domenica 23 marzo 2025

Rimpatrio per chi delinque, a tutela di tutti gli stranieri che si integrano

Rimpatrio per chi delinque, a tutela di tutti gli stranieri che si integrano

Con un post pubblicato sui social, il Ministro dell’Interno ha annunciato il rimpatrio di due cittadini stranieri condannati per spaccio di droga. Dopo aver scontato la pena in carcere, i due sono stati espulsi dal territorio nazionale e ricondotti nel Paese d’origine.

Una decisione giusta e coerente con la linea del rispetto delle regole. In uno Stato di diritto, chi ha commesso reati gravi e non possiede i requisiti per restare non può continuare a vivere indisturbato sul territorio. Il rimpatrio in questi casi è una misura necessaria e legittima.

Ma c’è di più: agire con fermezza verso chi delinque significa anche proteggere e valorizzare tutti quegli stranieri che, invece, si impegnano ogni giorno per integrarsi, lavorare, imparare la lingua e rispettare le regole del nostro Paese. È anche grazie a queste azioni che si rafforza la fiducia tra istituzioni e cittadini, italiani e stranieri.

Bene, dunque, il lavoro del Ministero dell’Interno e delle forze dell’ordine. La sicurezza e l’integrazione non sono alternative: vanno insieme. E chi rifiuta l’integrazione, deve accettare la ReImmigrazione.

#Sicurezza #Integrazione #Immigrazione #ReImmigrazione

Avv. Fabio Loscerbo


sabato 22 marzo 2025

Le criticità nell’accesso agli appuntamenti presso l’Ambasciata d’Italia in Pakistan per il rilascio del visto d’ingresso: una riflessione giuridico-amministrativa

 Le criticità nell’accesso agli appuntamenti presso l’Ambasciata d’Italia in Pakistan per il rilascio del visto d’ingresso: una riflessione giuridico-amministrativa

di Avv. Fabio Loscerbo

Negli ultimi anni, l’ottenimento del visto d’ingresso per l’Italia da parte di cittadini stranieri, in particolare da Paesi terzi come il Pakistan, si è rivelato un processo sempre più complesso e disfunzionale. Una vicenda documentata da fonti legali evidenzia una serie di problematiche strutturali e procedurali che sollevano dubbi sull'effettività dei diritti riconosciuti ai richiedenti e sul rispetto dei principi fondamentali dell'azione amministrativa.

1. Il quadro normativo e le responsabilità della pubblica amministrazione

Il rilascio del visto di ingresso per lavoro subordinato è disciplinato dal combinato disposto dell’art. 22 del D.Lgs. 286/1998 (Testo Unico Immigrazione) e dell’art. 31 del D.P.R. 394/1999. Una volta emesso il Nulla Osta da parte dello Sportello Unico per l’Immigrazione, l’Ambasciata italiana competente è tenuta, secondo l’art. 4 dello stesso regolamento, a rilasciare il visto in modo “consequenziale e complementare”.

Il principio di buona amministrazione, sancito dall’art. 97 della Costituzione e rafforzato dall’art. 41 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, impone che ogni procedimento amministrativo si concluda entro un termine ragionevole, come previsto anche dall’art. 2 della Legge 241/1990. Tuttavia, in molti casi sono emersi ritardi significativi e ingiustificati.

2. Ritardi e mancate risposte nel procedimento

In una vicenda emblematica, un cittadino straniero ha ottenuto regolare Nulla Osta in data 31 maggio 2024. Nonostante il deposito del passaporto presso l’Ambasciata già nel mese di ottobre 2024, e nonostante numerose diffide, solleciti e istanze di accesso agli atti inviate da parte della difesa legale, ad oggi il visto non risulta ancora rilasciato.

Il procedimento amministrativo si è protratto per mesi, senza un’esplicita comunicazione da parte dell’Amministrazione, in violazione degli obblighi di trasparenza e partecipazione procedimentale previsti dagli articoli 7 e 10 della Legge 241/1990. Neppure le istanze rivolte all’Ispettorato per la Funzione Pubblica e agli organi di controllo del Ministero degli Esteri hanno prodotto risultati risolutivi.

3. L’opacità della gestione tramite outsourcing

Un ulteriore elemento critico riguarda la gestione degli appuntamenti e delle pratiche tramite soggetti terzi, come la società BLS Islamabad, incaricata dalla sede diplomatica di operare come sportello di front office. Nonostante la funzione di intermediazione, permangono opacità rispetto alla regolamentazione interna, ai criteri di priorità nella gestione delle domande e alla trasparenza delle liste d’attesa.

L’accesso agli atti richiesto dalla difesa ha incluso, tra l’altro, domande relative alla convenzione con BLS, alla lista delle pratiche in attesa, al numero di appuntamenti concessi e rifiutati e agli ordini di servizio eventualmente emessi dalla sede diplomatica. Tali documenti non sono stati resi disponibili, nonostante i doveri derivanti dalla normativa sull’accesso.

4. Implicazioni giuridiche e necessità di riforma

Il ritardo nel rilascio del visto d’ingresso vanifica il Nulla Osta rilasciato, compromette il diritto del cittadino straniero a lavorare regolarmente in Italia e genera un danno economico e sociale per il datore di lavoro e per lo stesso richiedente. Non solo: configura una responsabilità amministrativa che può dar luogo a contenziosi per il risarcimento del danno da ritardo e per il mancato rispetto degli obblighi procedurali.

Inoltre, emerge con forza l’esigenza di una riforma strutturale nel sistema di rilascio dei visti, che preveda un controllo più stringente sull’operato delle sedi consolari, una digitalizzazione efficace dei procedimenti e la pubblicazione di dati statistici trasparenti sull’andamento delle pratiche.

Conclusioni

Il caso dell’Ambasciata italiana in Pakistan è paradigmatico di una criticità diffusa nella gestione consolare delle pratiche migratorie. La mancanza di trasparenza, la durata irragionevole dei procedimenti e la scarsa accountability delle amministrazioni coinvolte compromettono il diritto degli stranieri a vedere trattate le loro domande in modo equo, efficace e tempestivo. È urgente che il Ministero degli Esteri e il Governo intervengano per assicurare una gestione consolare efficiente, conforme ai principi dello Stato di diritto e della buona amministrazione.


Avv. Fabio Loscerbo
Patrocinante in Cassazione e dinanzi alle Giurisdizioni Superiori
Lobbista in materia di Migrazione e Asilo – Registro Trasparenza UE ID: 280782895721-36
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Prenotafacile: uno strumento utile ma da riformare – L’accesso ai diritti non può essere una corsa a ostacoli digitali

 Prenotafacile: uno strumento utile ma da riformare – L’accesso ai diritti non può essere una corsa a ostacoli digitali

Nel panorama della digitalizzazione amministrativa italiana, Prenotafacile rappresenta una delle principali porte di accesso per i cittadini stranieri che devono interagire con l’Ufficio Immigrazione delle Questure. Il portale, raggiungibile all’indirizzo https://prenotafacile.poliziadistato.it, è stato ideato per consentire agli utenti di fissare un appuntamento per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno e per altre procedure connesse alla permanenza regolare sul territorio nazionale.

Sulla carta, si tratta di una semplificazione importante: un sistema online pensato per evitare code, ridurre i tempi di attesa e garantire un accesso ordinato agli sportelli. Tuttavia, come spesso accade quando la tecnologia si scontra con la complessità della realtà, quello che dovrebbe essere uno strumento di efficienza si rivela, troppo spesso, una fonte di frustrazione.

La criticità più evidente è legata alla scarsità e alla gestione poco trasparente delle disponibilità. Molti utenti, pur collegandosi costantemente al portale, non riescono a visualizzare slot liberi per settimane. Il sistema sembra premiare chi ha una connessione veloce, chi può passare ore davanti allo schermo, chi conosce perfettamente il funzionamento della piattaforma. A rimanere indietro, invece, sono i più vulnerabili: chi non ha dimestichezza con gli strumenti digitali, chi non parla bene l’italiano, chi non può contare su reti di supporto.

Tutto questo genera una dinamica di esclusione silenziosa ma profondamente ingiusta. L’accesso a un diritto — quello al soggiorno regolare, alla protezione internazionale, alla possibilità di lavorare legalmente — non può dipendere dalla velocità con cui si clicca su un link. Eppure, per molti cittadini stranieri, la difficoltà a prenotare un semplice appuntamento si traduce in mesi di attesa, rischi di decadenza, interruzione del lavoro, impossibilità di accedere ai servizi sanitari o previdenziali.

Non si tratta solo di una questione tecnica. È un problema di equità e di giustizia amministrativa. Un sistema pubblico che si affida alla digitalizzazione deve garantire pari accesso a tutti, non creare barriere aggiuntive. Quando la tecnologia diventa un filtro che seleziona chi può esercitare un diritto e chi no, si tradisce il senso stesso della trasformazione digitale nella pubblica amministrazione.

Ciò che serve è un ripensamento radicale. Prenotafacile dovrebbe evolversi da semplice calendario virtuale a una vera e propria piattaforma interattiva. Un luogo in cui l’utente possa non solo prenotare un appuntamento, ma anche seguire l’avanzamento della propria procedura, caricare documenti, ricevere notifiche trasparenti. Un luogo dove esista assistenza multilingue, dove le finestre di prenotazione vengano aperte con criteri chiari e uguali per tutti.

Un portale pubblico non può funzionare come una lotteria. Deve essere strumento di garanzia, non di selezione. E questo vale a maggior ragione in materia di immigrazione, dove la burocrazia si intreccia ogni giorno con la vita, la dignità e la speranza delle persone.

