domenica 25 maggio 2025

Segnalazione SIS e limiti alla conversione del permesso: la protezione resta possibile, il lavoro no – Nota a TAR Lazio, Sez. I Ter, sent. n. 9087/2025, RG n. 1274/2022, del 12 maggio 2025

 

Segnalazione SIS e limiti alla conversione del permesso: la protezione resta possibile, il lavoro no – Nota a TAR Lazio, Sez. I Ter, sent. n. 9087/2025, RG n. 1274/2022, del 12 maggio 2025

Avv. Fabio Loscerbo – Avvocato in diritto dell’immigrazione


1. Introduzione

Con la sentenza n. 9087/2025 del 12 maggio 2025, il TAR Lazio (Sezione Prima Ter) affronta un punto centrale in materia di soggiorno degli stranieri: gli effetti delle segnalazioni nel Sistema d’Informazione Schengen (SIS II) nei procedimenti di conversione del permesso di soggiorno.

Il Collegio chiarisce che la presenza di una segnalazione di inammissibilità nello spazio Schengen non osta al rilascio o rinnovo di permessi di soggiorno di natura protettiva, ma costituisce invece un impedimento assoluto alla conversione in titoli per motivi lavorativi o comunque privi di contenuto “protettivo”, salvo rare eccezioni. Il caso concreto riguardava il diniego alla conversione di un permesso umanitario in permesso per motivi di lavoro subordinato.


2. Il caso

Il ricorrente, titolare di un precedente permesso per motivi umanitari, aveva richiesto la conversione in permesso per lavoro subordinato. La Questura di Roma rigettava l’istanza, richiamando una segnalazione inserita dalla Svizzera nel SIS II, qualificante il soggetto come non ammissibile nello spazio Schengen.

Il ricorso avverso tale provvedimento faceva leva sulla carenza di motivazione, sul mancato contraddittorio ex art. 10-bis L. 241/1990, sull’assenza di istruttoria e sul fatto che il diniego non aveva tenuto conto del percorso di integrazione lavorativa in Italia.


3. La decisione del TAR

Il TAR ha respinto il ricorso, evidenziando che:

  • La comunicazione ex art. 10-bis L. 241/1990 era stata effettuata e le osservazioni del ricorrente non avevano apportato elementi utili a superare la segnalazione;

  • La giurisprudenza è consolidata nel ritenere che la segnalazione per inammissibilità nel SIS II non preclude il rilascio di un permesso per protezione internazionale, sussidiaria, speciale o per motivi umanitari, ma esclude la possibilità di concedere o convertire un titolo per motivi ordinari (lavoro, studio, famiglia ecc.), in quanto incompatibile con lo status di persona non gradita nello spazio Schengen;

  • L’onere di dimostrare l’infondatezza o la cessazione della segnalazione grava sullo straniero. Nel caso di specie, il ricorrente si era limitato a dichiarare che il transito in Svizzera non era stato problematico, senza alcuna prova documentale o richiesta di revoca alle autorità elvetiche;

  • La posizione dell’Amministrazione italiana è vincolata dalla segnalazione straniera, salvo che intervenga una revoca formale o una deroga fondata su obblighi costituzionali o internazionali (es. protezione umanitaria o protezione contro l’espulsione verso Paesi a rischio).


4. Riflessioni conclusive

La sentenza in esame consente di distinguere nettamente tra il diritto alla protezione e la discrezionalità nei titoli “ordinari” di soggiorno: la presenza di una segnalazione nel SIS II non può ostacolare la concessione di una protezione, in quanto diritto soggettivo legato a vulnerabilità o obblighi convenzionali, ma rende invece giuridicamente impossibile la conversione in titoli privi di finalità protettiva, come ad esempio il permesso per lavoro subordinato.

L’impostazione del TAR Lazio si inserisce in una giurisprudenza che, pur riconoscendo il valore sovranazionale del sistema SIS, lascia aperto un margine di tutela nei casi in cui il soggiorno dello straniero risponda a obblighi umanitari o costituzionali.

Per gli operatori, si tratta di un precedente che conferma l’importanza di valutare la posizione giuridica del cliente alla luce delle segnalazioni Schengen, distinguendo accuratamente tra permessi a contenuto protettivo, ammissibili anche in presenza di segnalazione, e permessi ordinari, preclusi in via automatica.

Permesso di soggiorno per studio e tempestività della conversione: la rilevanza della motivazione amministrativa nella decisione del TAR Lazio (RG n. 4229/2025, sent. n. 9653/2025 del 20.05.2025)

 

Permesso di soggiorno per studio e tempestività della conversione: la rilevanza della motivazione amministrativa nella decisione del TAR Lazio (RG n. 4229/2025, sent. n. 9653/2025 del 20.05.2025)

Avv. Fabio Loscerbo – Avvocato in diritto dell’immigrazione


1. Introduzione

La sentenza in oggetto affronta con rigore il tema della legittimità del diniego di rinnovo di un permesso di soggiorno per motivi di studio e della sua possibile conversione, ponendo l'accento su due profili centrali: da un lato il difetto di motivazione e dall’altro la non ostatività della scadenza del titolo alla conversione, in presenza di tempestiva domanda.

