domenica 17 agosto 2025

Cittadinanza iure sanguinis: cosa cambia dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 142/2025

 

Cittadinanza iure sanguinis: cosa cambia dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 142/2025

1. Il caso

Con la sentenza n. 142 del 31 luglio 2025, la Corte costituzionale si è pronunciata su una serie di questioni di legittimità costituzionale relative all’art. 1, comma 1, lett. a), della legge n. 91/1992.
La disposizione attribuisce la cittadinanza per nascita al figlio di padre o madre cittadini, senza porre limiti di generazione né ulteriori criteri di collegamento con l’Italia.

Diversi Tribunali (Bologna, Roma, Milano e Firenze) avevano rimesso alla Consulta giudizi avviati da discendenti di italiani nati e residenti all’estero, già titolari di altra cittadinanza. La critica principale era che l’attuale disciplina non garantirebbe l’effettività del legame con l’ordinamento italiano.

2. La decisione

La Consulta ha dichiarato inammissibili la maggior parte delle questioni sollevate e non fondate le restanti.

  • Inammissibilità: la Corte ha chiarito che spetta al legislatore stabilire i criteri per l’acquisizione dello status civitatis. Un intervento manipolativo avrebbe implicato scelte discrezionali ampie e non compatibili con la funzione del giudice delle leggi.

  • Non fondatezza: la presunta disparità di trattamento rispetto ad altri meccanismi di cittadinanza non è stata accolta, mancando una “sostanziale identità di situazioni”.

  • Nuova disciplina: la Corte non ha esteso il proprio giudizio alla riforma introdotta dal d.l. 36/2025, conv. in l. 74/2025, che limita l’automatismo iure sanguinis. Tale legge, infatti, non era applicabile ai giudizi pendenti.

3. Gli effetti pratici

Per chi opera nella materia, la sentenza comporta alcune conseguenze immediate:

  • I procedimenti in corso fondati sull’art. 1 l. 91/1992 continuano a svolgersi senza limiti generazionali: la Consulta non ha introdotto correttivi né “tagliato” l’automatismo.

  • Le nuove domande presentate dopo l’entrata in vigore della l. 74/2025 dovranno invece essere valutate alla luce dei nuovi requisiti (ad esempio limiti di generazione e prova di legame effettivo con l’Italia).

  • Le impugnazioni contro dinieghi di cittadinanza dovranno distinguere tra vecchio e nuovo regime, verificando se la domanda sia stata avviata prima o dopo la riforma.

4. Il nuovo scenario normativo

Il vero punto di svolta è rappresentato dalla legge 74/2025, che ha introdotto vincoli all’acquisizione della cittadinanza iure sanguinis.
La Corte costituzionale, con questa pronuncia, ha di fatto lasciato intatto l’impianto del 1992, ma il contenzioso futuro verterà sull’interpretazione e sulla compatibilità costituzionale della riforma del 2025.

5. Consigli operativi

  • Nei giudizi già pendenti, è opportuno ribadire l’applicazione del regime del 1992, sottolineando la non retroattività della legge 74/2025.

  • Nelle nuove pratiche, occorre verificare attentamente i nuovi requisiti di legge e predisporre documentazione idonea a dimostrare il legame effettivo con l’Italia.

  • In prospettiva, bisognerà monitorare i ricorsi che inevitabilmente arriveranno alla Consulta sulla riforma del 2025, perché saranno quelli a definire i nuovi confini applicativi della materia.

6. Conclusioni

La sentenza n. 142/2025 non ha innovato l’ordinamento, ma ha tracciato una linea chiara: l’ampliamento o la restrizione della cittadinanza per discendenza è materia riservata al legislatore.
Per avvocati e operatori, il messaggio è netto: oggi la questione centrale non è più se la cittadinanza iure sanguinis debba avere limiti, ma quali limiti introdotti dalla legge 74/2025 resisteranno al vaglio di costituzionalità.


✍️ Avv. Fabio Loscerbo

mercoledì 13 agosto 2025

L’Avv. Fabio Loscerbo organizza un evento formativo accreditato dal COA su accesso agli atti e diritto degli stranieri

 

L’Avv. Fabio Loscerbo organizza un evento formativo accreditato dal COA su accesso agli atti e diritto degli stranieri

A cura della redazione

Bologna ha ospitato, venerdì 18 luglio 2025, un appuntamento che ha unito rigore giuridico e utilità pratica. Nella Sala consiliare del Quartiere Reno “Rosario Angelo Livatino”, l’Avv. Fabio Loscerbo ha tenuto un seminario dedicato alla Commissione per l’Accesso ai Documenti Amministrativi nel diritto dell’immigrazione. L’iniziativa, gratuita e accreditata dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bologna con due crediti formativi, ha richiamato professionisti e operatori interessati a rimettere al centro la trasparenza procedimentale come strumento di tutela effettiva.

Il tema non poteva essere più attuale. In materia di permessi di soggiorno, visti, audizioni dinanzi alle Commissioni Territoriali e provvedimenti delle Questure, l’accesso agli atti non è un dettaglio formale ma la condizione per verificare la legittimità dell’azione amministrativa e predisporre difese informate. Loscerbo ha scelto un’impostazione concreta: partire dal perno della legge 241 del 1990, con i suoi articoli sull’accesso documentale, e intrecciarlo con il d.lgs. 33 del 2013, che ha introdotto l’accesso civico generalizzato, il cosiddetto FOIA. La distinzione fra i due istituti è stata analizzata non come questione da manuale, ma come scelta strategica da compiere caso per caso a seconda del bisogno difensivo: documenti del fascicolo quando serve la “carta” del procedimento; dati e informazioni diffuse quando occorre illuminare contesti amministrativi opachi.

Il confronto con la prassi quotidiana degli uffici è stato altrettanto franco. Si è ragionato sui termini di legge e sul meccanismo del silenzio-rigetto, sugli oneri di interlocuzione con i controinteressati e sui canali più efficaci per presentare le istanze, valorizzando ciò che la tradizione della 241/1990 chiede da sempre: forme semplici, motivazioni chiare, potere pubblico responsabile. Da qui l’attenzione al ruolo della Commissione per l’Accesso, chiamata a offrire pareri che, pur non vincolanti, hanno un peso reale nell’orientare le amministrazioni e nel costituire un punto di riferimento nel successivo giudizio amministrativo, anche nel rito speciale di cui all’articolo 116 del codice del processo amministrativo.

Non è mancato il necessario bilanciamento con la protezione dei dati personali. In un’epoca in cui la digitalizzazione moltiplica velocità e quantità di informazioni, il parametro del GDPR — e in particolare l’articolo 86 sul trattamento per finalità di trasparenza — impone di distinguere tra ciò che deve essere ostensibile e ciò che va oscurato. Loscerbo ha illustrato, con taglio operativo, come la tutela di ordine e sicurezza pubblica non possa trasformarsi in un alibi per negare l’accesso, e come le tecniche di oscuramento selettivo o di estrazione parziale permettano spesso di coniugare diritto alla conoscenza e riservatezza.

Il messaggio di fondo è semplice e, al tempo stesso, esigente: un’istanza di accesso impostata bene risparmia tempo, riduce le asimmetrie informative e, in molti casi, evita il contenzioso inutile. Per riuscirci serve metodo. Occorre scegliere lo strumento giusto, documentale o FOIA, costruire un quadro cronologico coerente, ancorare la richiesta a basi normative solide e conservare con cura le prove dell’invio e della ricezione. È un modo di lavorare che parla il linguaggio della tradizione amministrativa italiana ma guarda avanti, perché la trasparenza non è un feticcio ideologico: è un dovere giuridico che, se praticato bene, migliora la qualità delle decisioni e restituisce prevedibilità alle relazioni tra cittadini stranieri e pubbliche amministrazioni.

L’accreditamento da parte del COA di Bologna ha dato all’incontro la cornice istituzionale adeguata. La collaborazione con gli uffici dell’Ordine e con il Quartiere Reno ha permesso una gestione puntuale degli aspetti organizzativi, confermando che la formazione forense può essere, al tempo stesso, sobria e incisiva. La scelta della sala intitolata a Rosario Angelo Livatino ha aggiunto un valore simbolico non secondario: la legalità non è retorica, è prassi quotidiana, e si coltiva anche attraverso momenti come questo.