Avv. Fabio Loscerbo
Avvocato esperto in diritto dell’immigrazione e lobbista registrato in materia di Migrazione e Asilo presso il Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea – ID: 280782895721-36

Un presidio di efficienza e umanità: l’Ufficio Immigrazione della Questura di Ravenna

 Un presidio di efficienza e umanità: l’Ufficio Immigrazione della Questura di Ravenna

L’Ufficio Immigrazione della Questura di Ravenna rappresenta, per molti cittadini stranieri, il primo punto di contatto con lo Stato italiano. In un tempo in cui il fenomeno migratorio è spesso oggetto di discussioni ideologiche e polarizzate, è importante valorizzare quelle realtà istituzionali che ogni giorno svolgono il proprio lavoro con serietà, umanità e altissimo senso del dovere.

A Ravenna, l’Ufficio Immigrazione – situato in Viale Enrico Berlinguer n. 20 – si distingue per l’efficienza nella gestione delle procedure relative al soggiorno e alla protezione internazionale. È doveroso precisare che le procedure inerenti ai ricongiungimenti familiari e alle cittadinanze sono di competenza della Prefettura, ma resta centrale il ruolo della Questura per tutto ciò che riguarda l’ingresso e la permanenza degli stranieri, in particolare per coloro che richiedono forme di protezione.

Un elogio particolare va rivolto al personale dell’Ufficio Asilo. Gli operatori di questo settore dimostrano quotidianamente un’elevata competenza giuridica, unita a una rara capacità di ascolto e comprensione delle vicende personali di ciascun richiedente. In un ambito così delicato e complesso, dove alle norme si accompagnano storie di vulnerabilità e ricerca di tutela, l’approccio umano fa la differenza.

L’organizzazione dell’ufficio è improntata alla modernizzazione, anche grazie alla possibilità di prenotare gli appuntamenti online tramite il portale “PrenotaFacile”, evitando code e affollamenti e migliorando la qualità del servizio. Tuttavia, al di là degli strumenti digitali, ciò che davvero merita di essere sottolineato è la serietà con cui ciascun funzionario svolge il proprio compito, incarnando il volto giusto dell’amministrazione pubblica.

In tempi di disinformazione e polemiche, è fondamentale ricordare che esistono realtà istituzionali che operano ogni giorno nel rispetto della legge e della dignità delle persone. L’Ufficio Immigrazione della Questura di Ravenna è una di queste: un esempio virtuoso di professionalità e umanità al servizio del bene comune.

Avv. Fabio Loscerbo

venerdì 21 marzo 2025

Il diritto del richiedente protezione a ottenere temporaneamente il passaporto trattenuto in Questura per esigenze essenziali di vita quotidiana

 

Il diritto del richiedente protezione a ottenere temporaneamente il passaporto trattenuto in Questura per esigenze essenziali di vita quotidiana

Nota all’ordinanza del Tribunale di Bologna, R.G. 1222/2025, del 7 marzo 2025

In un panorama giurisprudenziale sempre più sensibile ai diritti concreti dei richiedenti protezione, l’ordinanza del Tribunale di Bologna – Sezione specializzata in materia di immigrazione – emessa il 7 marzo 2025, segna un punto fermo nella riflessione sull’equilibrio tra doveri di collaborazione e esigenze di vita reale.

La controversia trae origine dalla richiesta di un richiedente protezione alla Questura di Modena per la restituzione del proprio passaporto, consegnato all’atto della domanda di protezione internazionale, come previsto dall’art. 11, comma 1, del D.Lgs. 25/2008. La finalità non era quella di lasciare il territorio nazionale, bensì di poter esibire un documento valido di identità presso un istituto bancario, che – per procedere alla liquidazione di una carta prepagata – richiedeva il passaporto originale.

A ciò si aggiungeva un ulteriore elemento di necessità: il documento risultava scaduto, e il suo rinnovo presso il consolato del Paese d’origine richiedeva materialmente il ritiro del passaporto stesso.

Il Tribunale ha accolto la domanda cautelare, chiarendo che:

“L’obbligo di consegna del passaporto [...] non esclude che il richiedente possa disporre del documento in pendenza della domanda al fine di farsi identificare presso altri soggetti che lo richiedano”.

Non solo: l’ordinanza valorizza il principio di proporzionalità e ragionevolezza, riconoscendo che il possesso temporaneo del documento, per una finalità specifica e documentata, non vanifica lo spirito della norma, ma anzi, lo completa nella sua funzione di tutela.

Il Giudice stabilisce che, una volta utilizzato il passaporto per i fini indicati (rinnovo e presentazione alla banca), il richiedente dovrà restituirlo prontamente alla Questura, mantenendo quindi il vincolo collaborativo previsto dalla legge.


Una lettura evolutiva del diritto alla protezione

Questa ordinanza si inserisce in una visione più ampia, in cui i diritti del richiedente protezione non sono sospesi o sterilizzati dal procedimento, ma vitalizzati nel loro esercizio quotidiano. Il diritto a possedere un documento valido, a interagire con banche, enti pubblici, consolati e autorità estere è parte integrante della dignità personale, dell’integrazione sociale e della legalità sostanziale.

L’ordinanza del Tribunale di Bologna apre così uno spazio concreto alla gestione umana e ragionevole del diritto alla protezione, respingendo approcci meramente formalistici e riaffermando la centralità della persona anche nella fase transitoria del procedimento.


Avv. Fabio Loscerbo
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Il diritto di presentare istanza di protezione complementare e l’obbligo della Questura di attivare il procedimento: nota all’ordinanza del Tribunale di Bologna, Sez. Immigrazione, 23 febbraio 2025, n. R.G. 1199/2025

 

Il diritto di presentare istanza di protezione complementare e l’obbligo della Questura di attivare il procedimento: nota all’ordinanza del Tribunale di Bologna, Sez. Immigrazione, 23 febbraio 2025, n. R.G. 1199/2025

L’ordinanza emessa dal Tribunale Ordinario di Bologna – Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE – in data 23 febbraio 2025, riconosce la fondatezza della domanda cautelare ex art. 700 c.p.c. volta ad accertare il diritto di formalizzare una istanza di protezione complementare presso la Questura competente e a ottenere l’attivazione del procedimento amministrativo secondo le modalità previste per la protezione internazionale.

Il giudice, rilevando la totale inerzia della Pubblica Amministrazione nonostante le reiterate richieste dell’interessato, ha evidenziato la sussistenza del fumus boni iuris sulla base delle disposizioni nazionali e dell’art. 6 della Direttiva 2013/32/UE, nonché dell’art. 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. È stato altresì accertato il periculum in mora derivante dalla condizione di irregolarità amministrativa in cui si trova il richiedente in assenza di avvio procedurale, con il conseguente rischio di espulsione.

L’ordinanza impone alla Questura l’obbligo di ricevere l’istanza e di procedere al rilascio della ricevuta avente valore di permesso di soggiorno provvisorio, o, in alternativa, di fissare un appuntamento entro 15 giorni per la formalizzazione della stessa, con attestazione della pendenza della procedura.


Avv. Fabio Loscerbo
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venerdì 14 marzo 2025

Superare la visione economicista dell’immigrazione: un nuovo paradigma basato sull’integrazione o sulla ReImmigrazione

 Superare la visione economicista dell’immigrazione: un nuovo paradigma basato sull’integrazione o sulla ReImmigrazione

L’articolo di Tito Boeri, pubblicato sulla rivista ECO, numero 1 del 2025, affronta una delle grandi contraddizioni del nostro tempo: il crescente bisogno di manodopera immigrata nei paesi economicamente avanzati e, allo stesso tempo, le preoccupazioni dell’elettorato, spesso ostile a un’immigrazione incontrollata. Tuttavia, l’analisi di Boeri si muove all’interno di un paradigma limitante, quello dell’immigrazione vista esclusivamente come una funzione del mercato del lavoro. Questo approccio, oggi, è insufficiente.

Non si può affrontare la questione migratoria solo dal punto di vista della forza lavoro. L’immigrazione deve essere regolata secondo un principio chiaro: Integrazione o ReImmigrazione. Il lavoro è certamente una componente essenziale, ma non può essere l’unico criterio con cui si gestisce il fenomeno migratorio.

Lavoro, lingua, rispetto delle regole: il paradigma “Integrazione o ReImmigrazione”

Oggi il dibattito si muove tra due estremi: da un lato, una visione utilitaristica che accoglie i migranti solo quando servono all’economia; dall’altro, una narrazione emergenziale che li considera solo un problema. Entrambi gli approcci sono sbagliati. L’immigrazione va affrontata con un modello basato su tre pilastri fondamentali:

  1. Lavoro, che garantisce autonomia economica e contribuisce al benessere collettivo.
  2. Lingua, elemento imprescindibile per l’inclusione sociale e la partecipazione alla vita della comunità.
  3. Rispetto delle regole, perché il processo migratorio non deve generare tensioni sociali.

Senza questi tre elementi, il rischio è la frammentazione sociale e l’esclusione. Chi non si integra, deve tornare nel proprio paese d’origine: questo è il principio della ReImmigrazione.

Dal concetto di "utilità economica" a quello di "obbligo di integrazione"

L’errore di fondo dell’analisi di Boeri è credere che la partecipazione al mercato del lavoro sia sufficiente per risolvere i problemi legati all’integrazione. L’integrazione non è automatica. Se non viene strutturata, genera ghettizzazione, marginalizzazione e conflitti.

Dobbiamo superare la visione dell’"utilità economica" e adottare un modello di immigrazione in cui chi arriva ha l’obbligo di integrarsi. Ciò significa accettare le regole del paese ospitante, imparare la lingua e contribuire alla società. Chi rifiuta questi obblighi, non può pretendere di restare.