Il TAR Lazio – Sezione Prima Ter – interviene per riaffermare alcuni principi basilari in materia di procedimenti amministrativi incidenti su diritti fondamentali, come il soggiorno legale e continuativo dello straniero regolarmente radicato in Italia.


2. I fatti di causa

Il ricorrente aveva impugnato il provvedimento del Questore di Viterbo e il successivo rigetto del ricorso gerarchico da parte del Prefetto, entrambi volti a negare il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di studio, in scadenza al 31 dicembre 2022.

L’amministrazione fondava il diniego su asserita mancanza dei requisiti economici e assicurativi, ritenendo peraltro preclusa la conversione in altro titolo a causa dell’intervenuta scadenza del permesso originario.


3. Le ragioni dell'accoglimento

Il TAR ha accolto il ricorso con sentenza semplificata ex art. 60 c.p.a., evidenziando vizi gravi e strutturali nel procedimento amministrativo.

Tra le principali censure accolte:

  1. Difetto di motivazione: i provvedimenti impugnati risultano fondati su affermazioni generiche, stereotipate e prive di specificazione circa l’asserita inidoneità della documentazione prodotta (reddito e copertura sanitaria), senza alcun confronto con l’effettivo contenuto degli atti presentati dal ricorrente;

  2. Mancata considerazione delle circostanze sopravvenute: l’amministrazione non ha tenuto conto né dei tempi di evasione dell’istanza, né dell’evoluzione documentale intervenuta in corso di procedimento;

  3. Incomprensibilità delle motivazioni: l’atto questorile contiene un passaggio (relativo alla “verifica del profilo”) privo di chiarezza, che non consente di comprendere le ragioni effettive del rifiuto;

  4. Illegittimità del diniego di conversione per intervenuta scadenza: il TAR ha ritenuto erronea e infondata l’affermazione secondo cui non sarebbe possibile la conversione del permesso per studio se scaduto. Tale posizione, secondo il Collegio, contrasta con la giurisprudenza consolidata (Consiglio di Stato n. 5604/2023; TAR Emilia-Romagna Bologna n. 69/2025; TAR Emilia-Romagna Parma n. 154/2016), secondo cui la mera scadenza non preclude la possibilità di conversione, specie in caso di rapporto temporale ragionevole tra scadenza e presentazione della nuova istanza.


4. Il dispositivo

In accoglimento del ricorso, il TAR:

  • ha annullato i provvedimenti impugnati;

  • ha salvato la possibilità di nuova valutazione da parte dell’Amministrazione, alla luce delle indicazioni contenute nella motivazione;

  • ha condannato il Ministero dell’Interno al pagamento delle spese di lite, quantificate in € 1.000 oltre accessori.


5. Considerazioni conclusive

La pronuncia del TAR Lazio ribadisce con chiarezza che la funzione amministrativa non può risolversi in formule standardizzate, soprattutto quando si incide sul diritto al soggiorno e sulla possibilità per lo straniero di stabilire un percorso di vita regolare e conforme alla legge.

La scadenza del permesso di soggiorno non è un ostacolo assoluto alla conversione, se la domanda è tempestiva e motivata, e tanto più se l’Amministrazione ha impiegato un tempo irragionevole per concludere il procedimento.

In definitiva, si tratta di una decisione che rafforza l’obbligo per la pubblica amministrazione di istruire, motivare e valutare concretamente le situazioni individuali, secondo criteri di buona fede e proporzionalità.

Assistenza a minori e soggiorno stabile: la convertibilità del permesso in titolo UE per lungo soggiornanti – Nota a TAR Campania, Sez. VI, sent. n. 766/2020 (RG n. 326/2020, pubbl. 17/02/2020)

 

Assistenza a minori e soggiorno stabile: la convertibilità del permesso in titolo UE per lungo soggiornanti – Nota a TAR Campania, Sez. VI, sent. n. 766/2020 (RG n. 326/2020, pubbl. 17/02/2020)

Avv. Fabio Loscerbo – Avvocato in diritto dell’immigrazione


1. Introduzione

La sentenza in oggetto affronta un tema di crescente rilevanza nella prassi amministrativa e giurisprudenziale: la possibilità di convertire un permesso di soggiorno per assistenza a minori in permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, alla luce del consolidamento del radicamento e del contributo economico del nucleo familiare.

Il TAR Campania – Sezione Sesta – si esprime su un decreto prefettizio che aveva negato la richiesta per presunta carenza reddituale, senza però svolgere una valutazione completa della condizione familiare e delle fonti di sostentamento disponibili nel nucleo convivente.


2. Il contesto fattuale

La ricorrente era titolare di un permesso di soggiorno per motivi umanitari connessi all’assistenza a minori. Successivamente, aveva presentato istanza di rilascio del permesso UE per soggiornanti di lungo periodo, ai sensi dell’art. 9 del T.U.I., istanza che veniva rigettata con riferimento a un presunto deficit reddituale per l’anno di riferimento.

Nel ricorso, si contestava l’omessa valutazione:

  • del reddito della madre convivente, elemento che – se considerato – avrebbe potuto colmare la soglia minima prevista dalla normativa;

  • delle circostanze sopravvenute, che avrebbero dovuto essere considerate in virtù dell’art. 5, comma 5, D.lgs. 286/1998.