Dalla redazione, il giudizio è netto: l’evento ha fatto scuola perché ha tenuto insieme la lettera delle norme e le esigenze reali degli operatori. Non si è limitato a enunciare principi, ma ha proposto una via d’uso, tradizionale nel rigore e moderna negli strumenti. È anche per questo che l’organizzazione annuncia la prosecuzione di un percorso di “formazione in pillole” dedicato ai punti di contatto tra trasparenza e diritto degli stranieri, dal rapporto con le rappresentanze consolari alla gestione del preavviso di rigetto di cui all’articolo 10-bis della legge 241/1990. Materiali di lavoro, schemi e tracce operative accompagneranno i prossimi appuntamenti, con l’ambizione — tutt’altro che modesta — di rendere l’accesso agli atti una competenza quotidiana, non un’eccezione.


Redazione













Decreto flussi 2026-2028: semplificazioni in arrivo Addio (o quasi) al “labour market test”, tempi più rapidi per il nulla osta, codice fiscale al visto. Quote triennali: 497.550 ingressi

 

Decreto flussi 2026-2028: semplificazioni in arrivo

Addio (o quasi) al “labour market test”, tempi più rapidi per il nulla osta, codice fiscale al visto. Quote triennali: 497.550 ingressi

1) Contesto e percorso di adozione

Dal testo pubblicato su ItaliaOggi del 6 agosto 2025 emerge il parere della Conferenza Unificata (Regioni e Province autonome) sullo schema di DPCM che programma i flussi 2026-2028. Il parere è favorevole, con voto contrario di Toscana ed Emilia-Romagna. Segue ora il passaggio alle Commissioni parlamentari (parere entro 30 giorni) e il via libera definitivo della Presidenza del Consiglio. È prevista la pre-compilazione delle domande di nulla osta a partire da ottobre 2025, così da attivare subito il nuovo ciclo.

2) La novità chiave: semplificare (fino a eliminare) la verifica preventiva di indisponibilità

La procedura vigente impone al datore di lavoro, prima della domanda di nulla osta, di chiedere al Centro per l’Impiego la verifica dell’indisponibilità di lavoratori già presenti in Italia. La verifica si considera conclusa con esito negativo se entro 8 giorni non arriva riscontro dal CPI; il nulla osta, poi, è rilasciato dopo 20 giorni dall’istanza (in caso di controlli positivi).
Le Regioni chiedono di rivalutare o eliminare questo passaggio, definito nella prassi un mero adempimento formale, costoso per imprese e CPI e spesso non aderente alla realtà dei fabbisogni (mansioni specifiche, aree a carenza di offerta, sistemi regionali già attivi di incrocio domanda-offerta). In sostanza, si punta a un modello più aderente al mercato e meno cartolare.

3) Altre semplificazioni proposte

  • Tempi del nulla osta: giudicati troppo lunghi; si chiede un’anticipazione dei termini, “sul modello” di corsie già sperimentate per alcuni Paesi (Pakistan, Bangladesh, Sri-Lanka, Marocco).

  • Codice fiscale al visto: rilascio del CF in Ambasciata/Consolato contestualmente al visto, per consentire subito contratto, assunzione e adempimenti contributivi/fiscali.

  • Contratto/lettera di assunzione: snellimento della sottoscrizione (oggi spesso subordinata a firma digitale), per accelerare l’avvio del rapporto.

  • Conto corrente: semplificare l’iscrizione anagrafica bancaria per l’apertura del conto ai neo-ingressi, così da garantire la tracciabilità delle retribuzioni ed evitare i “mesi di vuoto” in cui molte aziende faticano a pagare stipendi per assenza di IBAN.

4) Le quote 2026-2028 (per tipologia)

Tipologia202620272028
Lavoro subordinato non stagionale62.60062.20062.000
Lavoro subordinato stagionale88.00089.00090.000
Assistenza familiare (colf e badanti)13.60014.00014.200
Lavoro autonomo650650650
Totale annuo164.850165.850166.850

Totale triennio: 497.550 ingressi. Si nota la crescita graduale della componente stagionale e dell’assistenza familiare, con tenuta del non stagionale e una quota simbolica per l’autonomo.

5) Impatti operativi (imprese e consulenti)

  • Pianificazione: la pre-compilazione da ottobre 2025 consente di programmare le assunzioni 2026 sfruttando le nuove quote; conviene predisporre per tempo profili professionali, fabbisogni e documentazione.

  • Tempi di ingresso: l’anticipazione dei termini del nulla osta, se recepita, ridurrà il time-to-hire.

  • Onboarding: con CF al visto e conto semplificato, l’avvio contrattuale e paghe sarà più rapido, con minori rischi di non conformità (retribuzione in contanti, ritardi INPS/INAIL).

  • Compliance: lo snellimento del “labour market test” ridurrà il contenzioso su adempimenti formali, spostando l’attenzione su tracciabilità e correttezza del rapporto.

6) Profili critici e tenuta giuridica

  • Tutela del lavoratore interno: la compressione della verifica al CPI impone contromisure sostanziali (monitoraggi regionali dei fabbisogni, banche dati real time, incentivi all’inserimento di disoccupati residenti).

  • Coordinamento inter-amministrativo: rilascio del CF all’estero richiede integrazione stabile tra MAECI, Ministero dell’Interno, Agenzia delle Entrate e sistemi informativi (Prefetture/Questure/INPS).

  • Bancabilità: l’apertura del conto a neoinseriti extra-UE va conciliata con antiriciclaggio e adeguata verifica; serviranno linee guida chiare alle banche.

  • Quote e stagionalità: l’aumento del canale stagionale va affiancato da strumenti di tutela anti-caporalato e di alloggio adeguato, per evitare derive.

7) Che cosa cambia “davvero”

Se il Governo recepirà integralmente il parere:

  • la procedura d’ingresso diventerà più snella e prevedibile;

  • l’onere documentale si sposterà dal “pezzo di carta” (CPI) al controllo sostanziale su contratto, retribuzione, alloggio e sicurezza;

  • l’integrazione amministrativa (CF al visto + conto + firma semplificata) ridurrà i tempi morti post-ingresso e i rischi di lavoro irregolare “di attesa”.

8) Conclusioni (realismo e prospettiva)

Il triennio 2026-2028, con quasi mezzo milione di ingressi programmati, segna un passaggio dal formalismo alla governance per processi: meno burocrazia inutile, più controlli veri sul rapporto di lavoro e sulla tracciabilità delle retribuzioni. La scommessa è duplice: competitività per le imprese e tutele effettive per i lavoratori. Sarà decisivo, però, che il DPCM traduca le indicazioni della Conferenza in norme chiare, tempi certi e piattaforme interoperabili. Altrimenti, le “semplificazioni” rischiano di restare sulla carta.


Avv. Fabio Loscerbo

Accesso alla protezione internazionale e divieto di discriminazione organizzativa – Nota a Sentenza Tribunale Ordinario di Torino, Nona Sezione Civile, 4 agosto 2025, R.G. 9257/2025

 Accesso alla protezione internazionale e divieto di discriminazione organizzativa – Nota a Sentenza Tribunale Ordinario di Torino, Nona Sezione Civile, 4 agosto 2025, R.G. 9257/2025

1) Premessa
La sentenza in commento decide un ricorso cumulativo avente ad oggetto: (a) l’accertamento del diritto a formalizzare la domanda di protezione internazionale presso la Questura territorialmente competente; (b) l’accertamento del carattere discriminatorio del modello organizzativo adottato dall’Ufficio Immigrazione della Questura di Torino. Dopo una prima tutela cautelare che ha imposto la ricezione/formalizzazione delle istanze, il giudice, in sede di merito, ha dichiarato cessata la materia del contendere sul capo relativo alla formalizzazione ed ha accolto la domanda antidiscriminatoria, impartendo ordini conformativi.

2) Oggetto del giudizio e domande
Le domande principali hanno riguardato: i) l’accertamento del diritto a presentare domanda di protezione internazionale ex art. 26 d.lgs. 25/2008 presso la Questura competente per “dimora”; ii) l’accertamento della natura discriminatoria delle prassi di accesso all’Ufficio Immigrazione, con richiesta di misure di rimozione e pubblicazione ai sensi dell’art. 28 d.lgs. 150/2011.

3) Quadro normativo
Art. 26 d.lgs. 25/2008: domanda alla Questura competente per il luogo di “dimora”, nozione interpretata in chiave funzionale e non formalistica, coerente con l’art. 6 della direttiva 2013/32/UE in tema di accesso effettivo alla procedura.
Tutela antidiscriminatoria: art. 43 d.lgs. 286/1998 e art. 28 d.lgs. 150/2011, che consentono al giudice ordinario di ordinare la cessazione del comportamento discriminatorio, adottare provvedimenti idonei a rimuoverne gli effetti e imporre piani organizzativi di prevenzione.