Conclusione: una nuova politica migratoria

L’approccio di Boeri è parziale. Il vero problema non è quanto immigrati accogliere, ma come integrarli. Servono politiche attive per garantire che chi arriva diventi parte della società e non venga trattato come una "unità lavorativa" intercambiabile.

Il paradigma dell’immigrazione deve basarsi su un concetto chiaro: integrazione o ReImmigrazione. Chi si integra, lavora, impara la lingua e rispetta le regole, ha diritto di restare. Chi non lo fa, deve tornare nel proprio paese. Solo così si garantisce una società equilibrata e coesa.


Avv. Fabio Loscerbo
Lobbista in materia di Migrazione e Asilo, registrato presso il Registro per la Trasparenza dell'Unione Europea – ID: 280782895721-36.

giovedì 13 marzo 2025

Il Principio dell'Integrazione o Reimmigrazione: Analisi della Decisione della Commissione Territoriale di Vicenza

 Il Principio dell'Integrazione o Reimmigrazione: Analisi della Decisione della Commissione Territoriale di Vicenza

L'immigrazione è una delle sfide più complesse e attuali per le società moderne. Le politiche migratorie si trovano di fronte alla necessità di bilanciare l'accoglienza con l'integrazione, evitando fenomeni di marginalizzazione e disagio sociale. In questo contesto, il principio dell'integrazione o reimmigrazione si propone come una soluzione innovativa e concreta, basata su tre pilastri fondamentali: lavoro, lingua e rispetto delle regole.

1. L'Integrazione come Obiettivo Primario

L'integrazione degli stranieri non deve essere un'opzione, ma un dovere. Chiunque scelga di stabilirsi in Italia deve dimostrare un impegno tangibile nel processo di integrazione, partecipando attivamente alla vita sociale, economica e culturale del Paese. Questo processo si basa su:

  • Lavoro: Avere un'occupazione regolare e dimostrare la capacità di autosostentamento è una condizione essenziale per l'integrazione.
  • Lingua: La conoscenza della lingua italiana è imprescindibile per l'interazione con le istituzioni e per l’inserimento sociale.
  • Rispetto delle Regole: L'adesione ai principi giuridici e ai valori democratici è un elemento determinante per essere parte integrante della società.

2. La Protezione Speciale e il Caso di Vicenza

Un esempio significativo di applicazione di questi principi si trova nella decisione della Commissione Territoriale di Vicenza del 18 febbraio 2025. Il richiedente, un cittadino marocchino, ha ottenuto un permesso di soggiorno per protezione speciale sulla base del forte radicamento sociale e lavorativo in Italia. La decisione è stata motivata dalla dimostrazione di una stabile occupazione, dalla conoscenza della lingua e dal rispetto delle norme locali. Questo caso dimostra che l’integrazione non è solo un criterio astratto, ma una realtà misurabile.

3. Il Principio della Reimmigrazione

Se l'integrazione è un diritto per chi dimostra impegno e merito, deve anche esistere il principio della reimmigrazione per chi non rispetta i requisiti minimi. Questo concetto prevede il ritorno nel Paese d’origine di coloro che:

  • Non hanno intrapreso un percorso di integrazione.
  • Non possiedono un’occupazione regolare e vivono esclusivamente di sussidi.
  • Sono coinvolti in attività illecite o non rispettano le regole della convivenza civile.

La reimmigrazione deve avvenire in maniera strutturata, attraverso programmi di rimpatrio assistito e accordi con i Paesi d’origine, evitando situazioni di clandestinità e disagio sociale.

4. Conclusioni: Un Modello Sostenibile per l’Immigrazione

Il principio dell'integrazione o reimmigrazione si pone come una soluzione equilibrata alle sfide migratorie, garantendo opportunità a chi dimostra volontà e capacità di integrarsi e, al contempo, evitando l’irregolarità e l’assistenzialismo improduttivo. L’Italia ha bisogno di un modello migratorio fondato su criteri oggettivi e verificabili, che permetta una gestione efficace e sostenibile dei flussi migratori.

L’attuazione di questo modello richiede un impegno istituzionale concreto, con politiche che incentivino l’integrazione attraverso formazione, opportunità lavorative e supporto linguistico, e al contempo prevedano meccanismi chiari e attuabili per la reimmigrazione di chi non soddisfa i criteri richiesti.

Avv. Fabio Loscerbo - Lobbista registrato in materia di Migrazione e Asilo presso il Registro per la Trasparenza dell'Unione Europea – ID: 280782895721-36

La Commissione di Vicenza Riconosce la Protezione Speciale per Integrazione

 La Commissione di Vicenza Riconosce la Protezione Speciale per Integrazione

Introduzione La Commissione Territoriale di Vicenza ha deliberato in data 10 marzo 2025 sul caso di un cittadino marocchino, riconoscendo la protezione speciale ai sensi dell’art. 32, comma 3, del D.Lgs. 25/2008. La decisione è di particolare interesse poiché analizza in profondità gli elementi di radicamento socio-lavorativo del richiedente e l’impatto di un eventuale rimpatrio sul suo diritto alla vita privata e familiare.

Quadro Fattuale e Normativo Il richiedente, nato in Marocco nel 2001, ha lasciato il paese nel settembre 2021, giungendo in Italia nel luglio 2022. Nel corso dell’audizione, ha dichiarato di aver lasciato il Marocco a causa di difficoltà economiche e dell’impossibilità di sostenere le cure mediche dei genitori. La sua richiesta di protezione internazionale è stata formalizzata presso la Questura di Rovigo nel gennaio 2023.

La Commissione ha valutato la domanda alla luce della Convenzione di Ginevra del 1951, del D.Lgs. 251/2007 e del D.Lgs. 25/2008, escludendo il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, in quanto il richiedente non ha allegato elementi di persecuzione personale né un rischio di danno grave derivante da violenza indiscriminata.

Elementi Chiave della Decisione La protezione speciale è stata concessa sulla base di tre fattori determinanti:

  1. Radicamento socio-lavorativo

    • Il richiedente ha dimostrato di essere occupato in Italia dal marzo 2023 con contratti di lavoro a tempo determinato e, successivamente, a tempo indeterminato nel novembre 2024.
    • Ha prodotto la documentazione fiscale relativa ai redditi percepiti e le buste paga, attestando una condizione di autonomia economica.
  2. Tutela della vita privata e familiare

    • La Commissione ha riconosciuto che il richiedente, essendo presente in Italia da oltre due anni e con un’occupazione stabile, ha sviluppato legami sociali e professionali significativi.
    • L’eventuale rimpatrio costituirebbe una violazione del diritto al rispetto della vita privata ai sensi dell’art. 8 CEDU e dell’art. 19, comma 1.1, del D.Lgs. 286/1998.
  3. Situazione economica e sanitaria nel paese di origine

    • Il richiedente ha dichiarato di essere l’unico sostegno economico della sua famiglia e di non poter garantire, in caso di ritorno in Marocco, un adeguato sostegno ai genitori malati.
    • La Commissione ha considerato le difficoltà di accesso ai servizi sanitari e alle opportunità lavorative nel paese di origine.

Conclusione La decisione della Commissione Territoriale di Vicenza conferma il ruolo della protezione speciale come strumento di tutela per chi ha costruito un percorso di integrazione significativo in Italia. Il provvedimento evidenzia l’importanza del radicamento lavorativo e sociale come elemento determinante per l’applicazione dell’art. 32, comma 3, del D.Lgs. 25/2008, in linea con i principi sanciti dalla CEDU.

Avv. Fabio Loscerbo - Lobbista in materia di Migrazione e Asilo, registrato presso il Registro per la Trasparenza dell'Unione Europea – ID: 280782895721-36

sabato 8 marzo 2025

ReImmigrazione e Protezione Speciale: un Nuovo Equilibrio per le Politiche Migratorie

 

ReImmigrazione e Protezione Speciale: un Nuovo Equilibrio per le Politiche Migratorie

Introduzione

Il dibattito sulle politiche migratorie in Italia ha raggiunto un punto di svolta. La protezione speciale, introdotta come strumento per garantire i diritti fondamentali ai migranti, si sta rivelando un meccanismo di regolamentazione dell’integrazione. Tuttavia, affinché questa misura non diventi un mero surrogato della protezione internazionale, è necessario un nuovo paradigma: la ReImmigrazione, ovvero il principio secondo cui chi non si integra deve essere accompagnato verso il ritorno nel proprio paese di origine.

Protezione Speciale: Uno Strumento di Equilibrio

L’analisi della recente decisione della Commissione Territoriale di Verona, sezione di Vicenza, mostra come la protezione speciale venga concessa in assenza di requisiti per la protezione internazionale o sussidiaria. Nel caso esaminato, un cittadino marocchino ha presentato istanza di asilo per motivazioni economiche, ottenendo tuttavia un permesso per protezione speciale in base all’art. 19, comma 1.1, del D.Lgs. 286/1998. Il criterio determinante è stato il suo percorso di integrazione in Italia, dimostrato tramite contratti di lavoro regolari e una condizione economica autosufficiente.

Questa decisione conferma che l’integrazione è diventata un criterio di permanenza, una condizione imprescindibile per la regolarizzazione del soggiorno in Italia.

L’Integrazione come Obbligo

Il riconoscimento della protezione speciale non può basarsi su meri fattori soggettivi, come la volontà del migrante di stabilirsi in Italia, ma deve fondarsi su parametri oggettivi:

  • Lavoro regolare, come dimostrato da contratti a tempo determinato e indeterminato.
  • Conoscenza della lingua italiana, attestata da certificazioni ufficiali.
  • Rispetto delle regole, con assenza di precedenti penali e adesione ai valori della società ospitante.

