Consiglio di Stato, Sez. III, sent. n. 6114/2025, pubblicata l’11 luglio 2025 – R.G. n. 5748/2021
Con la sentenza n. 6114/2025, il Consiglio di Stato, Sezione Terza, ha respinto il ricorso proposto da un cittadino straniero avverso la sentenza del TAR Toscana n. 1692/2020, confermando la legittimità della revoca del permesso di soggiorno disposta dalla Questura di Grosseto a seguito dell’accertata falsità della documentazione reddituale prodotta a sostegno dell’istanza di rinnovo.
1. I fatti oggetto di giudizio
Il procedimento trae origine dal rigetto dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno motivato dalla presentazione di certificazioni reddituali risultate false all’esito di verifiche presso l’Agenzia delle Entrate e l’INPS. In particolare, i dati dichiarati nei CUD prodotti non trovavano riscontro né nei sistemi dell’Agenzia, né nei versamenti contributivi registrati presso l’ente previdenziale. A ciò si aggiungeva la completa assenza di evidenze circa l’effettività dei rapporti di lavoro dichiarati, sia in termini temporali (discordanza delle date nei modelli UNILAV), sia per la mancata attivazione di iniziative ispettive o giudiziarie da parte del ricorrente.
Il TAR, con la sentenza impugnata, ha ritenuto legittimo il diniego fondato su documentazione sospettata di falsità, osservando che il richiedente non aveva prodotto prove idonee né a dimostrare la veridicità dei rapporti di lavoro, né a chiarire la propria situazione reddituale.
2. Le doglianze dell’appellante
In sede di appello, il ricorrente ha dedotto:
la pretesa sottovalutazione da parte del TAR delle lettere inviate all’Ispettorato del Lavoro (con ricevute di raccomandata allegate);
la presunta violazione del principio di non colpevolezza, in quanto la valutazione del TAR si sarebbe fondata su un giudizio anticipato di responsabilità penale;
la violazione dell’art. 5, comma 5, del T.U. Immigrazione, secondo cui non può essere negato il permesso per mere irregolarità contributive sanabili;
l’omessa considerazione della documentazione sopravvenuta attestante la presenza in Italia e la condizione lavorativa.
3. Le valutazioni del Consiglio di Stato
La Sezione ha respinto integralmente l’appello, ritenendo infondate tutte le censure sollevate. In particolare:
Sulle lettere inviate all’Ispettorato: anche a voler ammettere l’effettiva trasmissione, la loro tardiva presentazione – a distanza di quattro anni dalla prima notifica del rigetto – le priva di efficacia dimostrativa, come già rilevato dal TAR.
Sulla presunta anticipazione del giudizio penale: il Collegio chiarisce che il TAR non ha formulato alcuna valutazione di colpevolezza, ma ha correttamente apprezzato l’idoneità degli elementi istruttori acquisiti dall’Amministrazione ai fini dell’adozione del provvedimento. Il principio di autonomia tra giudizio penale e procedimento amministrativo consente infatti all’Amministrazione di fondare i propri atti su fatti anche astrattamente rilevanti in sede penale, purché adeguatamente istruiti.
Sull’art. 5, comma 5, T.U.I.: il Collegio evidenzia che nella specie non si è in presenza di una mera irregolarità contributiva, ma di un quadro indiziario grave e convergente circa la fittizietà dei rapporti di lavoro dichiarati. I versamenti previdenziali mancanti, le assenze nei database ufficiali e le incoerenze temporali nei documenti costituiscono elementi univoci in tal senso, non controbilanciati da alcuna iniziativa concreta da parte del richiedente.
Sulle certificazioni sopravvenute: la produzione di ulteriori CU non incide sulla legittimità del provvedimento impugnato, adottato su presupposti oggettivi e autonomi. Inoltre, tali certificazioni, prive di supporti contributivi o fiscali certi, non sono state ritenute idonee a dimostrare la capacità reddituale del ricorrente.
Infine, la sentenza penale prodotta in corso di causa – che ha dichiarato la prescrizione dei reati – è stata ritenuta irrilevante, in quanto priva di un accertamento sostanziale dei fatti contestati. Il giudizio amministrativo, in quanto autonomo, resta vincolato solo al riscontro di un’istruttoria sufficiente e di una motivazione coerente.
4. Conclusione
La decisione del Consiglio di Stato si pone in linea con un consolidato orientamento giurisprudenziale che riconosce all’Amministrazione un ampio margine di apprezzamento nella valutazione delle condizioni per il rilascio e il rinnovo del titolo di soggiorno, specie in presenza di falsità documentale. È ribadito il principio secondo cui la presentazione di documenti falsi comporta ex se l’inidoneità a comprovare i requisiti reddituali, giustificando il rigetto dell’istanza.
La sentenza riafferma inoltre che l’eventuale successiva prescrizione del reato penale non incide sulla legittimità del provvedimento amministrativo, né può sanare ex post la mancanza originaria dei presupposti per il rinnovo del permesso.
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Avv. Fabio Loscerbo
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