4) Sequenza processuale
Il ricorso è stato depositato a maggio 2025; sono state raccolte dichiarazioni ai sensi dell’art. 669-sexies c.p.c.; con provvedimento cautelare di fine giugno 2025 è stato ordinato alla Questura di ricevere/formalizzare le istanze entro un termine breve. Fissata l’udienza di merito a metà luglio 2025, la causa è stata trattenuta in decisione e definita con sentenza pubblicata il 4 agosto 2025.

5) “Dimora” e competenza della Questura
Il Tribunale ha ritenuto provata, per ciascun ricorrente, la “dimora” nel territorio torinese anche in senso temporaneo o transitorio. Ne discende l’infondatezza della tesi che pretendeva la dimostrazione di residenza o dimora “abituale” per radicare la competenza della Questura. L’interpretazione accolta evita che oneri probatori eccessivi rendano di fatto impossibile o eccessivamente difficile l’accesso alla procedura, in violazione del principio di effettività del diritto dell’Unione.

6) Il profilo discriminatorio del modello organizzativo
Il giudice ha valorizzato elementi oggettivi della prassi: accesso contingentato tramite code fisiche, assenza di canali di prenotazione equivalenti a quelli disponibili per altre utenze della P.A., criteri di selezione non trasparenti e, in talune giornate, filtraggio per nazionalità. Tali modalità producono un trattamento meno favorevole, direttamente riconducibile al fattore “nazionalità”, in punto di accesso ad un servizio pubblico che condiziona l’esercizio di diritti fondamentali (soggiorno regolare durante la procedura, lavoro dopo i termini di legge, iscrizione anagrafica, assistenza sanitaria).

7) Onere della prova e standard probatorio
In applicazione dell’art. 28, comma 4, d.lgs. 150/2011, forniti dagli attori elementi idonei a presumere la discriminazione, incombeva all’Amministrazione l’onere di provarne l’inesistenza. L’assenza di una prova contraria efficace sulle prassi contestate ha consolidato il quadro presuntivo, conducendo alla declaratoria di discriminazione diretta, anche di carattere collettivo.

8) Il rimedio strutturale imposto
La sentenza non si limita a vietare la prassi illecita: impone l’adozione, entro quattro mesi, di un modello organizzativo informatizzato di gestione degli accessi e delle prenotazioni, con mediazione di soggetti del terzo settore e distinzione tra richiedenti con/senza documenti, ritenuto idoneo in via prognostica a prevenire la reiterazione della discriminazione e a garantire parità sostanziale nell’accesso al servizio.

9) Dispositivo
– Accertata la discriminazione diretta (anche collettiva) posta in essere dall’organizzazione degli accessi all’Ufficio Immigrazione.
– Ordine di adottare un modello organizzativo informatizzato entro quattro mesi.
– Ordine di pubblicazione del provvedimento sui canali istituzionali e su un quotidiano a tiratura nazionale, con funzione informativa e deterrente.
– Spese a carico dell’Amministrazione; cessata materia del contendere sulla pretesa alla formalizzazione già soddisfatta in corso di causa; estinzione per rinuncia limitatamente a un ricorrente.

10) Osservazioni conclusive
La decisione presenta un duplice rilievo sistemico.
(i) Accesso effettivo alla procedura: la lettura funzionale della “dimora” evita che prassi organizzative trasformino requisiti di mera razionalizzazione in barriere all’ingresso, in contrasto con l’art. 6 della direttiva 2013/32/UE.
(ii) Rimedi organizzativi: l’utilizzo di ordini conformativi e di pubblicazione, tipici del contenzioso antidiscriminatorio, consente di incidere sulla causa strutturale della violazione, superando la tutela meramente inibitoria e orientando l’azione amministrativa a risultati verificabili.


Avv. Fabio Loscerbo

Effetto sospensivo automatico in assenza di corretta procedura accelerata – Nota a Tribunale di Bologna, Sez. Immigrazione, decreto 30 luglio 2025, R.G. 10617/2025

 Effetto sospensivo automatico in assenza di corretta procedura accelerata – Nota a Tribunale di Bologna, Sez. Immigrazione, decreto 30 luglio 2025, R.G. 10617/2025

1. Premessa
Il decreto in esame, emesso dalla Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea del Tribunale di Bologna, affronta la questione dell’effetto sospensivo automatico del ricorso contro un provvedimento di rigetto per manifesta infondatezza della domanda di protezione internazionale.
Il caso trae origine dal diniego emesso dalla Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale, motivato dalla presunta manifesta infondatezza della domanda, nonostante fosse stato adottato un iter procedurale di tipo ordinario e non accelerato.

2. Il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento
La decisione si fonda sull’art. 35-bis del D.Lgs. 25/2008, come modificato da ultimo dal D.L. 145/2024, conv. in L. 187/2024, e sui principi espressi dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 11399 del 29 aprile 2024.
In tale arresto, reso a seguito di rinvio pregiudiziale ex art. 363-bis c.p.c. proveniente dalla stessa sezione bolognese, la Suprema Corte ha stabilito che la deroga al principio di sospensione automatica del provvedimento impugnato – nei casi di manifesta infondatezza per provenienza da Paese sicuro – opera solo se la Commissione territoriale abbia effettivamente seguito una procedura accelerata conforme alle previsioni di legge. In caso contrario, si determina il ripristino della procedura ordinaria, con conseguente applicazione della sospensione automatica.

3. Applicazione estensiva ai casi di manifesta infondatezza non legati ai Paesi sicuri
Il Tribunale ha ritenuto che il principio enunciato dalle Sezioni Unite si applichi non solo alle ipotesi di manifesta infondatezza per provenienza da Paese sicuro, ma anche alle altre tipologie di manifesta infondatezza e, persino, ai casi di inammissibilità della domanda. Tale estensione trova giustificazione nella ratio della pronuncia della Cassazione e nell’esigenza di coerenza sistematica tra le diverse fattispecie.

4. La procedura seguita nel caso concreto
Dall’esame degli atti è emerso che la Commissione territoriale aveva dichiarato di non essere riuscita a rispettare i termini legali della procedura accelerata “a causa del grande afflusso di istanze”, procedendo quindi secondo il modello ordinario. Nonostante ciò, aveva rigettato l’istanza per manifesta infondatezza, richiamando una circolare della Commissione nazionale per il diritto di asilo.
Il Tribunale ha rilevato che l’adozione della procedura ordinaria comporta:

  • applicazione del termine ordinario di 30 giorni per la proposizione del ricorso;

  • automatica sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato, a prescindere dalle avvertenze contenute nel dispositivo della decisione amministrativa.

5. La decisione
Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale ha dichiarato automaticamente sospeso l’effetto esecutivo del provvedimento impugnato e ha disposto l’obbligo per la Questura di rilasciare al ricorrente un permesso di soggiorno per richiesta asilo, valido sino alla definizione del giudizio.

6. Considerazioni conclusive
La pronuncia in commento ribadisce un principio di rilevanza pratica significativa per la difesa dei richiedenti protezione internazionale: l’effetto sospensivo automatico non può essere negato quando la Commissione territoriale non rispetta le condizioni procedurali che giustificano l’adozione della procedura accelerata.
Si tratta di un’interpretazione che tutela in maniera sostanziale il diritto di difesa e la permanenza legale sul territorio nazionale del richiedente, ponendo un freno a prassi amministrative che tendono ad assimilare impropriamente fattispecie diverse.


Avv. Fabio Loscerbo

Protezione speciale e integrazione socio-lavorativa: nota a Tribunale di Catania, Sezione Immigrazione, decreto 10 luglio 2025, R.G. 9595/2023

 Protezione speciale e integrazione socio-lavorativa: nota a Tribunale di Catania, Sezione Immigrazione, decreto 10 luglio 2025, R.G. 9595/2023

1. Premessa
Il decreto in commento, emesso dalla Sezione Immigrazione del Tribunale di Catania, affronta una vicenda complessa in cui il ricorrente aveva impugnato il provvedimento della Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale che aveva dichiarato inammissibile una domanda reiterata di protezione internazionale.
La decisione si caratterizza per un duplice profilo: da un lato, la conferma della valutazione negativa in ordine allo status di rifugiato e alla protezione sussidiaria; dall’altro, il riconoscimento della protezione speciale ai sensi dell’art. 19, comma 1.1, del D.Lgs. 286/1998, in ragione del radicamento socio-lavorativo e familiare del richiedente in Italia.

2. Inammissibilità della domanda reiterata
Il Tribunale rileva come la Commissione Territoriale avesse legittimamente dichiarato inammissibile la domanda reiterata, non essendo stati introdotti nuovi elementi di fatto o di diritto idonei a mutare la valutazione già operata in sede di prima istanza, ai sensi dell’art. 29, comma 1, lett. b), D.Lgs. 25/2008.
Il ricorrente, infatti, si era limitato a prospettare generiche problematiche personali, senza fornire specifiche allegazioni su rischi individuali di persecuzione (art. 7 D.Lgs. 251/2007) o di danno grave (art. 14, lett. a e b, D.Lgs. 251/2007).
Sotto il profilo dell’art. 14, lett. c, il Tribunale ha escluso la sussistenza in Marocco di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato, sulla base di un’ampia ricognizione delle fonti internazionali.