Se questi elementi non vengono rispettati, l’integrazione fallisce e si applica il principio della ReImmigrazione.

ReImmigrazione: Il Percorso di Ritorno per Chi Non Si Integra

La ReImmigrazione rappresenta un nuovo paradigma per la gestione dei flussi migratori. Non si tratta di un semplice rimpatrio forzato, ma di una strategia strutturata, assistita e orientata alla reintegrazione nel paese di origine. Essa prevede:

  1. Programmi di ritorno volontario assistito, con incentivi economici per il rientro e l’avvio di attività produttive nel paese d’origine.
  2. Percorsi di reintegrazione sociale ed economica, con il supporto di organizzazioni internazionali.
  3. Monitoraggio post-rientro, per garantire che il migrante possa stabilirsi in condizioni dignitose.

L’Italia può adottare questo modello per distinguere chi si integra e chi invece non rispetta le condizioni per la permanenza.

Conclusione

Il sistema migratorio italiano deve evolvere in una direzione chiara: protezione per chi si integra, ritorno per chi non lo fa. La protezione speciale non può diventare un canale di sanatoria indiscriminata, ma deve essere il risultato di un percorso di integrazione verificabile. La ReImmigrazione è lo strumento per riequilibrare il sistema, garantendo che la permanenza in Italia sia un diritto acquisito attraverso il rispetto delle regole, il lavoro e l’inserimento sociale.


Avv. Fabio Loscerbo
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La Commissione Territoriale e il Ruolo della Protezione Speciale nell’Attuale Contesto Normativo

 

La Commissione Territoriale e il Ruolo della Protezione Speciale nell’Attuale Contesto Normativo

Introduzione

La protezione internazionale è un istituto fondamentale per la tutela dei diritti umani, regolata da convenzioni internazionali e dalla normativa dell’Unione Europea. Tuttavia, la prassi applicativa delle Commissioni Territoriali dimostra come l’accesso a tali forme di protezione sia spesso limitato, determinando un ricorso sempre più frequente alla protezione speciale, introdotta nel nostro ordinamento con il D.L. 130/2020 e disciplinata dall’art. 19 del Testo Unico sull’Immigrazione (D.Lgs. 286/1998).

Il Caso Esaminato dalla Commissione Territoriale di Verona – Sezione Vicenza

Nel caso analizzato, il richiedente, un cittadino marocchino, ha presentato istanza di protezione internazionale adducendo motivazioni legate alla precarietà economica e all’impossibilità di sostenere la propria famiglia nel Paese d’origine. Il procedimento si è svolto secondo la procedura ordinaria, nonostante il Marocco rientri tra i Paesi di origine sicuri. La Commissione, pur riconoscendo la credibilità delle dichiarazioni, ha respinto la richiesta di protezione internazionale, escludendo sia lo status di rifugiato sia la protezione sussidiaria.

La Protezione Speciale: Un Riconoscimento Imprescindibile

Nonostante il rigetto della protezione internazionale, la Commissione ha ravvisato i presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale ai sensi dell’art. 32, comma 3, del D.Lgs. 25/2008. Tale riconoscimento si basa su due fattori chiave:

  1. Il radicamento socio-lavorativo del richiedente – In Italia dal 2021, il richiedente ha maturato un percorso di integrazione dimostrato da contratti di lavoro regolari e attestati di formazione professionale.
  2. La tutela della vita privata e familiare – L’allontanamento dal territorio nazionale comporterebbe una violazione dell’art. 8 della CEDU, che protegge il diritto alla vita privata e familiare, così come riconosciuto dall’art. 19, comma 1.1, del D.Lgs. 286/1998.

La Sentenza Elgafaji e i Limiti della Protezione Sussidiaria

Il provvedimento della Commissione evidenzia come la protezione sussidiaria venga negata in assenza di un conflitto armato generalizzato. Tuttavia, la giurisprudenza europea (sentenza Elgafaji, C-465/07) ha chiarito che anche situazioni di violenza diffusa e instabilità possono giustificare la concessione di tale forma di protezione, sebbene la valutazione rimanga discrezionale.

L’Integrazione come Nuovo Paradigma della Protezione

L’elemento centrale del riconoscimento della protezione speciale è l’integrazione del richiedente nel tessuto economico e sociale italiano. Questa decisione conferma l’evoluzione del concetto di protezione, che non si limita più alla mera condizione di pericolo nel Paese d’origine, ma considera il livello di radicamento e il rispetto delle regole come elementi essenziali per la permanenza in Italia.

Conclusioni

Il caso analizzato rappresenta un chiaro esempio di come la protezione speciale sia diventata uno strumento indispensabile per garantire il rispetto dei diritti fondamentali. Tuttavia, la sua applicazione dovrebbe essere affiancata da una riforma più ampia che riconosca l’integrazione come criterio centrale per la regolarizzazione del soggiorno degli stranieri in Italia. La protezione internazionale non può essere l’unico criterio di permanenza: l’obbligo di integrazione deve diventare il nuovo paradigma dell’immigrazione, garantendo una permanenza legata non solo al rischio nel Paese d’origine, ma alla capacità del migrante di inserirsi nella società italiana.

giovedì 6 marzo 2025

Evento Formativo: "La Rotta dei Diritti Fondamentali" – Bologna, 6 marzo 2025

Il 6 marzo 2025 ho partecipato all’evento formativo "La Rotta dei Diritti Fondamentali", organizzato da Magistratura Democratica presso la Sala Atelier di Bologna. Un'occasione di confronto e approfondimento sulle tutele dei migranti nel quadro del diritto europeo e del diritto interno.

L'incontro è stato aperto da Letizio Magliaro, Segretario di Magistratura Democratica Emilia Romagna, seguito dagli interventi di esperti del settore:

  • Chiara Favilli, Professoressa ordinaria di Diritto dell'Unione Europea presso l'Università di Firenze;
  • Marco Gattuso, Magistrato presso il Tribunale civile di Bologna;
  • Valeria Bolici, Magistrata presso il Tribunale penale di Bologna;
  • Francesca Cancellaro, Avvocata del Foro di Bologna.

A concludere l’incontro, Silvia Albano, Presidente di Magistratura Democratica, che ha sottolineato l'importanza di un'interpretazione delle norme conforme ai principi fondamentali di tutela dei diritti umani.

L'evento ha offerto spunti di riflessione su temi cruciali come la protezione internazionale, la protezione complementare e le sfide dell’integrazione nel contesto giuridico attuale. La giornata si è poi conclusa con lo spettacolo "Sotto lo stesso cielo" della Compagnia del Kintsugi e del Marconi School Musical.

Un ringraziamento agli organizzatori per l'opportunità di partecipare a questo momento di approfondimento e aggiornamento professionale, riconosciuto con 3 crediti formativi dal COA di Bologna.


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#DirittoImmigrazione #ProtezioneComplementare #DirittiUmani #MagistraturaDemocratica #FormazioneGiuridica

mercoledì 5 marzo 2025

Segnalazione Schengen e diniego del permesso di soggiorno: una rigidità normativa che ostacola l’integrazione

 

Segnalazione Schengen e diniego del permesso di soggiorno: una rigidità normativa che ostacola l’integrazione

La recente sentenza del TAR Emilia-Romagna, n. 638/2024, evidenzia ancora una volta come la normativa italiana sull’immigrazione continui a essere fondata su automatismi che impediscono una valutazione individuale delle situazioni e ostacolano il processo di integrazione. Il caso in questione riguarda il diniego di un permesso di soggiorno per emersione del lavoro irregolare a un cittadino marocchino, esclusivamente a causa di una segnalazione nel Sistema Informativo Schengen (SIS) inserita dalla Francia a seguito di un’espulsione avvenuta nel 2021.

La decisione del TAR conferma l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la presenza di una segnalazione Schengen ai fini della non ammissione nel territorio costituisce un motivo ostativo assoluto al rilascio del permesso di soggiorno, impedendo alla pubblica amministrazione di valutare nel merito la posizione del richiedente. Questo approccio esclude qualsiasi analisi sull’integrazione effettiva del lavoratore straniero in Italia, ignorando il contributo economico e sociale che potrebbe apportare al Paese.

La mia visione sull’immigrazione, che ho espresso nel libro "Integrazione o ReImmigrazione", si basa su un paradigma chiaro: l’integrazione deve essere fondata su tre pilastri lavoro, lingua e rispetto delle regole. Chi dimostra di rispettare questi requisiti deve poter restare, indipendentemente da ostacoli burocratici o da decisioni amministrative prive di un’analisi individuale. La segnalazione Schengen, in questo caso, viene applicata in modo indiscriminato, senza verificare se il soggetto abbia sviluppato un percorso di inclusione sociale e lavorativa in Italia.

Il diritto dell’Unione Europea prevede che le segnalazioni Schengen non siano automaticamente vincolanti per gli Stati membri, ma possano essere valutate alla luce della situazione concreta del richiedente e degli obiettivi della domanda di soggiorno. Tuttavia, l’ordinamento italiano continua ad adottare un approccio burocratico e restrittivo, che ostacola qualsiasi possibilità di regolarizzazione anche per chi lavora onestamente e rispetta le leggi.

L’integrazione non può essere un concetto teorico, ma deve essere un processo misurabile, basato su criteri chiari e applicabili. L’applicazione automatica della segnalazione Schengen nega di fatto il diritto all’integrazione, creando un circolo vizioso in cui chi è già presente sul territorio viene respinto senza alternative, contribuendo a incrementare l’irregolarità. Un modello più equo dovrebbe prevedere la possibilità di una verifica individuale, che valuti il contributo sociale ed economico del richiedente e l’assenza di reali motivi di pericolosità per la sicurezza pubblica.

