedimenti amministrativi in materia di immigrazione, spesso segnati da opacità e ritardi. Essa riafferma il principio della trasparenza amministrativa come presidio effettivo del diritto alla difesa e del buon andamento dell’azione pubblica, in coerenza con l’art. 97 Cost. e con l’obbligo per la pubblica amministrazione di concludere il procedimento entro termini ragionevoli.

Avv. Fabio Loscerbo

mercoledì 2 luglio 2025

Il valore non ostativo della scadenza del permesso nella procedura di conversione: una conferma giurisprudenziale Nota a T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. II, sent. n. 1147/2025, R.G. n. 720/2025, emessa il 25 giugno 2025

 Il valore non ostativo della scadenza del permesso nella procedura di conversione: una conferma giurisprudenziale

Nota a T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. II, sent. n. 1147/2025, R.G. n. 720/2025, emessa il 25 giugno 2025


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, con sentenza n. 1147/2025 (R.G. 720/2025), depositata il 30 giugno 2025, ha accolto il ricorso presentato da un cittadino straniero avverso il provvedimento con cui lo Sportello Unico per l’Immigrazione di Catanzaro aveva rigettato la domanda di conversione del permesso di soggiorno da lavoro stagionale a lavoro subordinato, sul mero rilievo della scadenza del titolo di soggiorno al momento della presentazione dell’istanza.

1. I fatti: una conversione negata per la sola scadenza formale

L’istanza di conversione era stata presentata in data 21 marzo 2024, ma è stata rigettata con provvedimento del 29 marzo 2025, sulla base del solo dato formale della scadenza del permesso stagionale. Il ricorrente ha impugnato l’atto, deducendo la violazione dell’art. 24 del d.lgs. 286/1998 e delle relative circolari, nonché l’eccesso di potere per travisamento dei presupposti e la violazione dei principi di ragionevolezza, buona amministrazione e favor integrationis.

2. La motivazione del TAR: discrezionalità amministrativa e tutela sostanziale

Il Collegio ha ritenuto fondate le censure, richiamando un consolidato orientamento giurisprudenziale, sia dello stesso TAR Calabria (sent. n. 344/2025 e n. 854/2025) sia del Consiglio di Stato (Sez. III, n. 3884/2016 e n. 5604/2023), secondo cui la mera scadenza del permesso di soggiorno non costituisce ragione automatica ed insuperabile di rigetto, in quanto:

«la supposta natura decadenziale del termine non appare coerente con il sistema, dato che quest’ultimo, all’art. 5, comma 5, del T.U.I., impone di tenere in considerazione, in favore del rilascio del permesso di soggiorno, gli “elementi sopravvenuti” e vieta di considerare preclusive le irregolarità amministrative sanabili».

Il TAR ha ribadito che l’Amministrazione è comunque tenuta a esercitare la propria discrezionalità valutativa, prendendo in esame tutti gli altri presupposti sostanziali per la conversione del titolo, anche in presenza di una scadenza formale recente del permesso, come nel caso in esame.

3. Gli effetti della decisione

La sentenza, emessa ai sensi dell’art. 60 c.p.a. in forma semplificata, ha disposto l’annullamento del provvedimento impugnato, ordinando alla pubblica amministrazione di riattivare il procedimento e di procedere a un riesame sostanziale della domanda, senza considerare ostativa la scadenza del permesso.

È stata inoltre disposta l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato, con compensazione delle spese di lite, riservando la liquidazione dei compensi a separato provvedimento.


Questa pronuncia assume particolare rilievo nel panorama applicativo dell’art. 24 del T.U.I., riaffermando con chiarezza un principio di equità procedimentale: non può essere sacrificato il diritto dello straniero a ottenere una valutazione nel merito della propria istanza di conversione per mere formalità amministrative, soprattutto quando la scadenza del titolo sia di pochi giorni. In un’ottica di favor per l’integrazione e di effettività dei diritti, il bilanciamento tra legalità formale e sostanza giuridica deve orientare l’azione amministrativa verso la tutela del percorso di regolarizzazione dello straniero che dimostri un radicamento effettivo nel tessuto lavorativo nazionale.

Avv. Fabio Loscerbo

domenica 29 giugno 2025


 

La legittimità del diniego di conversione del permesso di soggiorno da lavoro stagionale a subordinato nel settore agricolo: il parametro delle 39 giornate lavorative nel trimestre

 La legittimità del diniego di conversione del permesso di soggiorno da lavoro stagionale a subordinato nel settore agricolo: il parametro delle 39 giornate lavorative nel trimestre

Abstract:
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza), con sentenza n. 792/2025 (R.G. n. 704/2025), pronunciata il 4 giugno 2025, ha rigettato il ricorso di un cittadino straniero avverso il diniego della Prefettura di Bari alla conversione del permesso di soggiorno da lavoro stagionale a subordinato. La decisione offre spunti significativi sul rapporto tra normativa primaria e atti amministrativi generali (circolari), con particolare attenzione all’interpretazione dell’art. 24, comma 10, del D.Lgs. 286/1998.