3. Le valutazioni del TAR

Il Tribunale, con sentenza semplificata ex art. 60 c.p.a., ha accolto il ricorso, evidenziando carenza di motivazione e istruttoria.

Il giudizio di insufficienza reddituale, infatti:

  • non ha considerato la coabitazione con un familiare convivente titolare di reddito, potenzialmente valutabile ai fini del raggiungimento della soglia reddituale;

  • non ha tenuto conto degli sviluppi procedurali e delle condizioni economiche sopravvenute, come richiesto espressamente dalla legge.

Il TAR ha dunque annullato il decreto prefettizio, riservando all’amministrazione la facoltà di procedere a nuova valutazione nel rispetto delle indicazioni giurisprudenziali.


4. Rilievi giuridici

Il principio affermato nella decisione è chiaro: la presenza di un figlio minore assistito e la stabilità familiare possono costituire elementi di continuità e integrazione, rilevanti anche nella transizione da un titolo di soggiorno temporaneo o umanitario a un permesso di lungo periodo.

Inoltre, la sentenza ribadisce che il reddito familiare complessivo, anche se non prodotto personalmente dalla richiedente, deve essere valutato in ottica funzionale, in presenza di convivenza e corresponsabilità economica.


5. Conclusioni

La sentenza n. 766/2020 del TAR Campania rafforza un orientamento ormai consolidato: il diritto al soggiorno di lungo periodo deve essere interpretato in chiave evolutiva e costituzionalmente orientata, valorizzando il radicamento, l’assistenza familiare e il contributo complessivo del nucleo domestico.

La mancata valutazione del reddito della convivente, unita all’inerzia istruttoria sulle circostanze sopravvenute, integra un vizio sostanziale di illegittimità, che comporta l’annullamento dell’atto.


Ambasciate e ritardi: quando il diritto al ricongiungimento passa dal giudice Benvenuti a Diritto dell’Immigrazione. Oggi parliamo della sentenza RG 54653/2024 del Tribunale di Roma, pubblicata il 27 febbraio 2025. Il caso riguarda un cittadino straniero che, pur avendo ottenuto il nulla osta per far arrivare la moglie, non riusciva a ottenere un appuntamento presso l’ambasciata italiana ad Accra. Il Tribunale ha respinto la richiesta di rilascio del visto, ma ha accolto la domanda di fissazione dell’appuntamento consolare, affermando che l’amministrazione ha l’obbligo di attivarsi quando la richiesta è tempestiva e completa. Elemento centrale: è il luogo di residenza effettiva, non la cittadinanza, a determinare quale ambasciata è competente. In questo caso, la moglie risiedeva in Ghana: dunque era corretta la richiesta presso l’ambasciata di Accra. Una decisione importante che conferma un principio essenziale: l’unità familiare è un diritto, e la burocrazia non può svuotarlo. Grazie per l’ascolto. Ci sentiamo presto, sempre qui, su Diritto dell’Immigrazione. https://www.youtube.com/watch?v=Uhpuez2u_hs


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La mancata fissazione dell’appuntamento consolare quale lesione del diritto all’unità familiare: un'analisi della sentenza del Tribunale di Roma (RG n. 54653/2024, sent. 27 febbraio 2025)

 

La mancata fissazione dell’appuntamento consolare quale lesione del diritto all’unità familiare: un'analisi della sentenza del Tribunale di Roma (RG n. 54653/2024, sent. 27 febbraio 2025)

di Avv. Fabio Loscerbo

1. Premessa

La sentenza in commento affronta un nodo cruciale nella prassi delle rappresentanze diplomatico-consolari italiane in materia di rilascio del visto per ricongiungimento familiare: la mancata fissazione dell’appuntamento per la formalizzazione della domanda, nonostante la presenza di un nulla osta già rilasciato e in corso di validità. Il Tribunale, pur non riconoscendo il diritto immediato al rilascio del visto, accoglie parzialmente il ricorso ordinando la fissazione dell’appuntamento per la formalizzazione della domanda e la legalizzazione dei documenti, riaffermando la rilevanza dell’unità familiare nel sistema di tutela giurisdizionale.

2. Il contesto fattuale e processuale

Il ricorrente aveva ottenuto nel 2024 un nulla osta per ricongiungimento familiare in favore della moglie, cittadina del Benin ma residente in Ghana. Nonostante la tempestiva attivazione per prenotare l’appuntamento presso l’Ambasciata d’Italia ad Accra, ogni tentativo era risultato vano. La domanda di visto, benché formalmente cristallizzata, non aveva trovato seguito operativo. Dopo l’inoltro di una diffida e il successivo silenzio dell’Amministrazione, il ricorrente ha adito il Tribunale, formulando sia domanda cautelare che di merito.

Il punto critico si è incentrato sulla condotta dell’ambasciata, la quale, in sede di legalizzazione dei documenti, aveva eccepito un supposto difetto di competenza territoriale per via della cittadinanza beninese della richiedente, nonostante la stabile residenza in Ghana.

3. La decisione del Tribunale

Il Tribunale respinge sia la domanda cautelare sia la domanda principale di rilascio del visto. Viene infatti esclusa la sussistenza del periculum in mora, rilevando l’assenza di elementi personalizzati tali da differenziare la situazione del ricorrente rispetto a quella di altri soggetti in analoga posizione.