Questa sentenza dimostra l’urgente necessità di riformare il sistema di accesso alla regolarizzazione, adottando criteri che bilancino sicurezza e integrazione. L’Italia non può continuare a gestire l’immigrazione con norme rigide e punitive, ma deve adottare un modello razionale e sostenibile, che premi chi si integra e garantisca regole certe per chi non rispetta le condizioni di permanenza. La ReImmigrazione non deve essere un’esclusione pregiudiziale, ma un principio regolatore per chi non si integra, senza penalizzare chi contribuisce attivamente alla società.

Avv. Fabio Loscerbo
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venerdì 28 febbraio 2025

L'Integrazione come Paradigma: La Visione di un Nuovo Modello di Immigrazione

 L'Integrazione come Paradigma: La Visione di un Nuovo Modello di Immigrazione

Avv. Fabio Loscerbo

Negli ultimi anni, il dibattito sull'immigrazione in Italia si è spesso polarizzato tra posizioni estremiste, che oscillano tra un'accoglienza indiscriminata e una chiusura totale. Tuttavia, la realtà richiede un approccio più strutturato e realistico, che tenga conto sia delle esigenze dello Stato che dei diritti e doveri dei migranti. La mia visione in materia di immigrazione si basa su un principio chiaro: l'integrazione deve diventare il nuovo paradigma per affrontare il fenomeno migratorio.

L’Integrazione Non è un'Opzione, ma un Dovere

L'integrazione non può essere considerata una scelta personale del migrante, ma un vero e proprio obbligo per chi decide di vivere in Italia. Il diritto di rimanere nel nostro Paese non può essere fondato esclusivamente sulla presenza di un contratto di lavoro, ma deve essere il risultato di un percorso di inclusione sociale basato su tre pilastri fondamentali:

  1. Lavoro: Il migrante deve dimostrare la volontà e la capacità di contribuire economicamente alla società, attraverso un impiego regolare o un percorso formativo finalizzato all'inserimento lavorativo.
  2. Conoscenza della Lingua: La padronanza dell'italiano è essenziale per una reale partecipazione alla vita sociale e lavorativa. Un immigrato che non conosce la lingua del Paese in cui vive rimane inevitabilmente ai margini della società.
  3. Rispetto delle Regole: La permanenza in Italia deve essere subordinata al rispetto delle leggi, del sistema giuridico e dei valori costituzionali. Chi non si conforma alle norme di convivenza civile non può pretendere di restare sul territorio nazionale.

ReImmigrazione: Chi Non si Integra Deve Tornare nel Paese di Origine

Se l'integrazione è il criterio fondamentale per l'immigrazione, ne consegue che chi non si integra deve tornare nel proprio Paese di origine. Questo principio, che possiamo definire ReImmigrazione, si basa sull'idea che l'Italia non può permettersi di mantenere situazioni di precarietà cronica o sacche di marginalità sociale che alimentano tensioni e illegalità.

Non si tratta di una politica di espulsione indiscriminata, ma di un meccanismo che incentiva i migranti a impegnarsi attivamente nel loro processo di inclusione. Se, dopo un periodo ragionevole, un individuo non ha dimostrato un serio impegno nel percorso di integrazione, il rimpatrio diventa una scelta logica e necessaria.

L’Errore della Politica Attuale: Il Legame Esclusivo tra Lavoro e Soggiorno

Uno degli errori più grandi delle attuali politiche migratorie è quello di vincolare il diritto a rimanere in Italia esclusivamente alla presenza di un impiego. Questo approccio, oltre a essere insufficiente, rischia di creare gravi distorsioni nel mercato del lavoro, incentivando sfruttamento e precarietà.

Un modello più equo e funzionale dovrebbe considerare il grado complessivo di integrazione del migrante, valutando non solo la sua posizione lavorativa, ma anche il suo coinvolgimento nella comunità, l’apprendimento della lingua e il rispetto delle regole.

Verso un Sistema Basato su Diritti e Doveri Reciproci

L'integrazione deve essere un processo bilaterale: lo Stato deve garantire strumenti efficaci per favorire l’inclusione (corsi di lingua, formazione professionale, accesso alla legalità), ma il migrante deve dimostrare di voler realmente far parte della società italiana.

Questa visione permette di superare la contrapposizione tra accoglienza passiva e respingimento indiscriminato, ponendo al centro un modello sostenibile e giuridicamente solido, che tutela sia i cittadini italiani che i migranti stessi.

Solo adottando una politica migratoria basata su integrazione, responsabilità e reciprocità, potremo costruire una società più equa, sicura e rispettosa dei diritti di tutti.

L'Integrazione come Fondamento del Diritto: La Sentenza del Tribunale di Bologna R.G. 3260/2024

 L'Integrazione come Fondamento del Diritto: La Sentenza del Tribunale di Bologna R.G. 3260/2024

Avv. Fabio Loscerbo

La recente sentenza del Tribunale di Bologna (R.G. 3260/2024) segna un passo significativo nella giurisprudenza in materia di protezione speciale. Il provvedimento riconosce il diritto al rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale a un cittadino straniero, valorizzando il percorso di integrazione sociale e lavorativa in Italia come elemento determinante.

L'Integrazione come Pilastro della Protezione Speciale

Il Tribunale ha ribadito un principio fondamentale: l'integrazione deve essere il nuovo paradigma per l'immigrazione. Il diritto di rimanere in Italia non può essere legato esclusivamente alla presenza di un contratto di lavoro, ma deve basarsi su tre pilastri essenziali: lavoro, conoscenza della lingua e rispetto delle regole. Questo approccio supera la logica emergenziale e introduce una visione strutturata del fenomeno migratorio, in cui la permanenza sul territorio nazionale è strettamente connessa alla capacità del cittadino straniero di inserirsi attivamente nel tessuto sociale.

Il Caso e la Decisione del Tribunale

Il ricorrente, presente in Italia dal 2020, si è visto negare il rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale da parte della Questura di Ravenna, la quale aveva motivato il diniego evidenziando l'assenza di una documentazione sufficiente a dimostrare un percorso di integrazione adeguato. Tuttavia, il Tribunale, dopo aver analizzato il caso, ha ritenuto che il richiedente avesse sviluppato un significativo radicamento in Italia, comprovato da:

  • Attività lavorativa regolare e una progressiva autonomia economica, con stipendi documentati e contributi previdenziali versati.
  • Buona conoscenza della lingua italiana, confermata dall’ottenimento della certificazione B1 e dalla partecipazione a corsi scolastici.
  • Una rete di relazioni sociali e affettive consolidate nel territorio italiano, in cui il ricorrente ha sviluppato una vita privata riconosciuta dalle norme della CEDU.

Il Principio di ReImmigrazione e la Necessità di Regole Chiare

Il Tribunale ha quindi applicato i principi stabiliti dalla Corte di Cassazione e dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, riconoscendo che il respingimento del richiedente avrebbe comportato una violazione del diritto alla vita privata e familiare, come tutelato dall'art. 8 CEDU e dall'art. 19 TUI. Questo conferma l'importanza di una valutazione complessiva dell'integrazione, che non può limitarsi a parametri formali, ma deve considerare il percorso di inserimento reale del migrante.

D’altro canto, l’integrazione non può essere vista come un’opzione, ma come un preciso obbligo per chi sceglie di stabilirsi in Italia. Chi non rispetta le regole e non intraprende un percorso di integrazione deve essere soggetto al principio della ReImmigrazione, ovvero il ritorno nel paese di origine per chi non dimostra di voler aderire ai valori della società italiana.

Verso una Nuova Politica Migratoria

La sentenza del Tribunale di Bologna rappresenta un modello per la gestione dell’immigrazione, che deve fondarsi su criteri oggettivi di integrazione e non su valutazioni discrezionali prive di fondamento. Il riconoscimento della protezione speciale non deve essere un automatismo, ma nemmeno può essere negato a chi dimostra di aver avviato un reale percorso di inclusione.

L'integrazione deve essere il criterio guida delle politiche migratorie: chi lavora, impara la lingua e rispetta le regole deve avere il diritto di restare. Al contrario, chi non si integra deve essere rimpatriato, evitando il mantenimento di situazioni di precarietà che danneggiano sia i migranti sia la società ospitante.

Questa sentenza conferma che l'Italia ha gli strumenti giuridici per premiare chi si integra e per garantire che la protezione sia concessa solo a chi realmente contribuisce alla comunità. Un passo avanti verso una gestione dell’immigrazione più equa, basata su diritti e doveri chiari e reciproci.

Sentenza del Tribunale di Bologna N. R.G. 32343193 del 15/02/2025: L'Integrazione come Nuovo Paradigma per l'Approccio all'Immigrazione

 Sentenza del Tribunale di Bologna N. R.G. 32343193 del 15/02/2025: L'Integrazione come Nuovo Paradigma per l'Approccio all'Immigrazione

Avv. Fabio Loscerbo

L'immigrazione non è solo una questione di gestione dei flussi e di regolamentazione amministrativa, ma un fenomeno complesso che richiede una prospettiva più ampia e strutturata. La recente sentenza del Tribunale di Bologna offre uno spunto di riflessione cruciale su come il concetto di integrazione stia assumendo un ruolo sempre più centrale nel dibattito giuridico e politico.