3. L’esame della protezione speciale
Pur confermando l’assenza dei presupposti per la protezione internazionale, il Collegio ha ritenuto necessario verificare la sussistenza delle condizioni per la protezione speciale, in applicazione del principio – ribadito da Cass. 8819/2020 – secondo cui il giudice deve valutare d’ufficio tutte le forme di tutela previste dall’ordinamento, indipendentemente dal nomen iuris indicato dalla parte.
Richiamando il testo dell’art. 19, comma 1.1, TUI, come modificato dal D.L. 130/2020, il Tribunale ha ritenuto che il rimpatrio del ricorrente avrebbe comportato una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare, protetto dall’art. 8 CEDU, in considerazione del radicamento sociale e lavorativo in Italia.

4. Gli elementi di integrazione
L’integrazione è stata desunta da molteplici elementi documentali:

  • contratto di lavoro subordinato e buste paga relative al 2023 e 2024;

  • attestati di formazione professionale (carrelli industriali semoventi e sicurezza ad alto rischio);

  • matrimonio con connazionale residente in Italia e nascita di un figlio minore nel territorio nazionale.

La giurisprudenza di legittimità (Cass. 7396/2021; Cass. 16369/2022; Cass. 26089/2022) ha riconosciuto che tali fattori sono indicativi di una seria intenzione di integrazione, rilevante ai fini della protezione speciale.

5. La decisione
Il Tribunale ha accolto parzialmente il ricorso, dichiarando il diritto del richiedente al rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale, convertibile in permesso per motivi di lavoro, e disponendo la trasmissione degli atti al Questore. Le spese sono state dichiarate irripetibili.

6. Considerazioni conclusive
Il provvedimento si inserisce nel filone giurisprudenziale che, pur rigettando le domande di protezione internazionale prive di elementi nuovi o circostanziati, riconosce la necessità di garantire la tutela dei legami familiari e dell’integrazione effettiva nel territorio, valorizzando l’art. 19 TUI come strumento di protezione dei diritti fondamentali.
L’approccio adottato dal Tribunale di Catania evidenzia un equilibrio tra il rigore nell’applicazione delle regole sull’inammissibilità delle domande reiterate e l’attenzione alla tutela dei valori costituzionali e convenzionali legati alla vita privata e familiare.


Avv. Fabio Loscerbo

domenica 10 agosto 2025

Cittadinanza e precedenti penali minori: il Consiglio di Stato riafferma il dovere di valutazione concreta dell'integrazioneConsiglio di Stato, Sez. III, sent. n. 6099/2025, pubblicata l’11 luglio 2025 – R.G. n. 6603/2023

Cittadinanza e precedenti penali minori: il Consiglio di Stato riafferma il dovere di valutazione concreta dell'integrazione

Consiglio di Stato, Sez. III, sent. n. 6099/2025, pubblicata l’11 luglio 2025 – R.G. n. 6603/2023

Con la sentenza n. 6099/2025, il Consiglio di Stato ha annullato un diniego di cittadinanza italiana fondato su una condanna per reati di lieve entità, accogliendo l’appello proposto contro la decisione del TAR Lazio (sent. n. 2843/2023). Il Collegio ha ribadito l’obbligo dell’Amministrazione di svolgere una valutazione individualizzata e aggiornata, evitando automatismi tra precedenti penali e rigetto dell’istanza di naturalizzazione.

1. Il caso: un diniego fondato su condanna per reati minori

Il ricorrente, cittadino straniero regolarmente soggiornante in Italia da oltre dieci anni, aveva presentato istanza di cittadinanza ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992. L’Amministrazione l’aveva respinta in ragione di una condanna, divenuta irrevocabile, per lesioni personali, ingiurie e minacce continuate, pronunziata nel 20XX dal Giudice di Pace, con pena pecuniaria pari a 1.000 euro. Successivamente, il richiedente ha ottenuto riabilitazione ex art. 178 c.p. dal Tribunale di Sorveglianza di Venezia.

Il TAR Lazio ha confermato il diniego ritenendo i reati, sebbene formalmente minori, espressione di una condotta lesiva di beni costituzionali e quindi incompatibile con lo status civitatis.

2. I motivi di appello accolti

Il Consiglio di Stato ha accolto l’appello ritenendo fondate le censure per difetto di istruttoria e motivazione. In particolare:

Natura penale dei reati: i fatti contestati (artt. 582, 594 e 612 c.p.) sono rientranti nella competenza del Giudice di Pace e sono sanzionati con pene lievi, come il lavoro di pubblica utilità o la permanenza domiciliare.

Lieve allarme sociale: il Collegio ha ritenuto che si trattasse di episodi isolati e risalenti, privi di rilevante disvalore concreto e non rappresentativi di una condotta antisociale protratta.

Percorso di integrazione: il richiedente ha dimostrato un’attività lavorativa stabile (CU dal 2021 al 2025), assenza di altri precedenti o carichi pendenti, e una situazione familiare regolare (coniugato con cittadina straniera in regola).


3. I principi giuridici affermati

La sentenza si inserisce in una consolidata giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. III, nn. 5471/2023, 6898/2022, 6789/2022; Sez. I, parere n. 612/2023), secondo cui:

> “La valutazione della personalità del richiedente non può fondarsi sull’astratta tipologia del reato, ma deve essere rapportata al caso concreto, alle modalità dei fatti, alla pena inflitta e alla condotta successiva”.



In particolare:

La riabilitazione penale, pur sopravvenuta al diniego, deve essere tenuta in considerazione in sede di riesame;

L’istruttoria amministrativa deve tener conto dell’inserimento sociale, economico e familiare, e non può ridursi a una motivazione stereotipata;

L’interesse pubblico non può essere presunto, ma va motivato in relazione ai valori costituzionali della dignità, dell’integrazione e della non discriminazione.


4. Conseguenze della decisione

Il Consiglio di Stato ha accolto l’appello e, in riforma della sentenza del TAR, ha annullato il provvedimento di diniego della cittadinanza, disponendo il riesame da parte dell’Amministrazione alla luce dei principi espressi.

La compensazione delle spese è stata disposta in considerazione della peculiarità del caso, che ha richiesto un bilanciamento tra sicurezza pubblica e dignità della persona.

5. Nota conclusiva

La pronuncia riafferma il principio per cui la cittadinanza italiana, pur essendo atto discrezionale, non è sottratta ai principi di legalità, proporzionalità e buon andamento dell’azione amministrativa. Il diniego fondato su meri automatismi, senza considerare il contesto personale e l’effettivo percorso di integrazione, si espone a censure per violazione dell’obbligo di motivazione e difetto di istruttoria.


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Avv. Fabio Loscerbo



sabato 9 agosto 2025

Revoca del permesso di soggiorno e valutazione della pericolosità sociale: il Consiglio di Stato valorizza il contesto personale della stranieraConsiglio di Stato, Sez. III, sent. n. 6113/2025, pubblicata l’11 luglio 2025 – R.G. n. 1488/2025

Revoca del permesso di soggiorno e valutazione della pericolosità sociale: il Consiglio di Stato valorizza il contesto personale della straniera

Consiglio di Stato, Sez. III, sent. n. 6113/2025, pubblicata l’11 luglio 2025 – R.G. n. 1488/2025

Con la sentenza n. 6113/2025, il Consiglio di Stato ha accolto l’appello proposto contro la decisione del TAR Emilia-Romagna (n. 861/2024), annullando la revoca del permesso di soggiorno per lavoro motivata da una condanna ex art. 444 c.p.p. per maltrattamenti familiari. Il Collegio ha evidenziato l’omessa valutazione del contesto personale, familiare e sanitario della ricorrente, riconoscendo un vizio sostanziale nel giudizio di pericolosità sociale formulato dall’Amministrazione.

1. Il contesto fattuale e processuale

La vicenda riguarda una cittadina straniera destinataria di un provvedimento di revoca del permesso di soggiorno, fondato su una sentenza di applicazione di pena (1 anno e 10 mesi, con sospensione condizionale), per reati commessi nel 2020: maltrattamenti verso familiari (art. 572 c.p.), lesioni personali (artt. 582, 585, 576 c.p.), minaccia (art. 612 c.p.), violazione di domicilio (art. 614 c.p.), danneggiamento (art. 635 c.p.) e aggravanti ex art. 61 n. 11-quinquies c.p.