1. Introduzione

La sentenza in commento si inserisce nel quadro delle controversie amministrative concernenti la gestione del c.d. “decreto flussi” e, in particolare, le condizioni richieste per la conversione del permesso stagionale. Il ricorrente lamentava che la Prefettura avesse rigettato l’istanza in base a criteri ritenuti illegittimi, tra cui l’adozione del parametro minimo delle 39 giornate di lavoro in agricoltura su base trimestrale, mutuato da circolari ministeriali.


2. Il fatto

Il ricorrente aveva presentato istanza il 4 dicembre 2023, chiedendo la conversione del proprio permesso di soggiorno per lavoro stagionale in permesso per lavoro subordinato, ai sensi dell’art. 24, comma 10, del D.Lgs. 286/1998. Il diniego dell’Amministrazione era motivato dalla mancata prova di una prestazione lavorativa media di almeno 13 giornate mensili nel settore agricolo, nonché dalla ritenuta insufficiente capacità economica del datore di lavoro.


3. La motivazione del TAR

Il TAR ha confermato la legittimità del diniego, ritenendo corretta l’interpretazione amministrativa che quantifica l’attività lavorativa minima in 39 giornate nel trimestre, come previsto dalla circolare ministeriale congiunta n. 5969/2023 e dalla precedente circolare n. 37/2016. Il Collegio ha evidenziato che, in assenza di una specifica indicazione quantitativa nel testo dell’art. 24, comma 10, TUI, spetta all’Amministrazione individuare criteri attuativi, purché ragionevoli e non arbitrari. In tal senso, le 13 giornate mensili per settore agricolo sono considerate un parametro congruo e giustificato dalla natura discontinua del lavoro stagionale.


4. Il principio affermato

La sentenza ribadisce che:

  • Il requisito delle 39 giornate lavorative nel trimestre rappresenta un criterio legittimo per valutare la “regolare attività lavorativa” ai fini della conversione del titolo;

  • Le esperienze lavorative non coerenti con il settore agricolo non possono essere computate nel calcolo;

  • L’insufficiente capacità economica del datore di lavoro, se comprovata, può costituire causa ostativa alla conversione, anche se non imputabile direttamente al lavoratore;

  • Non vi è vizio procedimentale se l’atto è reso conoscibile tramite caricamento su portale (ALI), anche senza notifica a mezzo PEC.


5. Valutazioni critiche

La pronuncia si inserisce in un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato (cfr. Cons. Stato, Sez. III, sent. n. 5721/2020; TAR Lombardia, Sez. IV, sent. n. 1934/2023) che ammette un’ampia discrezionalità amministrativa nella regolazione delle conversioni dei permessi stagionali. Tuttavia, permane un profilo di criticità nell’affidare a circolari – non sempre pubblicate tempestivamente – il compito di determinare requisiti sostanziali per l’accesso a diritti fondamentali connessi al soggiorno.


6. Conclusioni

La sentenza n. 792/2025 del TAR Puglia evidenzia il peso crescente della prassi amministrativa nella definizione degli standard di legalità nel diritto dell’immigrazione, in un contesto normativo lacunoso e non sempre coordinato. Essa conferma l’importanza, per i lavoratori stranieri, di documentare in modo preciso e tempestivo le giornate lavorative effettive e la coerenza settoriale del rapporto di lavoro.


Estremi della pronuncia:

  • Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sezione Terza

  • Sentenza n. 792/2025

  • R.G. n. 704/2025

  • Data di emissione: 4 giugno 2025

  • Pubblicata il: 10 giugno 2025


Avv. Fabio Loscerbo
Avvocato esperto in diritto dell’immigrazione

sabato 28 giugno 2025


 

Il mancato rispetto del requisito minimo di attività lavorativa per la conversione del permesso stagionale: rigetto legittimo secondo il TAR Puglia Commento alla sentenza del T.A.R. Puglia – Sez. III, n. 809/2025, R.G. n. 602/2024, depositata il 12 giugno 2025

 Il mancato rispetto del requisito minimo di attività lavorativa per la conversione del permesso stagionale: rigetto legittimo secondo il TAR Puglia

Commento alla sentenza del T.A.R. Puglia – Sez. III, n. 809/2025, R.G. n. 602/2024, depositata il 12 giugno 2025

Nel contesto del diritto dell’immigrazione economica, la conversione del permesso di soggiorno da lavoro stagionale a lavoro subordinato rappresenta una possibilità condizionata al rispetto di requisiti normativi rigorosamente disciplinati. Con la sentenza n. 809/2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza) ha confermato la legittimità del rigetto di una richiesta di conversione per mancanza del prescritto requisito di attività lavorativa minimo, ponendo in risalto l'importanza del parametro oggettivo rappresentato dalle "39 giornate lavorative nel trimestre".

La fattispecie riguardava un lavoratore extracomunitario impiegato come bracciante agricolo, il quale aveva svolto 42 giornate di lavoro in 5 mesi. L’istanza di conversione del permesso, presentata presso lo Sportello Unico per l’Immigrazione di Bari, era stata rigettata in quanto non risultava soddisfatta la soglia richiesta di 39 giornate lavorative concentrate in un arco temporale massimo di tre mesi, come ribadito dalla circolare interministeriale n. 5969 del 27 ottobre 2023.