Tuttavia, la domanda relativa alla fissazione dell’appuntamento per la formalizzazione della richiesta e la legalizzazione dei documenti viene accolta. Il Tribunale riconosce la validità e la tempestività della richiesta di visto, sottolineando come la residenza effettiva della richiedente in Ghana – e non la cittadinanza – determini la competenza dell’Ambasciata ad Accra. È questo un punto dirimente, che corregge una prassi consolare arbitraria, priva di base normativa.

4. La portata giuridica della pronuncia

La pronuncia chiarisce due aspetti fondamentali:

  • La cristallizzazione della domanda di visto per ricongiungimento avviene con la richiesta tempestiva e documentata dell’interessato, anche in assenza di un appuntamento fissato;

  • Il luogo di residenza effettiva del familiare all’estero è il criterio determinante per la competenza territoriale della rappresentanza consolare, e non la cittadinanza del soggetto.

Si tratta di principi che, sebbene già presenti nel sistema normativo, faticano a trovare coerente applicazione nella prassi amministrativa. Il giudice chiarisce che la funzione consolare non può sottrarsi all’obbligo di dare seguito alla domanda di visto avanzata nei termini, non potendo fondare eccezioni su criteri non normativi.

5. Conclusioni

La sentenza RG n. 54653/2024 del Tribunale di Roma costituisce un precedente significativo per tutti i casi in cui la condotta omissiva delle rappresentanze consolari italiane impedisce di fatto l’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare. Sebbene il giudice non si sia spinto sino a ordinare il rilascio del visto (ritenendo non ancora compiuta la fase istruttoria amministrativa), ha tuttavia riconosciuto il diritto del richiedente alla fissazione di un appuntamento, primo atto necessario per l’avvio del procedimento amministrativo.

La pronuncia, quindi, si pone come uno strumento di tutela giurisdizionale efficace contro l’inerzia consolare, che rischia troppo spesso di tradursi in una lesione sistemica dei diritti fondamentali, primo fra tutti quello all’unità familiare sancito dagli artt. 29 e ss. del T.U. Immigrazione e dall’art. 8 CEDU.


domenica 18 maggio 2025

Ricongiungimento familiare: procedimento unitario, non spezzabile 🎧 TITOLO: Ricongiungimento familiare: procedimento unitario, non spezzabile 📎 Ordinanza Tribunale di Roma, R.G. n. 611/2025 – 7 aprile 2025 🎙️ CONTENUTO EPISODIO: Il Tribunale di Roma, con ordinanza del 7 aprile 2025, ha ribadito un principio fondamentale in tema di ricongiungimento familiare: il procedimento – articolato tra nulla osta rilasciato dallo Sportello Unico e visto consolare rilasciato dal Consolato – è unitario e progressivo. Questo significa che non può essere interrotto o spezzato arbitrariamente, soprattutto quando il nulla osta è già stato concesso e la documentazione è completa. Nel caso esaminato, riguardante figli minori, il giudice ha disposto il rilascio del visto provvisorio, riconoscendo il rischio di danno irreparabile legato alla lontananza familiare. 🎤 A cura dell’Avv. Fabio Loscerbo https://www.youtube.com/watch?v=rQt_wOWqzqE


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Ricongiungimento familiare: procedimento unitario, non spezzabile 🎧 TITOLO: Ricongiungimento familiare: procedimento unitario, non spezzabile 📎 Ordinanza Tribunale di Roma, R.G. n. 611/2025 – 7 aprile 2025 🎙️ CONTENUTO EPISODIO: Il Tribunale di Roma, con ordinanza del 7 aprile 2025, ha ribadito un principio fondamentale in tema di ricongiungimento familiare: il procedimento – articolato tra nulla osta rilasciato dallo Sportello Unico e visto consolare rilasciato dal Consolato – è unitario e progressivo. Questo significa che non può essere interrotto o spezzato arbitrariamente, soprattutto quando il nulla osta è già stato concesso e la documentazione è completa. Nel caso esaminato, riguardante figli minori, il giudice ha disposto il rilascio del visto provvisorio, riconoscendo il rischio di danno irreparabile legato alla lontananza familiare. 🎤 A cura dell’Avv. Fabio Loscerbo https://www.youtube.com/watch?v=rQt_wOWqzqE


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Il diritto al ricongiungimento familiare tra unità del procedimento e centralità del minore Nota a ordinanza del Tribunale di Roma, Sezione Immigrazione, 7 aprile 2025, R.G. n. 611/2025

 

Il diritto al ricongiungimento familiare tra unità del procedimento e centralità del minore

Nota a ordinanza del Tribunale di Roma, Sezione Immigrazione, 7 aprile 2025, R.G. n. 611/2025

Nel contesto delle numerose problematiche giuridiche legate al ricongiungimento familiare con cittadini stranieri residenti in Italia, l’ordinanza del Tribunale di Roma del 7 aprile 2025 (R.G. n. 611/2025) offre un’importante conferma circa il valore del diritto all’unità familiare e l’impostazione interpretativa che assume come parametro centrale l’interesse del minore.