La sentenza di primo grado aveva ritenuto legittima la revoca, richiamando la gravità intrinseca del reato di maltrattamenti, in linea con la giurisprudenza consolidata in materia di pericolosità sociale.

2. Le ragioni dell’appello

La difesa ha censurato l’assenza di una valutazione individualizzata della situazione della ricorrente, la quale:

è entrata in Italia nel 2011 per ricongiungimento familiare;

si è separata dal marito a causa di violenze subite;

è affetta da disturbi psichici, in carico al Centro di Salute Mentale di Casalecchio di Reno;

lavora stabilmente con contratto a tempo indeterminato;

ha contratto nuovo matrimonio nel 2024 e ha presentato istanza di ricongiungimento;

è madre di una figlia minore, che frequenta regolarmente attenendosi alle prescrizioni dei Servizi Sociali.


Tali circostanze, a giudizio dell’appellante, avrebbero imposto una rivalutazione della pericolosità sociale ex art. 5, comma 5, del d.lgs. 286/1998, valorizzando la sua effettiva integrazione nel tessuto sociale e lavorativo.

3. La decisione del Consiglio di Stato

La Sezione Terza ha accolto il ricorso, ritenendo fondato il motivo relativo all’omessa attualizzazione della valutazione di pericolosità da parte della Questura. Il Collegio ha affermato che:

> “La sola enfatizzazione del reato commesso, senza considerare il contesto complessivo, è viziata”.



La sentenza sottolinea l’importanza di un’analisi sostanziale e contestualizzata della personalità del soggetto, che tenga conto:

del suo vissuto di vittima di violenza domestica;

del percorso terapeutico in atto;

del radicamento sociale e familiare;

della volontà di integrazione dimostrata anche tramite il nuovo legame coniugale.


La giurisprudenza menzionata dal TAR sul reato di maltrattamenti non può avere valenza automatica in presenza di un quadro clinico e sociale complesso, che impone una valutazione olistica e attuale.

4. Principio affermato

La sentenza ribadisce che la valutazione della pericolosità sociale ai fini del rilascio o del mantenimento del permesso di soggiorno deve essere sempre contestualizzata e attualizzata, tenendo conto:

del decorso temporale dai fatti di reato,

delle misure riabilitative e terapeutiche avviate,

dell’evoluzione del contesto familiare e sociale.


La mera esistenza di una condanna non può automaticamente fondare il diniego o la revoca del permesso di soggiorno, specie laddove sia accertato che il soggetto ha intrapreso un percorso concreto di rieducazione e integrazione.

5. Dispositivo

In accoglimento dell’appello, il Consiglio di Stato ha:

riformato la sentenza del TAR;

accolto il ricorso di primo grado;

annullato il provvedimento impugnato;

compensato le spese del doppio grado, in ragione della peculiarità della fattispecie.


L’Amministrazione dovrà ora rivalutare la posizione della straniera nel rispetto dell’effetto conformativo della sentenza.


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Avv. Fabio Loscerbo


venerdì 8 agosto 2025

Revoca del permesso di soggiorno e falsità documentale: il Consiglio di Stato ribadisce l’autonomia della valutazione amministrativa rispetto all’esito penaleConsiglio di Stato, Sez. III, sent. n. 6114/2025, pubblicata l’11 luglio 2025 – R.G. n. 5748/2021

Revoca del permesso di soggiorno e falsità documentale: il Consiglio di Stato ribadisce l’autonomia della valutazione amministrativa rispetto all’esito penale

Consiglio di Stato, Sez. III, sent. n. 6114/2025, pubblicata l’11 luglio 2025 – R.G. n. 5748/2021

Con la sentenza n. 6114/2025, il Consiglio di Stato, Sezione Terza, ha respinto il ricorso proposto da un cittadino straniero avverso la sentenza del TAR Toscana n. 1692/2020, confermando la legittimità della revoca del permesso di soggiorno disposta dalla Questura di Grosseto a seguito dell’accertata falsità della documentazione reddituale prodotta a sostegno dell’istanza di rinnovo.

1. I fatti oggetto di giudizio

Il procedimento trae origine dal rigetto dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno motivato dalla presentazione di certificazioni reddituali risultate false all’esito di verifiche presso l’Agenzia delle Entrate e l’INPS. In particolare, i dati dichiarati nei CUD prodotti non trovavano riscontro né nei sistemi dell’Agenzia, né nei versamenti contributivi registrati presso l’ente previdenziale. A ciò si aggiungeva la completa assenza di evidenze circa l’effettività dei rapporti di lavoro dichiarati, sia in termini temporali (discordanza delle date nei modelli UNILAV), sia per la mancata attivazione di iniziative ispettive o giudiziarie da parte del ricorrente.

Il TAR, con la sentenza impugnata, ha ritenuto legittimo il diniego fondato su documentazione sospettata di falsità, osservando che il richiedente non aveva prodotto prove idonee né a dimostrare la veridicità dei rapporti di lavoro, né a chiarire la propria situazione reddituale.

2. Le doglianze dell’appellante

In sede di appello, il ricorrente ha dedotto:

la pretesa sottovalutazione da parte del TAR delle lettere inviate all’Ispettorato del Lavoro (con ricevute di raccomandata allegate);

la presunta violazione del principio di non colpevolezza, in quanto la valutazione del TAR si sarebbe fondata su un giudizio anticipato di responsabilità penale;

la violazione dell’art. 5, comma 5, del T.U. Immigrazione, secondo cui non può essere negato il permesso per mere irregolarità contributive sanabili;

l’omessa considerazione della documentazione sopravvenuta attestante la presenza in Italia e la condizione lavorativa.


3. Le valutazioni del Consiglio di Stato

La Sezione ha respinto integralmente l’appello, ritenendo infondate tutte le censure sollevate. In particolare:

Sulle lettere inviate all’Ispettorato: anche a voler ammettere l’effettiva trasmissione, la loro tardiva presentazione – a distanza di quattro anni dalla prima notifica del rigetto – le priva di efficacia dimostrativa, come già rilevato dal TAR.

Sulla presunta anticipazione del giudizio penale: il Collegio chiarisce che il TAR non ha formulato alcuna valutazione di colpevolezza, ma ha correttamente apprezzato l’idoneità degli elementi istruttori acquisiti dall’Amministrazione ai fini dell’adozione del provvedimento. Il principio di autonomia tra giudizio penale e procedimento amministrativo consente infatti all’Amministrazione di fondare i propri atti su fatti anche astrattamente rilevanti in sede penale, purché adeguatamente istruiti.

Sull’art. 5, comma 5, T.U.I.: il Collegio evidenzia che nella specie non si è in presenza di una mera irregolarità contributiva, ma di un quadro indiziario grave e convergente circa la fittizietà dei rapporti di lavoro dichiarati. I versamenti previdenziali mancanti, le assenze nei database ufficiali e le incoerenze temporali nei documenti costituiscono elementi univoci in tal senso, non controbilanciati da alcuna iniziativa concreta da parte del richiedente.

Sulle certificazioni sopravvenute: la produzione di ulteriori CU non incide sulla legittimità del provvedimento impugnato, adottato su presupposti oggettivi e autonomi. Inoltre, tali certificazioni, prive di supporti contributivi o fiscali certi, non sono state ritenute idonee a dimostrare la capacità reddituale del ricorrente.


Infine, la sentenza penale prodotta in corso di causa – che ha dichiarato la prescrizione dei reati – è stata ritenuta irrilevante, in quanto priva di un accertamento sostanziale dei fatti contestati. Il giudizio amministrativo, in quanto autonomo, resta vincolato solo al riscontro di un’istruttoria sufficiente e di una motivazione coerente.

4. Conclusione

La decisione del Consiglio di Stato si pone in linea con un consolidato orientamento giurisprudenziale che riconosce all’Amministrazione un ampio margine di apprezzamento nella valutazione delle condizioni per il rilascio e il rinnovo del titolo di soggiorno, specie in presenza di falsità documentale. È ribadito il principio secondo cui la presentazione di documenti falsi comporta ex se l’inidoneità a comprovare i requisiti reddituali, giustificando il rigetto dell’istanza.

La sentenza riafferma inoltre che l’eventuale successiva prescrizione del reato penale non incide sulla legittimità del provvedimento amministrativo, né può sanare ex post la mancanza originaria dei presupposti per il rinnovo del permesso.