Il TAR ha evidenziato che l’art. 24, comma 10, del d.lgs. n. 286/1998, consente la conversione solo laddove l’attività lavorativa sia stata svolta “per almeno tre mesi”, e che, nel settore agricolo, tale requisito è quantificato proprio nella soglia delle 39 giornate trimestrali, da intendersi come prestazione continuativa e regolare, con copertura contributiva. La soglia temporale deve quindi essere rispettata non solo nel numero, ma anche nella concentrazione entro il trimestre di riferimento.

Significativo è l’approfondimento offerto dal Collegio in ordine alla natura non soggettiva del diritto all’ingresso e al soggiorno per lavoro: l’accesso al territorio nazionale per motivi lavorativi è subordinato a un regime autorizzatorio, inserito in una più ampia cornice di gestione statuale dei flussi migratori, come riconosciuto anche dal diritto dell’Unione Europea. Viene infatti richiamato l’art. 79, par. 5, TFUE, che riafferma la riserva di sovranità degli Stati membri nella determinazione del volume di ingresso per motivi di lavoro.

La pronuncia, in continuità con altre decisioni della medesima sezione (tra cui TAR Puglia, sent. n. 45/2025), ribadisce che l’Amministrazione è vincolata all’applicazione delle condizioni tipiche previste dal Testo Unico Immigrazione e dalle sue circolari attuative, escludendo margini di discrezionalità laddove l’istanza difetti dei presupposti normativi, anche alla luce di pareri tecnici – nel caso specifico, dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro.

Il ricorso è stato quindi respinto, con compensazione delle spese di lite, e con dichiarazione di inammissibilità della domanda di ammissione al patrocinio a spese dello Stato per carenza documentale (mancata produzione della certificazione consolare dei redditi esteri o dichiarazione sostitutiva).

Questa decisione conferma l’orientamento secondo cui il diritto al lavoro, pur riconosciuto a livello costituzionale e sovranazionale, non implica un automatismo nel riconoscimento o nella conversione del titolo di soggiorno in assenza dei requisiti positivi stabiliti dalla normativa primaria e dalla prassi consolidata.

Avv. Fabio Loscerbo


 

Il radicamento sociale come limite all’allontanamento: il Tribunale di Bologna riconosce la protezione speciale ex art. 19, co. 1.1 TUI (Nota a Trib. Bologna, sez. immigrazione, sentenza 12 giugno 2025, n. R.G. 14052/2023)

Il radicamento sociale come limite all’allontanamento: il Tribunale di Bologna riconosce la protezione speciale ex art. 19, co. 1.1 TUI
(Nota a Trib. Bologna, sez. immigrazione, sentenza 12 giugno 2025, n. R.G. 14052/2023)


1. Premessa

Con sentenza del 12 giugno 2025, il Tribunale Ordinario di Bologna – Sezione specializzata in materia di immigrazione – ha accolto il ricorso di un cittadino straniero avverso il diniego della Questura di Bologna al rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale. Il provvedimento si distingue per l’accurata ricostruzione normativa e giurisprudenziale del concetto di “radicamento” quale limite legittimo all’espulsione ai sensi dell’art. 19, comma 1.1, TUI, così come modificato dal D.L. 130/2020 e prima dell’entrata in vigore del D.L. 20/2023.


2. Il contesto normativo

La controversia è stata inquadrata ratione temporis sotto la vigenza del D.L. 130/2020, in quanto la domanda amministrativa per la protezione speciale risale al 7 luglio 2022. In tale contesto, il divieto di refoulement si estendeva anche ai casi in cui l’allontanamento dallo Stato potesse comportare una lesione del diritto al rispetto della vita privata e familiare del richiedente, ex art. 8 CEDU, così come recepito dal secondo periodo del comma 1.1 dell’art. 19 TUI.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sent. n. 24413/2021) hanno chiarito che tale protezione non ha solo funzione residuale rispetto all’asilo e alla protezione sussidiaria, ma costituisce un vero e proprio diritto soggettivo in presenza di una vita privata consolidata e meritevole di tutela in Italia.


3. I presupposti di fatto

Il ricorrente è presente sul territorio italiano sin dal 2006. Ha regolarizzato più volte la propria posizione soggiornante, è coniugato, vive stabilmente con la moglie in stato di gravidanza e dispone di abitazione in affitto, con regolare contratto di locazione.

La sua posizione lavorativa è solida: è attualmente assunto con contratto a tempo indeterminato e reddito mensile medio di circa € 1.650. Ha ottenuto licenza media e attestato OSS, partecipa attivamente alla vita religiosa e ha dimostrato un’integrazione linguistica e sociale completa, avendo reso l’intera audizione davanti al giudice in lingua italiana.

Il Tribunale ha inoltre riconosciuto il tentativo costante di regolarizzazione e il lungo percorso di permanenza in Italia (quasi 19 anni), sottolineando l’assenza di precedenti penali, la continuità lavorativa e la stabilità familiare come elementi centrali nella valutazione del “radicamento”.