La vicenda oggetto del provvedimento cautelare riguarda il diniego, da parte del Consolato italiano in Nigeria, dei visti per ricongiungimento familiare in favore di tre minori, nonostante fosse già intervenuto il rilascio del nulla osta da parte dello Sportello Unico per l’Immigrazione. La ricorrente aveva attivato tutte le procedure previste, incluse quelle per la verifica del DNA tramite l’IOM e la legalizzazione degli atti di nascita e dell’atto di morte del padre dei minori. Il rigetto amministrativo, comunicato mentre le istruttorie risultavano ancora formalmente aperte, ha condotto all’avvio del ricorso ex art. 700 c.p.c.

Il Tribunale ha accolto l’istanza cautelare, richiamando un orientamento consolidato della Cassazione secondo cui il procedimento di ricongiungimento è unitario e progressivo, articolato in una fase interna (rilascio del nulla osta) e una esterna (rilascio del visto consolare), che devono essere coordinate in modo coerente. La presenza del nulla osta – già favorevole – rende sproporzionato e lesivo il rigetto dei visti in assenza di motivazioni concrete e definitive.

In ordine al fumus boni iuris, il giudice ha ritenuto pienamente sufficiente la documentazione prodotta in giudizio, comprensiva di tutti gli elementi previsti dalla normativa vigente. Con riferimento al periculum in mora, il Tribunale ha ribadito come, in caso di minori, il decorso del tempo costituisca un danno irreparabile, richiamando sia precedenti giurisprudenziali dello stesso foro sia le principali fonti sovranazionali (Convenzione di New York del 1989, Convenzione europea sui diritti del fanciullo, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea).

L’ordinanza dispone quindi il rilascio immediato, seppur provvisorio, dei visti di ingresso, riaffermando implicitamente che l'interesse superiore del minore è un principio prevalente anche nei procedimenti amministrativi relativi all’immigrazione.

L’importanza della pronuncia va ben oltre il caso concreto, poiché ribadisce che l’azione consolare non può divenire un ostacolo alla tutela di un diritto soggettivo fondamentale quale l’unità familiare. Inoltre, essa richiama il dovere delle autorità amministrative di garantire coerenza tra le diverse fasi procedimentali e rispetto sostanziale della volontà normativa.

In conclusione, si tratta di un intervento giudiziario che contribuisce a colmare il frequente scollamento tra i principi dell’ordinamento e le prassi amministrative, rafforzando il ruolo della giurisdizione civile nella tutela dei diritti fondamentali delle persone straniere, in particolare quando vi siano minori coinvolti.


✍️ Avv. Fabio Loscerbo

Rigetto della Sospensiva in Materia di Conversione del Permesso di Soggiorno: Ordinanza TAR Emilia-Romagna, R.G. 492/2025 del 14 maggio 2025

 Rigetto della Sospensiva in Materia di Conversione del Permesso di Soggiorno: Ordinanza TAR Emilia-Romagna, R.G. 492/2025 del 14 maggio 2025


Abstract:
Con l’ordinanza n. 492/2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia-Romagna ha rigettato l’istanza cautelare proposta da un cittadino straniero avverso il provvedimento di revoca del nulla osta alla conversione del permesso di soggiorno da stagionale a subordinato. Nonostante la difesa avesse dedotto l’esistenza di fatti sopravvenuti e straordinari (in primis, gli eventi alluvionali del 2023 in Emilia-Romagna), il Collegio ha ritenuto prevalente la valutazione negativa sulla capacità reddituale del datore di lavoro.


1. Premessa
Il procedimento nasce dall'impugnazione, da parte del lavoratore straniero, di un provvedimento della Prefettura di Bologna con cui veniva revocato il nulla osta alla conversione del permesso di soggiorno per lavoro stagionale in subordinato, motivato dalla presunta insufficienza reddituale dell’impresa agricola datrice di lavoro.

L’istanza cautelare ex art. 55 c.p.a. mirava a ottenere la sospensione del provvedimento, evidenziando da un lato la fondatezza giuridica del ricorso (fumus boni iuris) e dall’altro l’urgenza e l’irreparabilità del pregiudizio (periculum in mora).


2. Il contesto fattuale e normativo
Nel caso di specie, la revoca del nulla osta è fondata sulla mancata dimostrazione del requisito reddituale minimo, pari a 30.000 euro annui, previsto dal combinato disposto dell’art. 30-bis, comma 8, del D.P.R. 394/1999 e del D.M. 27 maggio 2020.

La difesa ha contestato la rigidità di tale valutazione, rappresentando che la difficoltà economica era frutto di eventi alluvionali che avevano colpito l’azienda agricola del datore di lavoro, compromettendone temporaneamente la produttività. A corredo veniva depositata anche una relazione geologica a firma di tecnico abilitato, attestante i danni subiti.


3. Le argomentazioni dell’Amministrazione e l’ordinanza del TAR
La Prefettura, nonostante la memoria difensiva ex art. 10-bis L. 241/1990, ha confermato la revoca del nulla osta, ritenendo non superata l'insufficienza reddituale del datore di lavoro.

Il TAR ha condiviso tale impostazione, osservando che l’insussistenza del requisito reddituale non era stata sostanzialmente contestata nella sua esistenza oggettiva, e che i fattori dedotti a giustificazione (ripresa dell’attività e eventi meteorici) non erano idonei a invalidare tale carenza.

Di conseguenza, ha respinto la richiesta di sospensione cautelare, compensando le spese della fase cautelare per la particolarità della vicenda.


