Consiglio di Stato, Sez. III – Sentenza n. 6116/2025, R.G. n. 7194/2023 – pubblicata l’11 luglio 2025
Con la sentenza n. 6116 del 2025, il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso presentato avverso la decisione del TAR Lazio che aveva confermato il diniego della cittadinanza italiana fondato su una denuncia risalente al 1997 e su una condanna penale del coniuge, successivamente dichiarata estinta. La pronuncia riafferma i limiti della discrezionalità amministrativa e valorizza l’integrazione effettiva dello straniero nella società italiana.
1. Il diniego impugnato: presupposti e motivazioni
L’Amministrazione aveva respinto l’istanza di cittadinanza per residenza decennale, presentata nel 2015, richiamando:
una denuncia per furto del 1997, archiviata per prescrizione e riguardante beni di modesto valore;
una sentenza di condanna del coniuge per furto, resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali.
Il TAR Lazio aveva respinto il ricorso, ritenendo che tali elementi fossero ostativi all’accoglimento dell’istanza e che potessero legittimare, anche isolatamente, il provvedimento negativo.
2. Il giudizio del Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato ha ribaltato la decisione, accogliendo entrambi i motivi di appello.
a) La denuncia archiviata: irrilevanza e violazione del principio di proporzionalità
Il Collegio ha rilevato che la denuncia del 1997, estinta per prescrizione e concernente il furto di beni per un valore di circa 300.000 lire, non poteva essere considerata elemento ostativo in assenza di una condanna definitiva e a distanza di ben 18 anni dalla domanda di cittadinanza. Inoltre, contrariamente a quanto affermato nel diniego, non risultava alcuna contestazione per reati contro la persona.
È stato sottolineato come il TAR abbia errato nel ritenere tale denuncia inserita nel periodo di osservazione decennale, essendo i fatti anteriori di oltre 18 anni.
b) I reati del coniuge: valutazione errata e mancanza di collegamento familiare
Quanto alla condanna del coniuge, il Consiglio ha ribadito che la valutazione discrezionale dell’Amministrazione può estendersi anche ai comportamenti dei familiari, ma solo in presenza di indizi di “collaborazione familiare” nei reati o di uno stile di vita deviato condiviso. Nessuno di questi elementi era stato accertato nel caso in esame.
Inoltre, i reati risultavano già estinti ai sensi dell’art. 445, comma 2, c.p.p. (estensione degli effetti estintivi dell’applicazione della pena su richiesta delle parti), come da decreto del giudice dell’esecuzione depositato in atti, senza che l’Amministrazione avesse contestato tale circostanza.
3. La funzione del riesame: valutazione individuale dell’integrazione
In forza dell’annullamento, l’Amministrazione sarà tenuta a riesaminare la posizione della richiedente, tenendo conto della reale integrazione sociale e adesione ai valori dell’ordinamento, come precisato dalla giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. III, sent. n. 3895/2025). La discrezionalità non può trasformarsi in arbitrio o automatismo fondato su meri precedenti, tanto più se non attuali o riferibili a terzi.
4. Conclusioni
La sentenza rappresenta un importante chiarimento sul corretto bilanciamento tra sicurezza pubblica e diritto alla cittadinanza: eventi remoti, prescritti o riferiti a familiari non possono costituire ostacolo automatico alla naturalizzazione, in assenza di una concreta incidenza sull’integrazione personale del richiedente.
La decisione valorizza una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 9 della legge n. 91/1992, rafforzando il principio di personalità della responsabilità penale e quello di ragionevolezza nell’esercizio del potere discrezionale.
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Avv. Fabio Loscerbo
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