4. La motivazione giuridica

Il Collegio ha richiamato i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, in particolare l’ordinanza Cass. n. 7861/2022, secondo cui il radicamento può essere familiare, sociale o cronologico, e il rischio di compromissione del diritto alla vita privata sussiste anche qualora solo uno di questi fattori risulti concretamente integrato.

Nel caso di specie, il giudice ha evidenziato come il ricorrente abbia sviluppato una rete complessa di relazioni affettive, sociali ed economiche tali da rendere sproporzionato un eventuale allontanamento, anche alla luce dei parametri elaborati dalla Corte EDU (sentenza Niemetz c. Germania, 16 dicembre 1992).

Il riconoscimento della protezione speciale si è quindi fondato su una visione pienamente coerente con il principio personalista dell’art. 2 Cost. e con il principio di proporzionalità desumibile dal diritto convenzionale.


5. Conclusioni

Il Tribunale di Bologna ha accolto integralmente il ricorso, disponendo il rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale con durata biennale, rinnovabile e convertibile per motivi di lavoro, ai sensi della disciplina previgente al D.L. 20/2023. Ha infine compensato le spese di lite, rilevando che i fatti posti a fondamento dell’accoglimento sono sopravvenuti rispetto alla decisione amministrativa impugnata.

Questo provvedimento conferma il consolidato orientamento giurisprudenziale che vede nel radicamento sociale e familiare un fondamento sostanziale di tutela della dignità dello straniero regolarmente inserito in Italia.


Avv. Fabio Loscerbo

Tutela della vita privata e protezione speciale alla luce dell’art. 8 CEDU: il Tribunale di Bologna riafferma la centralità del radicamento sociale e familiare (Nota a Trib. Bologna, sez. imm., decreto 12 giugno 2025, n. R.G. 14720/2023)

Tutela della vita privata e protezione speciale alla luce dell’art. 8 CEDU: il Tribunale di Bologna riafferma la centralità del radicamento sociale e familiare

(Nota a Trib. Bologna, sez. imm., decreto 12 giugno 2025, n. R.G. 14720/2023)


1. Premessa

Con decreto del 12 giugno 2025, il Tribunale Ordinario di Bologna – Sezione Specializzata in materia di Immigrazione – ha accolto il ricorso proposto da un cittadino marocchino avverso il provvedimento della Commissione Territoriale che aveva dichiarato manifestamente infondata la domanda di protezione internazionale. Il provvedimento si segnala per la chiarezza argomentativa nel ricostruire il fondamento costituzionale e sovranazionale del diritto alla protezione speciale, anche successivamente alle modifiche introdotte dal c.d. “Decreto Cutro” (D.L. 20/2023 conv. in L. 50/2023).


2. Il contesto normativo e la domanda giudiziale

Il ricorrente aveva presentato istanza di protezione internazionale il 6 luglio 2023, dunque sotto la vigenza della nuova disciplina, successiva all’entrata in vigore del D.L. 20/2023. In sede di ricorso giurisdizionale, veniva chiesto il riconoscimento della protezione complementare, nella specie “protezione speciale” ex art. 32, comma 3, D.Lgs. 25/2008 in relazione all’art. 19, commi 1 e 1.1, D.Lgs. 286/1998, con annullamento dell’obbligo di rimpatrio.


3. L’analisi del Tribunale

Il Tribunale ha ricostruito con precisione la portata delle modifiche legislative intervenute con il Decreto Cutro, rilevando che la novella ha inciso solo su alcune porzioni dell’art. 19, co. 1.1 TUI, abrogando i criteri legali di valutazione della vita privata e familiare, ma non il divieto di respingimento nei casi in cui sussistano obblighi costituzionali o internazionali. In particolare, è stato valorizzato il riferimento all’art. 5, comma 6, TUI e alla tutela sovraordinata offerta dall’art. 8 CEDU, che impone obblighi positivi e negativi agli Stati nel garantire il rispetto della vita privata e familiare dello straniero.

Il Tribunale richiama in proposito la giurisprudenza consolidata della Corte di Strasburgo e della Corte di Cassazione (Cass. n. 28162/2023), rilevando come il diritto alla vita privata comprenda anche l’inserimento lavorativo, sociale e la costruzione di un’identità personale nel contesto di accoglienza.


4. Gli elementi di fatto accertati

Il giudice ha ritenuto provata, nel caso di specie, l’esistenza di una vita privata meritevole di tutela, fondando la decisione sui seguenti elementi documentati:

  • convivenza con stretti parenti regolarmente soggiornanti (zia e cugina);

  • iscrizione anagrafica presso il Comune di Alfonsine (RA);

  • svolgimento di attività lavorativa continuativa nel settore edile e agricolo;

  • frequenza di corsi di formazione, tra cui sicurezza sul lavoro e volontariato presso la Croce Rossa;

  • progressivo miglioramento delle condizioni economiche;

  • assenza di profili di pericolosità o motivi ostativi rilevati dall’Amministrazione.


5. Il riconoscimento della protezione speciale

Alla luce di tale quadro, il Tribunale ha riconosciuto il diritto del ricorrente al rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale, ex art. 19, commi 1 e 1.1, TUI, sottolineando come l’allontanamento forzato avrebbe comportato una lesione sproporzionata del diritto alla vita privata del ricorrente.