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Avv. Fabio Loscerbo



giovedì 7 agosto 2025

Il Consiglio di Stato annulla il diniego di cittadinanza basato su reati estinti e denuncia prescritta: prevale la tutela dell’integrazioneConsiglio di Stato, Sez. III – Sentenza n. 6116/2025, R.G. n. 7194/2023 – pubblicata l’11 luglio 2025

Il Consiglio di Stato annulla il diniego di cittadinanza basato su reati estinti e denuncia prescritta: prevale la tutela dell’integrazione

Consiglio di Stato, Sez. III – Sentenza n. 6116/2025, R.G. n. 7194/2023 – pubblicata l’11 luglio 2025

Con la sentenza n. 6116 del 2025, il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso presentato avverso la decisione del TAR Lazio che aveva confermato il diniego della cittadinanza italiana fondato su una denuncia risalente al 1997 e su una condanna penale del coniuge, successivamente dichiarata estinta. La pronuncia riafferma i limiti della discrezionalità amministrativa e valorizza l’integrazione effettiva dello straniero nella società italiana.

1. Il diniego impugnato: presupposti e motivazioni

L’Amministrazione aveva respinto l’istanza di cittadinanza per residenza decennale, presentata nel 2015, richiamando:

una denuncia per furto del 1997, archiviata per prescrizione e riguardante beni di modesto valore;

una sentenza di condanna del coniuge per furto, resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali.


Il TAR Lazio aveva respinto il ricorso, ritenendo che tali elementi fossero ostativi all’accoglimento dell’istanza e che potessero legittimare, anche isolatamente, il provvedimento negativo.

2. Il giudizio del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato ha ribaltato la decisione, accogliendo entrambi i motivi di appello.

a) La denuncia archiviata: irrilevanza e violazione del principio di proporzionalità

Il Collegio ha rilevato che la denuncia del 1997, estinta per prescrizione e concernente il furto di beni per un valore di circa 300.000 lire, non poteva essere considerata elemento ostativo in assenza di una condanna definitiva e a distanza di ben 18 anni dalla domanda di cittadinanza. Inoltre, contrariamente a quanto affermato nel diniego, non risultava alcuna contestazione per reati contro la persona.

È stato sottolineato come il TAR abbia errato nel ritenere tale denuncia inserita nel periodo di osservazione decennale, essendo i fatti anteriori di oltre 18 anni.

b) I reati del coniuge: valutazione errata e mancanza di collegamento familiare

Quanto alla condanna del coniuge, il Consiglio ha ribadito che la valutazione discrezionale dell’Amministrazione può estendersi anche ai comportamenti dei familiari, ma solo in presenza di indizi di “collaborazione familiare” nei reati o di uno stile di vita deviato condiviso. Nessuno di questi elementi era stato accertato nel caso in esame.

Inoltre, i reati risultavano già estinti ai sensi dell’art. 445, comma 2, c.p.p. (estensione degli effetti estintivi dell’applicazione della pena su richiesta delle parti), come da decreto del giudice dell’esecuzione depositato in atti, senza che l’Amministrazione avesse contestato tale circostanza.

3. La funzione del riesame: valutazione individuale dell’integrazione

In forza dell’annullamento, l’Amministrazione sarà tenuta a riesaminare la posizione della richiedente, tenendo conto della reale integrazione sociale e adesione ai valori dell’ordinamento, come precisato dalla giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. III, sent. n. 3895/2025). La discrezionalità non può trasformarsi in arbitrio o automatismo fondato su meri precedenti, tanto più se non attuali o riferibili a terzi.

4. Conclusioni

La sentenza rappresenta un importante chiarimento sul corretto bilanciamento tra sicurezza pubblica e diritto alla cittadinanza: eventi remoti, prescritti o riferiti a familiari non possono costituire ostacolo automatico alla naturalizzazione, in assenza di una concreta incidenza sull’integrazione personale del richiedente.

La decisione valorizza una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 9 della legge n. 91/1992, rafforzando il principio di personalità della responsabilità penale e quello di ragionevolezza nell’esercizio del potere discrezionale.


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Avv. Fabio Loscerbo



mercoledì 6 agosto 2025

Conversione del permesso per lavoro stagionale: il TAR Parma condanna il silenzio della Prefettura di PiacenzaTAR Emilia-Romagna, Sezione staccata di Parma – Sentenza n. 255/2025, R.G. n. 79/2025 – pubblicata il 12 giugno 2025

Conversione del permesso per lavoro stagionale: il TAR Parma condanna il silenzio della Prefettura di Piacenza

TAR Emilia-Romagna, Sezione staccata di Parma – Sentenza n. 255/2025, R.G. n. 79/2025 – pubblicata il 12 giugno 2025

Con la sentenza n. 255 del 2025, il TAR Emilia-Romagna (sede di Parma) ha dichiarato la cessazione della materia del contendere in un giudizio promosso per l’accertamento del silenzio-inadempimento della Prefettura di Piacenza su un’istanza di conversione del permesso di soggiorno da lavoro stagionale a lavoro subordinato. Il Collegio ha comunque condannato l’Amministrazione alle spese di giudizio, riconoscendo la fondatezza della pretesa in base al principio della soccombenza virtuale.

1. Il contesto del ricorso

Il ricorrente, cittadino straniero regolarmente entrato in Italia con visto per lavoro stagionale, aveva presentato istanza di conversione in lavoro subordinato in data 21 marzo 2024. In attuazione del procedimento previsto dall’art. 24, comma 10, del TUI, la Prefettura di Piacenza aveva rilasciato il nulla osta alla conversione in data 25 maggio 2024.

Tuttavia, nonostante tale atto endoprocedimentale positivo, l’Amministrazione non aveva convocato le parti per la stipula del contratto di soggiorno né adottato un provvedimento espresso conclusivo. Solo a seguito dell’avvio del giudizio, lo Sportello Unico ha finalmente convocato datore e lavoratore, a ridosso dell’udienza dell’11 giugno 2025.

2. L’obbligo di concludere il procedimento

Il Tribunale ha ribadito un principio fondamentale: l’Amministrazione ha il dovere di concludere il procedimento con un provvedimento espresso, ai sensi dell’art. 2, comma 1, della legge n. 241/1990 e dell’art. 5, comma 9, del d.lgs. n. 286/1998, che fissa in 60 giorni il termine massimo per provvedere alle richieste di rilascio, rinnovo o conversione dei titoli di soggiorno.

Nel caso in esame, l’omesso completamento della procedura ha determinato la legittima attivazione del ricorso avverso il silenzio, ai sensi dell’art. 31 c.p.a., che tutela l’interesse pretensivo del privato a una risposta tempestiva.

3. Cessazione della materia del contendere e condanna alle spese

All’udienza camerale, l’Amministrazione aveva finalmente adempiuto (seppure tardivamente), dando seguito alla convocazione necessaria per la stipula del contratto di soggiorno. Il difensore del ricorrente ha dunque chiesto la declaratoria di cessazione della materia del contendere, riconoscendo il soddisfacimento della pretesa.

Il Collegio ha accolto tale richiesta, ma ha condannato comunque il Ministero dell’Interno alle spese di lite (€ 1.000 oltre accessori), applicando il principio della soccombenza virtuale, in quanto il comportamento dell’Amministrazione ha di fatto costretto il privato ad agire in giudizio per ottenere ciò che gli spettava.

4. Considerazioni finali

La pronuncia evidenzia con nettezza un tema strutturale nel rapporto tra cittadino straniero e pubblica amministrazione: l’inadempimento silenzioso delle prefetture anche dopo l’emissione di atti positivi come il nulla osta. Tale inerzia genera incertezza giuridica, ritardi nelle procedure di stabilizzazione e costi ingiustificati per l’ordinamento.

Il TAR ha richiamato il dovere incondizionato dell’amministrazione di chiudere i procedimenti attivati su istanza di parte, a prescindere dalla fondatezza o meno della domanda: anche un diniego deve essere formalizzato.

Questa decisione può fungere da utile precedente nei casi analoghi di inerzia procedimentale, soprattutto nel contesto delle domande di conversione presentate nell’ambito dei decreti flussi.


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Avv. Fabio Loscerbo



martedì 5 agosto 2025

Rinnovo del permesso di soggiorno: illegittimità della revoca fondata su fatti superati e inerzia della Questura di ParmaTAR Emilia-Romagna, Sezione staccata di Parma, Sentenza n. 256/2025, R.G. n. 446/2024 – pubblicata il 12 giugno 2025

Rinnovo del permesso di soggiorno: illegittimità della revoca fondata su fatti superati e inerzia della Questura di Parma

TAR Emilia-Romagna, Sezione staccata di Parma, Sentenza n. 256/2025, R.G. n. 446/2024 – pubblicata il 12 giugno 2025

Con la sentenza n. 256 del 2025, il TAR Emilia-Romagna, sede di Parma, ha dichiarato l’improcedibilità di un ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, dopo che la Questura ha revocato in autotutela il provvedimento con cui aveva rigettato la richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno di uno straniero regolarmente soggiornante.