4. Riflessioni critiche
L’ordinanza merita un commento critico sotto il profilo della tenuta sistemica dell’impianto normativo in tema di immigrazione e lavoro. Il rigetto della sospensiva appare in controtendenza rispetto a un orientamento giurisprudenziale consolidato (v. TAR Emilia-Romagna, ord. n. 408/2023; TAR Lecce, ord. n. 83/2025), secondo cui non è conforme al principio di proporzionalità penalizzare il lavoratore per carenze imputabili al datore di lavoro, soprattutto se temporanee e derivanti da cause di forza maggiore.

Non va dimenticato che l'art. 22 T.U. Immigrazione consente la revoca del nulla osta in caso di successiva perdita dei requisiti, il che implica anche la possibilità di concederlo in via provvisoria quando l'attività sia effettivamente in corso, come nel caso di specie.

Inoltre, la non valutazione dell’intera documentazione difensiva, che includeva dati economici aggiornati e patrimonio immobiliare del datore di lavoro, potrebbe configurare un vizio di motivazione e difetto di istruttoria in sede di giudizio di merito.


5. Conclusioni
Il caso solleva importanti interrogativi sul ruolo del giudice amministrativo nella tutela del lavoratore straniero integrato, in presenza di rigidità amministrative che non tengono conto della realtà economica dinamica né delle contingenze straordinarie. La decisione cautelare non esaurisce il merito del giudizio, che potrà ancora ribaltare l’esito, ma lancia un monito sul rischio che l’approccio meramente formale possa minare la funzione costituzionale dell’integrazione lavorativa come strumento di coesione sociale.


Avv. Fabio Loscerbo

Il diritto al ritiro temporaneo del passaporto durante la procedura di asilo: nota a Tribunale di Bologna, ordinanza n. R.G. 1222/2025 del 7 marzo 2025

 Il diritto al ritiro temporaneo del passaporto durante la procedura di asilo: nota a Tribunale di Bologna, ordinanza n. R.G. 1222/2025 del 7 marzo 2025


Abstract:
Con l’ordinanza del 7 marzo 2025, il Tribunale di Bologna ha disposto la restituzione temporanea del passaporto a un richiedente protezione internazionale, pur in pendenza della procedura, al fine di consentirgli operazioni bancarie e il rinnovo del documento presso le autorità consolari. La decisione chiarisce il bilanciamento tra l’obbligo di consegna del passaporto ex art. 11 del D.lgs. 25/2008 e il diritto del richiedente ad avere accesso a strumenti essenziali di identificazione per esigenze concrete e documentate.


1. Introduzione
Il caso deciso dal Tribunale di Bologna concerne un aspetto operativo e delicato della procedura di protezione internazionale: la possibilità per il richiedente di rientrare temporaneamente in possesso del proprio passaporto, già consegnato alla Questura, in pendenza della domanda di asilo.


2. Il contesto normativo: art. 11 D.lgs. 25/2008
L’articolo 11, comma 1 del D.lgs. 25/2008 stabilisce l’obbligo per il richiedente asilo di consegnare il passaporto alle autorità competenti. Tale disposizione è finalizzata a garantire l’identificazione del soggetto e a impedire l’uso di documenti validi per espatriare durante la procedura. Tuttavia, non si configura come un divieto assoluto di utilizzo temporaneo del documento per finalità amministrative o personali non incompatibili con la procedura in corso.


3. Le esigenze del ricorrente
Nel caso in esame, il richiedente aveva documentato la necessità di utilizzare il passaporto — seppure scaduto — per due finalità legittime:

  • Chiudere una carta prepagata presso un istituto bancario che richiedeva un documento d’identità in originale e in corso di validità;

  • Rinnovare il passaporto presso il consolato del Paese d’origine, procedura che presuppone la consegna fisica del documento scaduto.


4. La motivazione del Tribunale
Il Tribunale ha ritenuto che l’obbligo di consegna non impedisca l’uso temporaneo del documento qualora esistano esigenze concrete e non abusive. In particolare, ha rilevato che il passaporto è indispensabile per il rinnovo stesso e che, una volta utilizzato per lo scopo dichiarato, il ricorrente ha l’obbligo di riconsegnarlo alla Questura.

La pronuncia sottolinea inoltre che tali necessità rientrano nei limiti del principio di collaborazione e buona fede che governa l’intera procedura di protezione internazionale.


5. Decisione finale e spese
Il Giudice ha accolto l’istanza cautelare e disposto la restituzione del passaporto, precisando che il nuovo documento — una volta ottenuto — dovrà essere riconsegnato alle autorità. Le spese di lite sono state compensate, considerata la particolarità della questione e l’assenza di una resistenza attiva da parte della Pubblica Amministrazione.


6. Conclusioni
Questa ordinanza si colloca all’interno di un orientamento giurisprudenziale volto a garantire un’interpretazione flessibile e proporzionata degli obblighi imposti al richiedente asilo. Essa riafferma che i diritti fondamentali e le esigenze pratiche della vita quotidiana — come l’identificazione presso terzi — devono trovare spazio anche all’interno del procedimento amministrativo di protezione, purché nel rispetto della legalità.