È stata invece rigettata, per difetto di interesse attuale, la richiesta di accertamento della “convertibilità” del titolo di soggiorno in permesso UE per soggiornanti di lungo periodo, trattandosi di questione estranea all’oggetto del giudizio.


6. Conclusioni

Il decreto del Tribunale di Bologna si inserisce in una giurisprudenza sempre più attenta a tutelare i diritti fondamentali dello straniero in un’ottica integrata tra diritto interno e fonti sovranazionali. La protezione speciale, anche nella nuova formulazione normativa, non perde la sua funzione di garanzia ultima contro misure di espulsione o rimpatrio potenzialmente lesive di diritti inviolabili, specie nei casi di effettivo radicamento socio-familiare sul territorio italiano.


Avv. Fabio Loscerbo

sabato 21 giugno 2025

Revoca del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo e pericolosità sociale: il Consiglio di Stato torna a delimitare il potere discrezionale della Questura

Revoca del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo e pericolosità sociale: il Consiglio di Stato torna a delimitare il potere discrezionale della Questura

Cons. Stato, Sez. III, sentenza n. 5257/2025, R.G. n. 6296/2024, decisa il 22 maggio 2025, pubblicata il 16 giugno 2025

di Avv. Fabio Loscerbo


1. Introduzione

La pronuncia del Consiglio di Stato oggetto di analisi si inserisce nel filone giurisprudenziale volto a delimitare l’esercizio del potere discrezionale della pubblica amministrazione nei confronti degli stranieri titolari di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, ai sensi dell’art. 9 del d.lgs. n. 286/1998 (TUI). Il caso riguarda, nello specifico, un provvedimento di revoca del permesso per asserita pericolosità sociale, emesso dalla Questura di Bologna nei confronti di un cittadino con lunga permanenza e forte radicamento in Italia.


2. I fatti: condanna penale e revoca del permesso UE

Il ricorrente, residente in Italia da quando aveva sei anni, era in possesso di un permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo rilasciato nel 2019.
Il 29 gennaio 2024, la Questura di Bologna ha emesso un decreto di revoca del permesso, motivandolo con il giudizio di pericolosità sociale legato a diversi episodi penali (rapina, furto, reati violenti) verificatisi tra il 2022 e il 2023.

Il ricorso al TAR Emilia-Romagna, volto ad annullare il provvedimento, è stato rigettato con sentenza n. 379/2024, che ha ritenuto legittima la valutazione della Questura, respingendo anche l’eccezione di incostituzionalità sollevata.


3. La decisione del Consiglio di Stato: giudizio di pericolosità e valutazione integrata

Con la sentenza n. 5257/2025, il Consiglio di Stato ha riformato la decisione del TAR, accogliendo l’appello e annullando la revoca del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo.

Secondo il Collegio, la sola presenza di condanne penali non è sufficiente a giustificare la revoca del permesso. È invece necessario un giudizio articolato di pericolosità sociale che includa:

  • durata della presenza in Italia;

  • livello di inserimento sociale, familiare e lavorativo;

  • eventuali percorsi rieducativi già svolti;

  • supporto del nucleo familiare.

Nel caso in esame, il Consiglio rileva che il provvedimento non contiene un adeguato bilanciamento tra l’interesse pubblico e i diritti del ricorrente, fortemente radicato in Italia.


4. La giurisprudenza richiamata: una tutela rafforzata per i soggiornanti di lungo periodo

La Sezione III richiama ampia giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. III, nn. 3694/2023, 6075/2022, 4455/2018, 4708/2016) per confermare che, in materia di permesso UE di lungo periodo, vige una tutela rafforzata. La revoca del titolo non può avvenire automaticamente, ma richiede una motivazione fondata, coerente, e proporzionata.

La ratio si fonda sul principio che tali permessi presuppongono un radicamento nel territorio che va tutelato e bilanciato, anche alla luce dell’art. 8 CEDU.


5. Conclusioni

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 5257/2025, rimarca che l’integrazione sociale e familiare del soggiornante di lungo periodo è un elemento giuridicamente rilevante e non secondario. L’amministrazione, nell’esercizio del proprio potere, deve fornire una motivazione che dia conto non solo della gravità del reato, ma anche della personalità complessiva del soggetto, della sua evoluzione sociale e del contesto in cui vive.

La pronuncia rappresenta un punto fermo contro gli automatismi espulsivi e riafferma il primato della valutazione proporzionale, concreta e individualizzata, soprattutto quando in gioco vi sono titoli che riconoscono una presenza duratura e qualificata dello straniero in Italia.