Dalla Protezione alla Stabilità Sociale: Il Caso Giuridico

Il Tribunale di Bologna, con la sua decisione, ha riconosciuto il diritto alla protezione speciale a una cittadina straniera, evidenziando come il suo inserimento sociale e lavorativo in Italia rappresentasse un elemento determinante ai fini della concessione del permesso di soggiorno. La pronuncia conferma l'orientamento della giurisprudenza italiana ed europea secondo cui il grado di integrazione del richiedente non può essere trascurato nella valutazione della sua posizione giuridica.

La richiedente, presente in Italia da oltre due anni, aveva intrapreso un percorso di crescita e stabilizzazione nel tessuto sociale italiano, lavorando in regola, costruendo relazioni significative e dimostrando un'effettiva autonomia abitativa. Il Tribunale ha sottolineato come l'integrazione economica e sociale sia un fattore determinante per il riconoscimento della protezione speciale, in linea con l'art. 19 del D.Lgs. 286/1998 e con la giurisprudenza della Corte di Cassazione, che ha affermato la necessità di valutare la vita privata e familiare del richiedente nel contesto dell'art. 8 CEDU.

Un Nuovo Modello di Valutazione: L’Integrazione come Criterio Prioritario

La sentenza segna un punto di svolta nell'approccio all'immigrazione, mettendo in evidenza che l'integrazione non è solo un'opzione, ma un diritto che deve essere tutelato. L'idea di protezione non può limitarsi esclusivamente alla presenza di pericoli oggettivi nel Paese d'origine, ma deve estendersi anche al rischio concreto di uno "sradicamento forzato" dal contesto in cui il richiedente ha costruito la propria esistenza.

L'ordinamento italiano, alla luce della riforma del 2020 e della più recente legislazione del 2023, ha progressivamente consolidato il principio secondo cui l'integrazione sociale ed economica rappresenta un elemento chiave nella concessione della protezione speciale. Il Tribunale ha espressamente riconosciuto che la perdita del lavoro, della rete sociale e della stabilità acquisita costituirebbe una grave lesione dei diritti fondamentali del richiedente, violando l'art. 8 della CEDU e gli obblighi costituzionali italiani.

Dalla Sentenza alla Politica: Un Modello da Seguire

L’integrazione deve essere concepita non solo come un parametro valutativo nei procedimenti giudiziari, ma come un obiettivo politico e amministrativo. Questo significa:

  • Migliorare l’accesso alla formazione e all’occupazione per i migranti per favorire una reale inclusione nel mercato del lavoro;
  • Promuovere politiche abitative e di sostegno sociale che consentano ai migranti di vivere in autonomia e sicurezza;
  • Adottare un approccio pragmatico alla protezione internazionale e speciale, evitando che la burocrazia si trasformi in un ostacolo insormontabile alla stabilizzazione delle persone già integrate.

Questa sentenza, dunque, non è solo una decisione favorevole a un singolo individuo, ma rappresenta un tassello fondamentale per la costruzione di una visione più moderna e inclusiva del fenomeno migratorio, in cui il riconoscimento della protezione non sia più un’eccezione concessa con riluttanza, ma un elemento strutturale della società.

Conclusione

L’integrazione non è un lusso, ma una necessità giuridica e sociale. La sentenza del Tribunale di Bologna dimostra che la stabilizzazione dei migranti attraverso il riconoscimento del loro radicamento sociale è un principio che deve guidare le scelte normative e amministrative. Il diritto alla protezione non può essere interpretato in modo restrittivo, ma deve essere letto in funzione della dignità della persona, della sua capacità di costruire una nuova vita e del contributo che essa può offrire alla comunità di accoglienza.

L’integrazione deve diventare il nuovo paradigma dell’immigrazione, per una società più equa, sicura e rispettosa dei diritti di tutti.

giovedì 27 febbraio 2025


 

Il diritto alla protezione complementare e l'obbligo della Questura: analisi di una recente ordinanza del Tribunale di Bologna

 Il diritto alla protezione complementare e l'obbligo della Questura: analisi di una recente ordinanza del Tribunale di Bologna

Introduzione La protezione complementare costituisce un elemento centrale del sistema di tutela dei richiedenti asilo in Italia, ma la sua concreta applicazione è spesso ostacolata da prassi amministrative che ne limitano l'accessibilità. In tale contesto si inserisce l'ordinanza del Tribunale di Bologna (N.R.G. 1199/2025), che ha ribadito l'obbligo della Questura di ricevere le istanze di protezione complementare e di avviare il relativo procedimento amministrativo.

Il caso sottoposto al giudizio Il ricorrente aveva presentato istanza di protezione complementare presso la Questura di Forlì il 18 novembre 2024. A seguito dell’inerzia dell’Amministrazione, il richiedente ha inoltrato due solleciti (13 e 20 gennaio 2025) senza ricevere alcun riscontro. In ragione di ciò, ha promosso ricorso d’urgenza ai sensi dell’art. 700 c.p.c. al fine di ottenere la fissazione di un appuntamento e il rilascio del permesso di soggiorno provvisorio.

La posizione del ricorrente e il quadro normativo Il ricorrente ha invocato il diritto alla protezione complementare, richiamando la Direttiva 2013/32/UE, recepita nell’ordinamento italiano dal D.Lgs. 25/2008, e l’art. 18 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, che garantisce il diritto di asilo. Inoltre, ha fatto riferimento alla pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (C-808/18), che impone agli Stati membri di garantire l’accesso effettivo alla procedura di protezione.

La decisione del Tribunale Il Tribunale di Bologna ha accolto la domanda cautelare, riconoscendo la sussistenza sia del fumus boni iuris, ossia la fondatezza giuridica della pretesa, sia del periculum in mora, ovvero il rischio concreto per il ricorrente di subire un pregiudizio irreparabile in caso di ulteriore ritardo nella formalizzazione della domanda.

Il Giudice ha ritenuto che:

  1. L’inazione della Questura costituisce una violazione del diritto di accesso alla protezione internazionale e complementare, così come garantito dalla normativa nazionale ed europea.
  2. La mancata calendarizzazione di un appuntamento per la formalizzazione della domanda di protezione complementare configura un’illegittima preclusione all’esercizio di un diritto fondamentale.
  3. La disciplina introdotta dalla L. 50/2023 impone che le istanze di protezione complementare siano trattate nell’ambito della procedura per la protezione internazionale, garantendo l’accesso alla Questura per la loro formalizzazione.

Le implicazioni della pronuncia L’ordinanza stabilisce un principio di grande rilievo: la Questura non può ostacolare l’accesso alla procedura di protezione complementare mediante il proprio silenzio amministrativo. Il diritto di presentare domanda deve essere garantito attraverso la fissazione di un appuntamento e il rilascio di una ricevuta di permesso di soggiorno provvisorio.

Il Tribunale ha ordinato alla Questura di Forlì di:

  • ricevere l’istanza di protezione complementare secondo la procedura di protezione internazionale;
  • rilasciare la ricevuta di permesso di soggiorno provvisorio;
  • in alternativa, fissare un appuntamento entro 15 giorni, rilasciando un’attestazione di pendenza della procedura.

Conclusione Questa ordinanza del Tribunale di Bologna rappresenta un ulteriore passo avanti nella tutela del diritto alla protezione complementare, riaffermando il principio secondo cui l’Amministrazione è obbligata a garantire l’accesso effettivo alla procedura e non può frapporre ostacoli arbitrari alla formalizzazione delle istanze. Il provvedimento offre un importante riferimento per chi si trovi in situazioni analoghe e consolida l’orientamento giurisprudenziale volto a tutelare il diritto d’asilo e la protezione internazionale.

Avv. Fabio Loscerbo

sabato 15 febbraio 2025

Conversione del permesso di soggiorno per cure mediche in permesso di lavoro: due ordinanze chiariscono i limiti normativi

 

Conversione del permesso di soggiorno per cure mediche in permesso di lavoro: due ordinanze chiariscono i limiti normativi

Avv. Fabio Loscerbo
Lobbista in materia di Migrazione e Asilo registrato presso il Registro per la Trasparenza dell'Unione Europea – ID: 280782895721-36

Recenti provvedimenti del Consiglio di Stato e del Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) del Veneto hanno affrontato il delicato tema della conversione del permesso di soggiorno per cure mediche in permesso di soggiorno per motivi di lavoro, alla luce delle modifiche normative introdotte dal Decreto-Legge n. 20/2023.

Il quadro normativo di riferimento

Il Decreto-Legge n. 20 del 10 marzo 2023, convertito con modificazioni dalla Legge n. 50 del 5 maggio 2023, ha apportato significative modifiche al Testo Unico sull'Immigrazione (D.Lgs. n. 286/1998), eliminando la possibilità di convertire il permesso di soggiorno per cure mediche in permesso per lavoro. Tuttavia, l’articolo 7 del decreto ha introdotto una disciplina transitoria, consentendo la conversione solo per determinate tipologie di permessi già in corso di validità prima dell’entrata in vigore della riforma.

Le decisioni giurisprudenziali

Il TAR del Veneto, con ordinanza del 4 settembre 2024, ha esaminato il caso di un cittadino straniero a cui la Questura aveva negato la conversione del permesso di soggiorno per cure mediche in permesso per lavoro subordinato. Il giudice amministrativo ha confermato la legittimità del provvedimento, evidenziando che il Decreto-Legge n. 20/2023 ha eliminato questa possibilità e che la disciplina transitoria non si applica ai permessi per cure mediche.

Successivamente, il Consiglio di Stato, con ordinanza n. 3747 del 25 settembre 2024, ha confermato l’interpretazione del TAR Veneto, ribadendo che la normativa attuale non prevede alcuna conversione per i permessi di soggiorno per cure mediche, salvo che la richiesta sia stata presentata prima del 10 marzo 2023.