1. I fatti e il contenzioso

Il ricorrente aveva impugnato il rigetto del rinnovo del permesso di soggiorno emesso dalla Questura di Parma, contestandone l’illegittimità sotto diversi profili: la valutazione non attuale della pericolosità sociale, il mancato riconoscimento dei legami familiari (inclusa la nascita di un terzo figlio nel 2021) e un'errata rappresentazione della situazione lavorativa.

Il TAR, con ordinanza cautelare n. 11/2025, aveva già rilevato che:

i fatti a fondamento del rigetto erano risalenti nel tempo e dunque non rilevanti ai fini dell’attualità della pericolosità;

esistevano legami familiari significativi;

il ricorrente risultava in realtà occupato, contrariamente a quanto sostenuto dalla Questura.


Per tali ragioni era stato ordinato un riesame entro 45 giorni. Tuttavia, l’Amministrazione è rimasta inerte.

2. L’intervento del Prefetto come Commissario ad acta

Constatata l’inerzia, il Tribunale ha nominato il Prefetto di Parma Commissario ad acta, autorizzandolo a delegare un dirigente per eseguire l’ordine giudiziale. La Questura ha successivamente adempiuto, revocando in autotutela il provvedimento di rigetto, ma senza ancora rilasciare formalmente il titolo di soggiorno richiesto.

3. La decisione del TAR: improcedibilità ma condanna alle spese

Alla luce della revoca del provvedimento impugnato, il TAR ha dichiarato l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse, ex art. 35, comma 1, lett. c), c.p.a., precisando che la fattispecie non integra un’ipotesi di cessazione della materia del contendere, poiché l’Amministrazione non ha ancora rilasciato il permesso di soggiorno richiesto.

Pur non pronunciandosi nel merito, il Tribunale ha applicato il principio della soccombenza virtuale, ponendo le spese a carico dell’Amministrazione, per aver comunque dato causa alla controversia. Le spese sono state liquidate in € 1.000, oltre accessori e rimborso del contributo unificato.

4. Considerazioni conclusive

La pronuncia è emblematica di due profili ricorrenti nei contenziosi in materia di immigrazione:

da un lato, la frequente utilizzazione impropria di elementi superati per fondare giudizi di pericolosità sociale, in spregio al principio di attualità;

dall’altro, la resistenza silenziosa di alcune Questure agli ordini del giudice amministrativo, che impone interventi sostitutivi.


La decisione, pur non risolutiva in senso satisfattivo, rappresenta un monito a favore della correttezza procedimentale e della tutela effettiva dei diritti degli stranieri radicati nel territorio nazionale.


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Avv. Fabio Loscerbo


lunedì 4 agosto 2025

Conversione del permesso per studio: il TAR Parma accoglie il ricorso e impone alla Prefettura un nuovo provvedimento motivatoTAR Emilia-Romagna, Sezione staccata di Parma – Sentenza n. 284/2025, R.G. n. 412/2024, pubblicata il 26 giugno 2025

Conversione del permesso per studio: il TAR Parma accoglie il ricorso e impone alla Prefettura un nuovo provvedimento motivato

TAR Emilia-Romagna, Sezione staccata di Parma – Sentenza n. 284/2025, R.G. n. 412/2024, pubblicata il 26 giugno 2025

Con la sentenza n. 284/2025, il TAR Emilia-Romagna – sede di Parma – ha dichiarato la cessazione della materia del contendere in un procedimento promosso avverso la revoca del nulla osta alla conversione del permesso di soggiorno da studio a lavoro subordinato, dopo che la Prefettura di Reggio Emilia ha revocato in autotutela il provvedimento impugnato, disponendo nuovamente il rilascio del nulla osta alla conversione.

1. La vicenda

La controversia trae origine dal provvedimento del 30 settembre 2024 con cui lo Sportello Unico per l’Immigrazione aveva revocato il nulla osta già rilasciato per la conversione del permesso di soggiorno per studio in permesso per lavoro subordinato. Il ricorrente ha impugnato il provvedimento dinanzi al TAR, contestando la revoca per carenza di istruttoria, contraddittorietà e violazione del principio del legittimo affidamento.

Il Tribunale, con l’ordinanza n. 380/2024, ha disposto la sospensione del provvedimento e richiesto alla Prefettura una relazione dettagliata, poi reiterando l’ordine di riesame con l’ordinanza n. 30/2025. Nonostante un primo inadempimento, evidenziato con l’ulteriore ordinanza n. 141/2025, l’Amministrazione ha infine depositato, il 4 giugno 2025, un nuovo provvedimento con cui ha revocato in autotutela la precedente decisione e rilasciato nuovamente il nulla osta alla conversione.

2. La decisione del TAR

Preso atto della piena soddisfazione della pretesa azionata, il Collegio ha dichiarato la cessazione della materia del contendere ex art. 34, comma 5, c.p.a., chiarendo che l’Amministrazione ha integralmente accolto le istanze del ricorrente e sanato il vizio originario mediante un nuovo provvedimento favorevole.

Il TAR ha anche ribadito che l’assenza del ricorrente in camera di consiglio non impedisce l’adozione di una sentenza in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 c.p.a., richiamando in tal senso la giurisprudenza del Consiglio di Stato (Sez. II, sent. n. 1453/2021).

3. Le spese e la soccombenza virtuale

In applicazione del principio della soccombenza virtuale, il Tribunale ha condannato l’Amministrazione resistente – Prefettura di Reggio Emilia – al pagamento delle spese di lite, liquidate in euro 1.000, oltre accessori di legge e rifusione del contributo unificato, rilevando che la decisione amministrativa finale ha confermato la fondatezza delle doglianze iniziali.

Infine, ai sensi dell’art. 52 del D.lgs. n. 196/2003 e del Reg. UE 2016/679, il Collegio ha ordinato l’oscuramento delle generalità della parte ricorrente.


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Nota: La sentenza costituisce un esempio di tutela effettiva del cittadino straniero nel caso di provvedimenti amministrativi revocativi non adeguatamente motivati, e conferma l’obbligo per la Pubblica Amministrazione di riesaminare le istanze alla luce dell’intero quadro istruttorio, anche a seguito di misure cautelari e ordini del giudice amministrativo.

Avv. Fabio Loscerbo



domenica 3 agosto 2025

TAR Parma: irricevibile il ricorso per ritardato deposito a causa dell’utilizzo di un modulo obsoletoSentenza del TAR Emilia-Romagna, Sezione staccata di Parma (Sezione Prima), n. 300/2025, pubblicata il 27 giugno 2025 – R.G. n. 297/2025

TAR Parma: irricevibile il ricorso per ritardato deposito a causa dell’utilizzo di un modulo obsoleto

Sentenza del TAR Emilia-Romagna, Sezione staccata di Parma (Sezione Prima), n. 300/2025, pubblicata il 27 giugno 2025 – R.G. n. 297/2025

Con la sentenza n. 300/2025, il TAR Parma ha dichiarato irricevibile un ricorso proposto contro il provvedimento della Questura di Piacenza che disponeva l’archiviazione dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo. La decisione si fonda su una causa di natura processuale: il mancato rispetto del termine decadenziale per il deposito del ricorso, pari a 30 giorni dalla notificazione.

1. Il contesto del ricorso: rinnovo del permesso e archiviazione

Il ricorso originava dalla decisione della Questura di Piacenza di archiviare, a distanza di anni, un’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno presentata nel 2019, senza preavviso di rigetto né adeguata valutazione della situazione personale del richiedente, residente in Italia da lungo tempo.

La parte ricorrente lamentava una carente istruttoria e l’omessa considerazione della posizione soggettiva dello straniero, chiedendo l’annullamento del provvedimento.

2. L’eccezione procedurale e il deposito oltre il termine

Il Tribunale, rilevato d’ufficio il profilo di irricevibilità, ha posto l’attenzione sulla data di deposito del ricorso, avvenuta il 27 maggio 2025, ovvero al trentunesimo giorno successivo alla notificazione del provvedimento impugnato (26 aprile 2025), in violazione dell’art. 45, comma 1, c.p.a.

In camera di consiglio, la difesa ha sostenuto che un primo tentativo di deposito era stato effettuato il 26 maggio, ma che era stato respinto dal Sistema Informatico della Giustizia Amministrativa. Tuttavia, tale errore è risultato imputabile esclusivamente alla parte, la quale ha utilizzato un modulo di deposito non aggiornato, come comunicato con apposito messaggio PEC dal sistema stesso (“E013 – il modulo di deposito utilizzato non è più valido”).