La discrezionalità nella concessione della cittadinanza italiana: un confine netto tra integrazione e condanna penale

 

La discrezionalità nella concessione della cittadinanza italiana: un confine netto tra integrazione e condanna penale

di Avv. Fabio Loscerbo

Consiglio di Stato, Sez. III, Sentenza n. 5391/2025, R.G. n. 2946/2023 – Decisione del 12 giugno 2025


1. Premessa

La pronuncia n. 5391/2025 del Consiglio di Stato affronta ancora una volta, con rigore e coerenza sistematica, il nodo interpretativo e applicativo relativo alla natura del procedimento di concessione della cittadinanza italiana per naturalizzazione, disciplinato dall’art. 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91. In particolare, si pone l’accento sul rapporto tra pregiudizi penali e integrazione sociale del richiedente, in un contesto segnato da margini ampi di discrezionalità amministrativa.


2. Il caso concreto: i fatti e il giudizio di primo grado

Il cittadino moldavo appellante aveva impugnato, innanzi al TAR Lazio, il decreto con cui il Ministero dell’Interno aveva respinto la sua istanza di cittadinanza italiana ex art. 9, lett. f), della legge n. 91/1992. Il diniego si fondava su:

  • una condanna definitiva per il reato di invasione di edifici in concorso (art. 633 c.p. e 110 c.p.);

  • una seconda condanna in primo grado per possesso di targhe automobilistiche false, estinta per prescrizione in appello.

Il TAR ha rigettato il ricorso. L’interessato ha dunque proposto appello al Consiglio di Stato, sostenendo l’illegittimità del diniego per difetto di motivazione e per omessa valutazione della propria personalità e del percorso di integrazione.


3. Il principio giurisprudenziale ribadito: natura concessoria e margine di apprezzamento

Con sentenza n. 5391/2025, depositata il 20 giugno 2025, il Consiglio di Stato ha respinto l’appello, confermando la legittimità del diniego.

La motivazione si articola intorno a un principio costante della giurisprudenza amministrativa: la cittadinanza per naturalizzazione non costituisce un diritto soggettivo, bensì una concessione discrezionale sottoposta al bilanciamento tra l’interesse pubblico e la posizione personale dello straniero.

Come ribadito, si tratta di un atto di alta amministrazione, valutato in base a criteri che comprendono:

  • l’irreprensibilità della condotta;

  • l’integrazione sociale, economica e familiare;

  • la coerenza morale e civile del richiedente.


4. Il ruolo delle condanne penali: ostacolo assoluto o elemento valutativo?

Nel caso di specie, pur in assenza di reati automaticamente ostativi, il Consiglio di Stato sottolinea come le condotte penalmente rilevanti assumano valore ostativo “relativo”, in quanto espressive di un deficit di integrazione sociale.

Interessante è la distinzione operata tra:

  • valutazione giudiziaria della pericolosità penale (di competenza del giudice penale);

  • e valutazione amministrativa della non idoneità all’inserimento pieno nella comunità nazionale (di competenza del Ministero).

La discrezionalità amministrativa si esplica, dunque, non solo nella ponderazione delle sentenze penali, ma anche nella lettura complessiva del comportamento del richiedente, inclusa la mancata tempestiva riabilitazione.


5. Il momento rilevante e l’onere di attivarsi

Il Consiglio di Stato ribadisce che la legittimità del provvedimento va valutata con riferimento al momento della sua adozione.
Eventuali fatti sopravvenuti, come l’istanza di riabilitazione, non rilevano ai fini dell'annullamento, ma possono semmai costituire fondamento per una nuova istanza.

Pertanto, è onere del cittadino straniero riattivare l’iniziativa amministrativa, anziché proseguire il contenzioso, qualora siano intervenute circostanze nuove (Cons. Stato, sez. III, 16 novembre 2020, n. 7036; CGARS, 11 luglio 2022, n. 814).


6. Considerazioni finali

La decisione del Consiglio di Stato n. 5391/2025 rappresenta un ulteriore tassello nel consolidamento della giurisprudenza secondo cui il riconoscimento della cittadinanza italiana per naturalizzazione è atto ampiamente discrezionale, che presuppone una prova piena e attuale di integrazione sociale.

La presenza di pregiudizi penali, anche se non ostativi in senso assoluto, può legittimamente condurre al rigetto dell’istanza, senza che ciò configuri una lesione del diritto di difesa, purché la motivazione sia coerente, proporzionata e logicamente fondata.

Giurisdizione e diritto all’unità familiare post-Brexit: il caso della Carta di soggiorno per cittadini UK

 

Giurisdizione e diritto all’unità familiare post-Brexit: il caso della Carta di soggiorno per cittadini UK

di Avv. Fabio Loscerbo

R.G. n. 646/2025 – TAR Lombardia, Sez. IV – Sentenza n. 2372/2025, 18 giugno 2025

1. Premessa

La pronuncia in esame affronta una questione di rilievo crescente nel panorama del diritto dell'immigrazione post-Brexit: la richiesta di carta di soggiorno da parte di un cittadino britannico familiare di cittadino italiano, ai sensi dell’art. 18, comma 4, dell’Accordo di recesso tra Unione Europea e Regno Unito, sottoscritto in data 24 gennaio 2020.

Il TAR Lombardia, con sentenza n. 2372/2025, ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso amministrativo, rilevando il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore del giudice ordinario, ai sensi dell’art. 30, comma 6, del d.lgs. n. 286/1998 (TUI).