Avv. Fabio Loscerbo

Il diritto alla protezione speciale fondato sulla vita familiare: nota a Tribunale di Bologna, sentenza n. R.G. 8636/2023 del 16 aprile 2025

 Il diritto alla protezione speciale fondato sulla vita familiare: nota a Tribunale di Bologna, sentenza n. R.G. 8636/2023 del 16 aprile 2025

Abstract:
Il Tribunale di Bologna ha riconosciuto il diritto alla protezione speciale ex art. 19, comma 1.1, del Testo Unico Immigrazione, in applicazione della disciplina previgente al D.L. 20/2023, valorizzando il radicamento familiare e sociale della ricorrente, cittadina straniera madre e moglie convivente, priva di attività lavorativa ma inserita in un contesto familiare stabile e regolare. La sentenza si inserisce nel solco tracciato dalla giurisprudenza nazionale e della Corte EDU sul bilanciamento tra diritto alla vita privata e familiare e interesse statale all’allontanamento dello straniero.


1. Introduzione
La sentenza del Tribunale di Bologna (R.G. 8636/2023, depositata il 16 aprile 2025) affronta con lucidità il tema della protezione speciale nel quadro dell’art. 19 TUI (Testo Unico Immigrazione), nella formulazione anteriore alla riforma introdotta dal D.L. 20/2023, convertito nella L. 50/2023. La vicenda ruota attorno al rigetto del rinnovo del permesso di soggiorno per protezione speciale opposto da una cittadina straniera, madre di due figli minori e coniugata con un titolare di analogo permesso.


2. Il quadro normativo di riferimento
La disciplina applicabile ratione temporis è quella introdotta dal D.L. 130/2020. Essa prevede, accanto ai casi classici di rischio di tortura o trattamenti inumani, anche la tutela del diritto alla vita privata e familiare dello straniero, mutuata dall’art. 8 CEDU. È proprio su questa seconda ipotesi di protezione che si incentra la pronuncia in commento.


3. Le risultanze istruttorie
Dall’istruttoria emerge una situazione chiara: la ricorrente, pur non lavorando, è stabilmente inserita in Italia da oltre sei anni, si occupa dei figli minori e della gestione familiare, vive in un’abitazione regolare con contratto intestato al marito e partecipa in modo attivo alla vita scolastica dei figli. Il marito è titolare di un contratto di lavoro a tempo indeterminato e di un permesso di soggiorno per protezione speciale.


4. La motivazione del Tribunale
Il Tribunale ha escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sotto il profilo del rischio di persecuzione o trattamenti inumani, ma ha accolto il ricorso alla luce del diritto al rispetto della vita familiare.

Particolarmente rilevante è il richiamo alla giurisprudenza della Corte EDU, che ha progressivamente ampliato il concetto di “vita familiare”, includendo situazioni di fatto e valutando in concreto la proporzionalità dell’allontanamento rispetto ai legami familiari instaurati. Il Tribunale si richiama espressamente alla sentenza della Cassazione n. 7167/2024, che riconosce il diritto alla protezione speciale anche in assenza di integrazione lavorativa, qualora sussistano concreti legami familiari.


5. Considerazioni sulla valutazione del radicamento
La sentenza sottolinea come la protezione speciale non sia subordinata alla cumulatività dei requisiti di integrazione sociale e lavorativa, ma possa fondarsi su uno solo di essi. In questo caso, il radicamento familiare, comprovato da convivenza, cura dei figli, conoscenza della lingua e stabilità abitativa, risulta decisivo per impedire il rimpatrio.

Il Tribunale ha inoltre chiarito che i legami mantenuti nel Paese d’origine (con genitori e sorella) non assumono rilevanza preclusiva, in assenza di elementi di dipendenza tali da costituire ostacolo all’integrazione familiare in Italia, secondo i parametri tracciati dalla Corte EDU.


6. La disciplina transitoria e gli effetti del permesso
Infine, è stato ribadito che, in forza dell’art. 7, comma 2, del D.L. 20/2023, la domanda della ricorrente – essendo stata proposta in data anteriore all’entrata in vigore del decreto – deve essere esaminata secondo la disciplina previgente. Pertanto, il permesso da rilasciarsi ha durata biennale, è rinnovabile e convertibile in permesso di soggiorno per motivi di lavoro.


7. Conclusioni
La decisione si distingue per rigore giuridico e coerenza con l’evoluzione normativa e giurisprudenziale in tema di protezione speciale. Essa riafferma che il diritto al rispetto della vita familiare può costituire autonomamente causa di protezione, anche in assenza di altri indici di vulnerabilità, a condizione che vi sia un radicamento affettivo effettivo e dimostrato.

Si tratta di un principio destinato a incidere profondamente sulle valutazioni amministrative e giudiziali, imponendo un approccio casistico e rispettoso della dimensione relazionale del migrante, in linea con i vincoli internazionali assunti dall’Italia.