3. Errore inescusabile e responsabilità del difensore

Il Collegio ha escluso la sussistenza di un errore scusabile, evidenziando come la comunicazione automatica del sistema fosse chiara e recapitata con tempismo tale da consentire il corretto deposito entro i termini. La mancata osservanza dell’obbligo di aggiornare il modulo è stata dunque considerata un’omissione inescusabile, interamente ascrivibile alla parte ricorrente.

Ne consegue la declaratoria di irricevibilità del ricorso, in applicazione rigorosa dei termini decadenziali previsti dal Codice del processo amministrativo.

4. Spese compensate e tutela della riservatezza

Nonostante il rigetto, il TAR ha disposto la compensazione integrale delle spese, rilevando l’assenza di un’eccezione processuale da parte dell’Amministrazione resistente.

Ai sensi dell’art. 52 del d.lgs. n. 196/2003 e del Regolamento UE 2016/679, è stato inoltre ordinato l’oscuramento delle generalità del ricorrente e del difensore, a tutela della riservatezza degli interessati.


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Avv. Fabio Loscerbo



sabato 2 agosto 2025

Diniego del permesso stagionale per ingresso con divieto di reingresso: il TAR Palermo rigetta il ricorso per infondatezza e inammissibilità parzialeSentenza del TAR Sicilia – Palermo, Sez. III, n. 1514/2025, pubblicata il 4 luglio 2025 – R.G. n. 873/2025

Diniego del permesso stagionale per ingresso con divieto di reingresso: il TAR Palermo rigetta il ricorso per infondatezza e inammissibilità parziale

Sentenza del TAR Sicilia – Palermo, Sez. III, n. 1514/2025, pubblicata il 4 luglio 2025 – R.G. n. 873/2025

Con la sentenza n. 1514/2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Terza) ha respinto un ricorso proposto avverso il rigetto dell’istanza di rilascio del permesso di soggiorno per lavoro subordinato stagionale, nonché contro i connessi provvedimenti di espulsione e respingimento con accompagnamento alla frontiera.

Il caso trae origine dal diniego adottato dalla Questura di Agrigento, motivato dalla sussistenza di un divieto di reingresso in Italia per tre anni, emesso in occasione di un precedente respingimento alla frontiera nel 2022. Il ricorrente, munito di visto per lavoro stagionale, aveva comunque fatto ingresso nel territorio nazionale e aveva avanzato regolare istanza di rilascio del permesso di soggiorno.

1. I motivi di ricorso e l’errore di persona dedotto

Il ricorrente ha articolato diverse censure, sostenendo, in primo luogo, che il diniego si fondava su un errore di persona: secondo la prospettazione difensiva, il divieto di reingresso sarebbe stato adottato nei confronti di un soggetto diverso, erroneamente identificato con il ricorrente. Inoltre, è stata dedotta la mancata considerazione dell’inserimento lavorativo e sociale del richiedente, nonché l’assenza del preavviso di rigetto ex art. 10-bis della L. n. 241/1990.

Ulteriore motivo di ricorso ha riguardato la mancata valutazione, da parte dell’Amministrazione, dell’opportunità di differire il respingimento, come previsto dall’art. 13, comma 5, del T.U. Immigrazione.

2. La verifica AFIS e l’efficacia probatoria degli atti

Il TAR ha tuttavia rigettato le censure, ritenendole infondate o inammissibili. Sotto il profilo dell’identificazione, il Collegio ha evidenziato come il riscontro AFIS delle impronte digitali fornisca una prova fidefaciente dell’identità, assimilabile agli atti di un pubblico ufficiale ai sensi degli artt. 2699 ss. c.c. In assenza di querela di falso o di istanza di verificazione, l’identità del ricorrente con il soggetto destinatario del divieto di reingresso deve considerarsi accertata in via definitiva.

3. Il carattere vincolato del diniego e la non rilevanza del vizio procedimentale

Richiamando l’art. 5, comma 5, del d.lgs. 286/1998, il Tribunale ha ribadito che in presenza di cause ostative all’ingresso (quale, appunto, il divieto di reingresso), il diniego del permesso è atto vincolato. Pertanto, non sussiste spazio per censure relative a vizi motivazionali o di eccesso di potere. In tal senso, si richiama la giurisprudenza del TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, sent. n. 83/2017.

Anche l’omessa comunicazione del preavviso di rigetto non incide sull’esito del procedimento, ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della legge 241/1990, trattandosi di provvedimento che, per sua natura vincolata, avrebbe comunque avuto identico contenuto dispositivo.

4. Difetto di giurisdizione su alcune censure e spese processuali

Il TAR ha inoltre dichiarato inammissibili le censure relative al decreto prefettizio di espulsione, in quanto afferenti alla giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria, ai sensi dell’art. 13, comma 8, del T.U. Immigrazione.

Le spese di lite sono state poste a carico del ricorrente, con liquidazione ridotta in considerazione della semplicità del rito. L’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato è stata rigettata per manifesta infondatezza del ricorso.


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Avv. Fabio Loscerbo



venerdì 1 agosto 2025

Diniego del permesso di soggiorno per pericolosità sociale: il TAR Palermo legittima il rigetto nonostante la presenza di legami familiari e lavorativiSentenza del TAR Sicilia – Palermo, Sezione Terza, n. 1518/2025, pubblicata il 4 luglio 2025 – R.G. n. 1664/2024

Diniego del permesso di soggiorno per pericolosità sociale: il TAR Palermo legittima il rigetto nonostante la presenza di legami familiari e lavorativi

Sentenza del TAR Sicilia – Palermo, Sezione Terza, n. 1518/2025, pubblicata il 4 luglio 2025 – R.G. n. 1664/2024

Con la sentenza in esame, il TAR Palermo ha rigettato un ricorso avverso un provvedimento di diniego del rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato, motivato dalla pericolosità sociale dello straniero. Il rigetto del ricorso è avvenuto previa declaratoria di improcedibilità dell’impugnazione introduttiva, superata da un nuovo provvedimento emesso in sede di riesame.

1. Il contesto procedurale

Il ricorrente aveva impugnato il primo provvedimento di rigetto adottato dalla Questura di Palermo, denunciando numerosi vizi, tra cui l’omessa valutazione dei legami familiari con la consorte e un figlio minore, regolarmente residenti in Italia. Accolta in via cautelare l’istanza di sospensione, il Tribunale aveva disposto il riesame da parte dell’Amministrazione.

Successivamente, il Questore ha emesso un nuovo diniego, nuovamente impugnato con motivi aggiunti. In sede di camera di consiglio, il TAR ha ritenuto il ricorso introduttivo improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, sostituito dalla nuova determinazione amministrativa.

2. Il fondamento del diniego e la valutazione della pericolosità sociale

Il diniego è stato motivato con riferimento all’esito di una valutazione prefettizia ex art. 1 del d.lgs. 159/2011 (Codice Antimafia), secondo cui il ricorrente era ritenuto socialmente pericoloso, per la partecipazione a un’associazione criminale dedita a truffe online e al riciclaggio dei proventi. Le valutazioni dell’Amministrazione si sono fondate su dati concreti: pendenze penali, misure cautelari personali e reali, ruolo attivo nel sodalizio, nonché disponibilità diretta dei profitti illeciti.

Il TAR ha ritenuto legittima tale istruttoria e ha chiarito che il giudizio di pericolosità sociale può fondarsi anche su meri elementi indiziari, senza necessità di una condanna penale definitiva. La funzione di prevenzione insita nella normativa in materia di soggiorno legittima l’Amministrazione a svolgere un apprezzamento anticipatorio del rischio per l’ordine pubblico e la sicurezza.

3. Il bilanciamento con i legami familiari e lavorativi

La sentenza si sofferma anche sull’argomentazione secondo cui i legami familiari e la parziale integrazione sociale avrebbero dovuto impedire un giudizio negativo. Tuttavia, il Tribunale osserva come tali elementi siano stati effettivamente valutati nel riesame, ma non abbiano prevalso nel bilanciamento con l’interesse pubblico primario alla sicurezza.

Richiamando la giurisprudenza del TAR Lombardia (Brescia, Sez. II, sent. n. 487/2020), viene ribadito che la mera titolarità di relazioni familiari e lavorative non impedisce di per sé un giudizio di pericolosità sociale, soprattutto in presenza di condotte che dimostrano un’integrazione solo formale e non sostanziale nel tessuto civile.

4. Decisione sulle spese e patrocinio a spese dello Stato

Nonostante il rigetto del ricorso, il Tribunale ha ammesso in via definitiva il ricorrente al patrocinio a spese dello Stato, ritenendo non manifestamente infondate le censure proposte. Le spese del giudizio sono state poste a carico del ricorrente, liquidate in € 1.500,00 oltre accessori di legge.


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Avv. Fabio Loscerbo