Implicazioni per i cittadini stranieri

Queste pronunce confermano un’interpretazione restrittiva della normativa, escludendo la possibilità di conversione per coloro che hanno ottenuto un permesso di soggiorno per cure mediche dopo l’entrata in vigore del Decreto-Legge n. 20/2023. Pertanto, per chi si trova in questa situazione, sarà necessario valutare altre opzioni per regolarizzare la propria posizione in Italia, come l’eventuale presentazione di una nuova istanza per protezione speciale o per altri motivi previsti dalla legge.

Si tratta di una questione di grande rilevanza pratica, che evidenzia ancora una volta la necessità di un'interpretazione chiara e coerente delle norme in materia di immigrazione, evitando incertezze che possano penalizzare i cittadini stranieri e le loro possibilità di integrazione socio-lavorativa.


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venerdì 14 febbraio 2025

Conversione del Permesso di Soggiorno da Lavoro Stagionale a Subordinato: Il TAR Emilia-Romagna (Sent. n. 71/2025 del 12 febbraio 2025) Conferma il Requisito delle 39 Giornate Prima della Domanda

 

Conversione del Permesso di Soggiorno da Lavoro Stagionale a Subordinato: Il TAR Emilia-Romagna (Sent. n. 71/2025 del 12 febbraio 2025) Conferma il Requisito delle 39 Giornate Prima della Domanda

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia-Romagna, con sentenza n. 71/2025 del 12 febbraio 2025, ha rigettato il ricorso proposto contro il diniego di conversione del permesso di soggiorno da lavoro stagionale a lavoro subordinato, ribadendo che il requisito delle 39 giornate lavorative deve essere maturato prima della presentazione della domanda di conversione.

Il Fulcro della Controversia: Quando Devono Essere Maturate le 39 Giornate?

L’amministrazione aveva negato la conversione del permesso di soggiorno al ricorrente, ritenendo che il numero minimo di 39 giornate lavorative non fosse stato raggiunto prima della presentazione della richiesta di conversione. Il ricorrente, invece, sosteneva che tale requisito potesse essere maturato anche successivamente alla domanda, purché la continuità lavorativa fosse garantita.

La Decisione del TAR: Un’Applicazione Rigorosa della Normativa

Il TAR, nel respingere il ricorso, ha confermato l’interpretazione adottata dall’amministrazione, affermando che:

  • Il lavoratore straniero che richiede la conversione del permesso di soggiorno da stagionale a subordinato deve dimostrare di aver già completato le 39 giornate di lavoro al momento della presentazione della domanda;
  • Non è possibile integrare il requisito in un momento successivo, anche se il rapporto di lavoro è ancora attivo e prosegue dopo la domanda;
  • La norma va interpretata in maniera rigida, senza lasciare margini di discrezionalità all’amministrazione nella valutazione della continuità del rapporto lavorativo.

Nel caso specifico, il ricorrente aveva svolto giornate di lavoro dal 15 marzo 2023 al 14 giugno 2023 e dal 5 luglio 2023 al 20 agosto 2023, mentre la domanda di conversione era stata presentata in data 27 marzo 2023. Pertanto, alla data di presentazione della richiesta, il requisito minimo non risultava ancora soddisfatto.

Le Conseguenze della Sentenza

La pronuncia del TAR Emilia-Romagna si inserisce in un quadro giurisprudenziale che applica un’interpretazione rigorosa dei requisiti previsti per la conversione del permesso di soggiorno. Tale impostazione può determinare effetti penalizzanti per i lavoratori stranieri, che potrebbero vedersi negata la possibilità di stabilizzarsi nel mercato del lavoro italiano per mere ragioni formali.

Questa decisione solleva criticità in relazione alla realtà del settore del lavoro stagionale, dove la durata effettiva del rapporto di lavoro può essere influenzata da fattori esterni, come le condizioni climatiche o le esigenze produttive delle aziende agricole. Inoltre, l’imposizione del requisito delle 39 giornate lavorative prima della domanda di conversione potrebbe ostacolare la regolarizzazione di molti lavoratori, anche quando vi sia una prospettiva concreta di continuità occupazionale.

Conclusione

La sentenza del TAR Emilia-Romagna evidenzia ancora una volta le difficoltà burocratiche che i lavoratori stranieri devono affrontare per ottenere la conversione del loro permesso di soggiorno. L’applicazione rigida e formalistica della normativa rischia di compromettere il percorso di integrazione di chi, pur avendo un’attività lavorativa in corso, non riesce a soddisfare un requisito temporale che potrebbe non dipendere dalla sua volontà.

Avv. Fabio Loscerbo
Lobbista in materia di Migrazione e Asilo registrato presso il Registro per la Trasparenza dell'Unione Europea – ID: 280782895721-36

lunedì 10 febbraio 2025

La Questura è obbligata a fissare l’appuntamento per la protezione complementare: nuova ordinanza del Tribunale di Venezia

 

La Questura è obbligata a fissare l’appuntamento per la protezione complementare: nuova ordinanza del Tribunale di Venezia

Introduzione

Una recente ordinanza del Tribunale di Venezia ha ribadito l'obbligo della Questura di fissare l’appuntamento per la formalizzazione della domanda di protezione complementare, riaffermando il diritto del richiedente ad accedere alla procedura amministrativa. La decisione rappresenta un importante precedente per coloro che si trovano in una situazione di stallo a causa dell'inerzia della Pubblica Amministrazione.

Il Caso

Il ricorrente aveva presentato una formale richiesta di protezione complementare presso la Questura competente, ma non aveva ricevuto alcuna risposta. Nonostante numerosi solleciti, l’Amministrazione non aveva fissato l’appuntamento necessario alla formalizzazione della domanda, lasciando il richiedente in una condizione di irregolarità amministrativa.

Di fronte a questo immobilismo, il richiedente ha deciso di adire le vie legali, proponendo un ricorso d’urgenza ai sensi dell’art. 700 c.p.c., volto a ottenere un ordine giudiziale per la fissazione dell’appuntamento e l’avvio della procedura amministrativa.

La Decisione del Tribunale

Il Tribunale di Venezia ha accolto parzialmente il ricorso, confermando che:

  1. L’inerzia della Questura viola il diritto del richiedente di accedere alla protezione complementare. Anche solo per rigettare la richiesta, l’Amministrazione ha il dovere di fissare un appuntamento e formalizzare la domanda.

  2. Il ritardo nell'avvio della procedura configura un pericolo concreto per il richiedente, che rimane esposto al rischio di irregolarità e possibile rimpatrio forzato senza aver potuto esercitare pienamente il proprio diritto alla protezione.

  3. L’ordine di fissazione dell’appuntamento è immediatamente esecutivo, e la Questura è tenuta a darne seguito senza ulteriori ritardi.

Tuttavia, il Giudice ha chiarito che la decisione sull'accoglimento o il rigetto della domanda di protezione complementare rimane di competenza dell'Amministrazione e non può essere anticipata in sede giudiziaria.

Implicazioni della Sentenza

Questa ordinanza conferma un orientamento sempre più consolidato nella giurisprudenza di merito: la Pubblica Amministrazione non può negare l’accesso alla protezione complementare attraverso il silenzio o l’inerzia procedurale. Se un richiedente ha manifestato la volontà di accedere alla protezione, la Questura è obbligata a procedere con l’istruttoria e a consentire la presentazione formale della domanda.

Inoltre, il provvedimento rafforza il concetto di tutela giurisdizionale nei confronti di prassi amministrative scorrette o dilatorie, permettendo ai richiedenti di ottenere giustizia in tempi più rapidi attraverso strumenti come il ricorso ex art. 700 c.p.c..

Conclusioni

Questa decisione rappresenta un significativo passo avanti nella tutela dei diritti dei richiedenti protezione complementare, confermando che il silenzio amministrativo non può tradursi in una negazione di fatto dei diritti fondamentali.

Per chi si trovasse in una situazione simile, è consigliabile agire tempestivamente per far valere i propri diritti, eventualmente con il supporto di un legale esperto in diritto dell'immigrazione.


Avv. Fabio Loscerbo
Lobbista in materia di Migrazione e Asilo registrato presso il Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea – ID: 280782895721-36

mercoledì 5 febbraio 2025

Il Permesso di Soggiorno per Cure Mediche: Una Tutela Fondamentale per il Diritto alla Salute

 

Il Permesso di Soggiorno per Cure Mediche: Una Tutela Fondamentale per il Diritto alla Salute

Il permesso di soggiorno per cure mediche rappresenta uno strumento essenziale nel garantire il diritto alla salute e all'unità familiare, soprattutto per quei nuclei che si trovano a fronteggiare gravi patologie. Il caso esaminato riguarda una famiglia residente in Italia, il cui membro più giovane è affetto da una malattia genetica rara e invalidante, la fibrosi cistica, che richiede cure continuative e la presenza costante dei genitori come assistenti primari.

Il Quadro Normativo di Riferimento

Il rilascio di questo tipo di permesso si fonda sull’art. 19, comma 2, lettera d-bis, del D.Lgs. 286/1998 (Testo Unico sull’Immigrazione), il quale vieta l’espulsione degli stranieri che necessitano di cure essenziali per la propria sopravvivenza o che assistono familiari in situazioni di grave vulnerabilità. Questo principio è ulteriormente rafforzato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 44/2022, che ha sancito il diritto del padre di un minore gravemente malato di ottenere un permesso per garantire il suo supporto.

Anche la giurisprudenza sovranazionale si pone a tutela di questi diritti:

  • Art. 8 della CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo): tutela la vita privata e familiare, imponendo agli Stati di garantire misure positive per l’unità familiare.
  • Convenzione sui Diritti del Fanciullo: riconosce il superiore interesse del minore e il diritto alla salute come diritti imprescindibili.
  • Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE: rafforza il diritto alla vita familiare e alla salute.