2. I fatti

Il ricorrente, cittadino UK, titolare di permesso di soggiorno per motivi familiari in quanto coniuge di cittadina italiana, aveva richiesto alla Questura il rilascio della “carta di soggiorno” prevista dall’art. 18 dell’Accordo di recesso, riservata ai britannici residenti in Italia prima del 31 dicembre 2020.

La Questura ha rigettato l’istanza con decreto del 9 dicembre 2024, notificato il 14 dicembre 2024. Il ricorrente ha quindi proposto impugnativa davanti al TAR.

3. La decisione del TAR Lombardia

Il Tribunale ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione, rilevando che il provvedimento impugnato rientra nella materia del diritto all’unità familiare, sottratta alla giurisdizione amministrativa in forza del combinato disposto dell’art. 30, comma 6, TUI e dell’art. 20 d.lgs. n. 150/2011.

La pronuncia richiama un orientamento consolidato (v. TAR Lazio, Sez. III-ter, sent. n. 1629/2020), secondo cui qualsiasi provvedimento amministrativo relativo al permesso di soggiorno per motivi familiari è devoluto alla cognizione del giudice ordinario.

Il TAR sottolinea, inoltre, che tale competenza è espressamente richiamata anche nel provvedimento stesso impugnato, e che il ricorrente potrà comunque riassumere il giudizio dinanzi al giudice competente, ai sensi dell’art. 11, comma 2, c.p.a.

4. Osservazioni critiche

Questa sentenza si inserisce nel quadro giurisprudenziale che definisce con sempre maggiore chiarezza i confini della giurisdizione ordinaria e amministrativa in materia migratoria, evidenziando un dato ormai pacifico: quando il provvedimento incide su rapporti familiari, il ricorso va proposto al tribunale ordinario.

Tuttavia, emergono almeno due elementi di riflessione:

  1. La specialità del regime Brexit – La carta di soggiorno ex art. 18 dell’Accordo di recesso è uno strumento di natura mista: ha profili internazionali, europei e amministrativi. Il suo inserimento netto nella categoria dei provvedimenti “per motivi familiari” potrebbe apparire riduttivo.

  2. Il rischio di frammentazione delle tutele – L’eccessiva rigidità nella delimitazione delle giurisdizioni, soprattutto quando si tratta di situazioni ibride (diritti derivanti da accordi internazionali con effetti diretti), può creare ostacoli pratici al diritto di difesa, rallentando i tempi e duplicando i costi.

5. Conclusione

La sentenza del TAR Lombardia (n. 2372/2025) conferma l’orientamento restrittivo del giudice amministrativo rispetto alla propria giurisdizione in materia di permessi per motivi familiari, anche quando connessi ad accordi internazionali come quello sulla Brexit.

Tuttavia, l’occasione è utile per sollecitare un aggiornamento del quadro normativo e giurisprudenziale in chiave evolutiva, che riconosca la complessità dei diritti di soggiorno derivati da fonti sovranazionali e favorisca un accesso più chiaro ed efficace alla giustizia per i cittadini coinvolti.

sabato 14 giugno 2025

🎙️ Podcast – Diritto dell’Immigrazione 🎧 Episodio: Permesso di soggiorno UE per lungo periodo e condanna penale – cosa dice il TAR


 🎙️ Podcast – Diritto dell’Immigrazione

🎧 Episodio: Permesso di soggiorno UE per lungo periodo e condanna penale – cosa dice il TAR

📢 Benvenuti a questo nuovo episodio del podcast Diritto dell’Immigrazione. Oggi parliamo di una sentenza importante che riguarda il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, e in particolare la sua revoca in caso di condanna penale.

⚖️ Con la sentenza numero 681 del 2025, il TAR Emilia-Romagna, sezione prima, ha deciso su un ricorso iscritto al R.G. numero 540 del 2021, presentato da un cittadino del Bangladesh. Questo cittadino era titolare di un permesso UE di lungo periodo rilasciato nel 2017. Dopo una condanna per rapina e lesioni personali, la Questura di Bologna ha revocato il titolo e rilasciato un permesso annuale per lavoro subordinato.

✍️ Il ricorso impugnava il decreto sostenendo che fosse stato adottato automaticamente, senza un’adeguata valutazione dell’integrazione sociale e familiare del ricorrente. Lavorava regolarmente, aveva una famiglia e figli minori frequentanti la scuola.

🔍 Il TAR ha però rigettato il ricorso, affermando che il permesso UE per lungo periodo non è un diritto soggettivo assoluto, ma un beneficio a carattere premiale. Può quindi essere revocato se sussistono gravi motivi di ordine pubblico e sicurezza. La sentenza chiarisce che la Questura, nel valutare la pericolosità sociale del soggetto, esercita una discrezionalità amministrativa legittima, se motivata.

📌 È un principio importante: non basta la regolarità formale del soggiorno. Il permesso rafforzato richiede anche una condotta conforme ai valori fondamentali dell’ordinamento. La revoca non è automatica, ma può essere disposta in modo proporzionato rispetto alla gravità dei fatti.