Il Caso Analizzato

Nel caso specifico, una minore affetta da fibrosi cistica, che richiede cure complesse e continuative, ha già ottenuto un permesso di soggiorno per cure mediche insieme alla madre. Tuttavia, il padre, nonostante il suo ruolo cruciale come assistente familiare, è privo di un titolo di soggiorno. Il mancato rilascio di un permesso in suo favore rappresenta una violazione grave dei principi sopra citati, mettendo a rischio sia la salute della minore sia l’unità del nucleo familiare.

L'Importanza del Ruolo Genitoriale

Le cure richieste da questa patologia comprendono:

  • Terapie farmacologiche e respiratorie giornaliere.
  • Supporto nutrizionale e monitoraggio continuo.
  • Assistenza durante ricoveri e visite mediche.

La presenza del genitore, in questo caso del padre, è fondamentale non solo per il supporto pratico ma anche per l’equilibrio psicologico del minore. L’assenza di un permesso per cure mediche per il padre crea una disparità nella tutela dei diritti della famiglia e ostacola il benessere del minore.

Le Richieste alla Pubblica Amministrazione

La famiglia ha richiesto alla Questura competente:

  1. Il rilascio di un permesso di soggiorno per cure mediche in favore del padre, che possa garantire la piena assistenza alla figlia malata.
  2. La fissazione di un appuntamento per attivare la procedura e la consegna della documentazione necessaria.
  3. L’adozione di una procedura semplificata per garantire un esito rapido, data la gravità della situazione.

Giurisprudenza a Sostegno

La recentissima ordinanza del Tribunale di Bologna (R.G. n. 11014/2021) ha ribadito l’obbligo delle Questure di ricevere e istruire le domande di permesso di soggiorno per cure mediche, censurando rifiuti informali o basati su meri formalismi. Il diritto alla salute, in tali casi, deve prevalere su ogni altro aspetto.

Conclusione

Questo caso sottolinea l’importanza di un approccio amministrativo che privilegi i diritti fondamentali della persona, in particolare del minore, e la necessità di garantire una tutela effettiva e non solo formale. La salute e il benessere della minore dipendono dalla possibilità che entrambi i genitori possano essere presenti e attivamente coinvolti nel percorso terapeutico.

L’auspicio è che le autorità competenti accolgano rapidamente la richiesta della famiglia, riconoscendo il diritto del padre al permesso di soggiorno per cure mediche, per tutelare l’integrità familiare e garantire una qualità di vita dignitosa alla minore.


Avv. Fabio Loscerbo
Lobbista in materia di Migrazione e Asilo registrato presso il Registro per la Trasparenza dell'Unione Europea – ID: 280782895721-36

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martedì 4 febbraio 2025

Il Tribunale di Cagliari Riconosce la Protezione Speciale: Un Caso di Rilevanza per il Diritto dell'Immigrazione

 

Il Tribunale di Cagliari Riconosce la Protezione Speciale: Un Caso di Rilevanza per il Diritto dell'Immigrazione

Autore: Avv. Fabio Loscerbo
Lobbista in materia di Migrazione e Asilo
Registrato presso il Registro per la Trasparenza dell'Unione Europea – ID: 280782895721-36


Il Tribunale di Cagliari, con il decreto del 30 gennaio 2025 (R.G. 2296/2024), ha accolto il ricorso presentato da un cittadino tunisino contro il rigetto della sua domanda di protezione internazionale. Pur escludendo il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, il Tribunale ha ritenuto sussistenti i presupposti per il rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale, ai sensi dell’art. 19, commi 1.1 e 1.2, del D. Lgs. 286/1998, così come modificato dal D.L. n. 20/2023.

Motivazioni della Decisione

Il ricorrente aveva lasciato la Tunisia nel 2020, sbarcando in Italia dopo un viaggio via mare. Il diniego della protezione internazionale era motivato dall’assenza di elementi di persecuzione personale o rischio grave nel Paese d'origine, ma il Tribunale ha valorizzato l’integrazione sociale e lavorativa dell'interessato in Italia.

La decisione sottolinea che il richiedente:

  • Risiede in Italia da diversi anni,
  • Ha avuto esperienze lavorative documentate,
  • Ha dimostrato un effettivo inserimento nel tessuto sociale,
  • Sostiene economicamente la famiglia nel Paese d’origine.

Il Tribunale ha richiamato l’art. 8 della CEDU e l’art. 7 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, riconoscendo che un rimpatrio forzato avrebbe violato il diritto al rispetto della vita privata e familiare.

Implicazioni Giuridiche

Questa pronuncia si inserisce in un orientamento giurisprudenziale consolidato, che enfatizza l’importanza del radicamento sociale come criterio per il rilascio della protezione speciale. Il decreto impone alla Questura territorialmente competente di procedere al rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale, con l’obbligo di rispettare la decisione giudiziaria.

Questa sentenza rappresenta un ulteriore riconoscimento della centralità dell’integrazione sociale come elemento fondante della protezione speciale, rafforzando il diritto al soggiorno per coloro che hanno costruito un legame stabile con l’Italia.


Avv. Fabio Loscerbo
Lobbista in materia di Migrazione e Asilo
Registrato presso il Registro per la Trasparenza dell'Unione Europea – ID: 280782895721-36

sabato 1 febbraio 2025

Diritto dell’Immigrazione e il Concetto di ReImmigrazione: Integrazione o Ritorno?

 Diritto dell’Immigrazione e il Concetto di ReImmigrazione: Integrazione o Ritorno?

Introduzione

Nel dibattito giuridico e sociale sull'immigrazione, il concetto di integrazione è spesso considerato il punto di arrivo di un percorso che inizia con l'ingresso del migrante nel Paese ospitante e si conclude con la sua piena partecipazione alla vita sociale, economica e culturale. Tuttavia, un fenomeno meno esplorato, ma in crescita, è quello della ReImmigrazione, intesa come il ritorno di un migrante nel Paese d'origine o in un terzo Stato dopo un periodo di integrazione nel Paese ospitante.

Integrazione: Un Obiettivo Giuridico e Sociale

L’integrazione degli stranieri è un obiettivo riconosciuto dal diritto dell’Unione Europea e dalle normative nazionali. Essa si fonda su pilastri quali:

  • Accesso al mercato del lavoro, spesso agevolato da permessi di soggiorno per motivi di lavoro o protezione;
  • Partecipazione sociale, attraverso il diritto all’istruzione, alla salute e alla sicurezza sociale;
  • Protezione giuridica, tramite strumenti come la protezione internazionale, speciale o complementare.

Tuttavia, l'integrazione non è sempre un processo lineare e irreversibile. Alcuni migranti, dopo aver raggiunto un buon livello di stabilità, decidono di lasciare il Paese ospitante per varie ragioni, dando vita al fenomeno della ReImmigrazione.

Il Concetto di ReImmigrazione

Con ReImmigrazione si intende il ritorno volontario o indotto di un migrante in un altro contesto migratorio dopo un periodo di stabilità in un Paese. Questo concetto si distingue dal semplice rimpatrio, che spesso avviene per cause di forza maggiore (dinieghi di protezione, espulsioni, difficoltà economiche), e si caratterizza per un elemento di scelta e pianificazione.

I motivi alla base della ReImmigrazione possono essere:

  • Aspettative non soddisfatte: il migrante, pur integrato, può non trovare nel Paese di accoglienza le opportunità sperate e decide di cercarle altrove.
  • Riconoscimento giuridico limitato: restrizioni nei rinnovi dei permessi di soggiorno o difficoltà burocratiche spingono molti a spostarsi in Stati con normative più favorevoli.
  • Legami con il Paese d’origine: il miglioramento delle condizioni economiche o politiche del Paese natale può indurre il migrante a rientrare e contribuire allo sviluppo locale con le competenze acquisite.
  • Mobilità intra-UE: molti migranti stabiliti in un Paese europeo scelgono di trasferirsi in un altro Stato membro, sfruttando il riconoscimento della protezione internazionale o del permesso di soggiorno.

ReImmigrazione e Diritto dell’Immigrazione

Il diritto dell’immigrazione deve evolversi per rispondere a queste nuove dinamiche. Alcune misure che potrebbero agevolare una ReImmigrazione consapevole e tutelata includono:

  1. Programmi di Rientro Assistito: garantire che i migranti che scelgono di lasciare il Paese possano farlo con adeguato supporto, evitando situazioni di precarietà.
  2. Mobilità intra-UE per migranti regolari: agevolare il riconoscimento di titoli di soggiorno tra Stati membri, evitando che chi ha già un’integrazione avviata debba ripartire da zero.
  3. Diritto al Rientro: prevedere meccanismi che consentano ai migranti di poter tornare nel Paese ospitante, qualora lo desiderino, senza perdere i diritti acquisiti.

Conclusione

La ReImmigrazione sfida l’idea tradizionale di immigrazione come percorso a senso unico. I legislatori e i giuristi devono tenerne conto nella costruzione di un diritto dell’immigrazione più dinamico, che riconosca la mobilità come un elemento positivo e non come una perdita. L’integrazione, infatti, non dovrebbe essere vista solo come un processo definitivo, ma anche come un capitale di esperienze e competenze che può essere speso in diversi contesti, garantendo sia la libertà individuale del migrante che il beneficio per le società coinvolte.


Avv. Fabio Loscerbo
Lobbista in materia di Migrazione e Asilo registrato presso il Registro per la Trasparenza dell'Unione Europea – ID: 280782895721-36