🗣️ In conclusione, la sentenza conferma che l’integrazione è una condizione da dimostrare nel tempo, e che il rilascio o il mantenimento del permesso UE non può prescindere dal rispetto dell’ordine pubblico e della sicurezza.

🎙️ Diritto dell’Immigrazione – A cura dell’Avvocato Fabio Loscerbo

La natura premiale del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo: limiti e discrezionalità amministrativa alla luce della sentenza del TAR Emilia-Romagna, Sez. I, n. 681/2025 (R.G. 540/2021)

 La natura premiale del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo: limiti e discrezionalità amministrativa alla luce della sentenza del TAR Emilia-Romagna, Sez. I, n. 681/2025 (R.G. 540/2021)


1. Introduzione

La sentenza n. 681/2025, depositata in data 12 giugno 2025 dal Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia-Romagna (R.G. n. 540/2021), affronta un nodo giurisprudenziale di rilievo in materia di diritto degli stranieri: la revoca di un permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo a seguito di una condanna penale e il successivo rilascio di un titolo ordinario per motivi di lavoro. La pronuncia conferma un orientamento consolidato secondo cui tale permesso ha carattere lato sensu “premiale” e non attribuisce allo straniero un diritto soggettivo assoluto al mantenimento dello status.


2. Il caso: i fatti e le censure del ricorrente

Il ricorrente, cittadino del Bangladesh, titolare di un permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo rilasciato nel 2017 dalla Questura di Bologna, aveva chiesto l’aggiornamento del titolo nel 2019. Con decreto del 26 marzo 2021, notificato il 19 aprile 2021, la Questura ha revocato il permesso di lungo periodo a causa di una condanna penale (per rapina e lesioni personali), rilasciando però un permesso annuale per lavoro subordinato.

Il ricorso deduceva vizi di violazione di legge (art. 9, comma 4, TUI) e difetto di motivazione, sostenendo che la revoca era stata disposta in modo automatico, senza adeguata valutazione del percorso di integrazione del ricorrente, della sua stabile presenza in Italia, della sua condizione familiare, lavorativa e reddituale.


3. Il percorso processuale

L’istanza cautelare veniva respinta nel luglio 2021 (ord. n. 352/2021). Dopo una fase di inattività, la causa è stata iscritta nel ruolo aggiunto per lo smaltimento dell’arretrato, fino all’udienza di merito dell’11 giugno 2025. In quella sede, il TAR ha ritenuto persistente l’interesse del ricorrente e ha deciso la causa nel merito, rigettando il ricorso.


4. Il ragionamento del TAR: il bilanciamento tra pericolosità e integrazione

Il TAR ha ritenuto che l’Amministrazione avesse svolto un’istruttoria completa e non irragionevole. In particolare:

  • Ha riconosciuto che il permesso UE per lungo soggiornanti ha natura non automatica né indefettibile, ma costituisce un riconoscimento di una condizione di integrazione "avanzata" dello straniero.

  • L’Amministrazione ha operato un bilanciamento tra gli interessi coinvolti: da un lato, la gravità dei reati (rapina e lesioni); dall’altro, il percorso di integrazione del ricorrente, testimoniato da lavoro regolare, famiglia in Italia, figli minori frequentanti le scuole.

  • Proprio per tale equilibrio, ha optato per revocare il permesso "rafforzato", ma rilasciare un titolo "ordinario" annuale per lavoro, rinnovabile.

Il TAR ha ribadito che tale impostazione non contrasta con i principi affermati dalla Corte Costituzionale o dalla Corte di Giustizia UE, che impongono un esame individualizzato, ma non escludono la possibilità di negare titoli stabili in presenza di gravi motivi di ordine pubblico.


5. Il principio confermato: il titolo “rafforzato” non è intoccabile

Il Collegio, richiamando precedenti analoghi (TAR Emilia-Romagna, n. 609/2025 e n. 263/2025), ha ribadito che il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo non può essere riconosciuto in favore di soggetti condannati per fatti che ledono valori costituzionalmente protetti, come l’integrità fisica e la sicurezza collettiva.

Ha inoltre sottolineato che:

  • Il giudizio di pericolosità sociale è rimesso alla discrezionalità dell’Amministrazione;

  • La presenza di un precedente penale grave può giustificare la revoca del permesso UE anche se ciò non impedisce il rilascio di un permesso ordinario;

  • L’Amministrazione ha adempiuto all’obbligo di motivazione e valutazione individuale, escludendo ogni automatismo.


6. Conclusioni

La sentenza n. 681/2025 del TAR Emilia-Romagna offre un’ulteriore conferma del principio secondo cui il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo non è un diritto assoluto, ma è subordinato a un’attenta verifica della condotta dello straniero e dell’assenza di motivi ostativi rilevanti, anche alla luce della sicurezza pubblica.

Il provvedimento impugnato, pur determinando la perdita di uno status più favorevole, non ha privato il ricorrente della possibilità di restare regolarmente in Italia, a condizione di mantenere una condotta conforme alla legge e ai principi della convivenza civile. Si conferma così un modello progressivo e reversibile di integrazione, in cui il mantenimento dello status più stabile resta connesso anche alla responsabilità personale dello straniero.


Avv. Fabio Loscerbo