Avv. Fabio Loscerbo

sabato 10 maggio 2025

Revoca del permesso UE per soggiornanti di lungo periodo: esclusa la tutela dei legami familiari in caso di condanna per maltrattamenti e denuncia per stalking

 Revoca del permesso UE per soggiornanti di lungo periodo: esclusa la tutela dei legami familiari in caso di condanna per maltrattamenti e denuncia per stalking

In presenza di gravi condanne penali e denunce da parte dei familiari, il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo può legittimamente essere revocato, anche in presenza di un nucleo familiare residente in Italia. È quanto ribadito da una recente giurisprudenza amministrativa secondo cui la condanna per maltrattamenti in famiglia, associata a una denuncia per atti persecutori sporta dalla moglie e dai figli, è sufficiente a escludere l'invocabilità della tutela del diritto all’unità familiare.

Il permesso UE per lungo soggiornanti garantisce allo straniero una particolare stabilità, ma non è immune da revoca in caso di condotte che ledano l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato. In casi del genere, l’amministrazione è tenuta a effettuare un bilanciamento tra l’interesse pubblico alla revoca e gli interessi individuali del richiedente, tra cui i legami familiari. Tuttavia, quando il vincolo familiare stesso è fonte di pericolo o sofferenza per i suoi membri, tale bilanciamento risulta di fatto già compromesso.

Nel caso specifico, il richiedente aveva invocato la tutela del suo radicamento familiare, sostenendo la presenza stabile della moglie e dei figli sul territorio nazionale. Tuttavia, proprio gli stessi soggetti avevano richiesto l’intervento dell’autorità giudiziaria per violenze domestiche e atti persecutori, fatti culminati in una condanna definitiva. Ciò ha portato l’amministrazione a disporre la revoca del titolo, ritenendo prevalente la necessità di garantire la sicurezza delle vittime e dell’interesse pubblico alla prevenzione.

Questa linea interpretativa si colloca nel solco tracciato dalla Corte di Cassazione e dai Tribunali Amministrativi, secondo cui la tutela dei legami familiari non può essere invocata in modo strumentale da chi ha reso quel legame un veicolo di violenza.

Avv. Fabio Loscerbo

La tutela del radicamento del cittadino straniero e il rilascio della protezione speciale: commento alla sentenza del Tribunale di Bologna, R.G. 5453/2023, del 16 aprile 2025

 La tutela del radicamento del cittadino straniero e il rilascio della protezione speciale: commento alla sentenza del Tribunale di Bologna, R.G. 5453/2023, del 16 aprile 2025

Articolo a cura dell’Avv. Fabio Loscerbo

La sentenza emessa in data 16 aprile 2025 dal Tribunale di Bologna (R.G. 5453/2023) rappresenta un esempio puntuale di applicazione coerente della normativa sulla protezione speciale di cui all’art. 19 del Testo Unico Immigrazione, nella versione vigente antecedente al D.L. 20/2023, in relazione ad una fattispecie caratterizzata da una forte integrazione personale, lavorativa e familiare del ricorrente nel contesto italiano.

Il ricorrente, cittadino marocchino stabilitosi in Italia dal 2021, aveva impugnato il provvedimento della Questura di Bologna che rigettava l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per protezione speciale. Il rigetto era stato notificato dopo un lungo periodo di attesa, durante il quale il ricorrente aveva consolidato in maniera significativa il proprio percorso di integrazione nel territorio italiano.

Il Tribunale, nel riconoscere la fondatezza del ricorso, ha ricostruito il quadro di fatto e giuridico con rigore istruttorio. Dall’audizione personale del ricorrente è emersa la costanza di una vita autonoma, fondata su un contratto di lavoro a tempo indeterminato, una retribuzione stabile, l’apprendimento della lingua italiana e la partecipazione alla vita sociale attraverso attività sportive. Il collegio ha inoltre valorizzato la presenza di legami familiari stabili con il padre, la sorella e altri parenti conviventi, con i quali il ricorrente divideva le spese domestiche contribuendo anche al sostegno dei familiari rimasti in patria.

Sul piano giuridico, il Tribunale ha ribadito l’applicabilità della versione dell’art. 19, comma 1.1, TUI previgente al D.L. 20/2023, richiamando la giurisprudenza della Corte di Cassazione e della Corte EDU secondo cui il diritto alla vita privata e familiare – come declinato dall’art. 8 CEDU – impone un serio bilanciamento tra l’interesse pubblico all’allontanamento e quello individuale al mantenimento del radicamento acquisito.

L’esame del collegio ha messo in luce come l’attività lavorativa e la stabilità abitativa costituiscano elementi centrali del diritto alla vita privata, e che la perdita di tale stabilità avrebbe determinato una grave compromissione dei diritti fondamentali del ricorrente, in assenza di qualunque esigenza di sicurezza pubblica o sanitaria tale da giustificare l’espulsione.

In conclusione, la sentenza ha disposto il rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale con durata biennale, rinnovabile e convertibile in permesso per lavoro, applicando espressamente il regime giuridico antecedente al “Decreto Cutro”, e riconoscendo il diritto soggettivo del ricorrente alla permanenza sul territorio italiano.

Questo provvedimento si inserisce in un filone giurisprudenziale che, con crescente coerenza, riconosce come la protezione speciale non sia un’eccezione, ma uno strumento ordinario di tutela del principio personalista e solidaristico dell’ordinamento italiano, soprattutto quando è in gioco l’identità, la dignità e il percorso di vita di chi ha costruito in Italia il proprio futuro.

Avv. Fabio Loscerbo

sabato 3 maggio 2025

La tutela cautelare dell’integrazione sociale nella protezione speciale: decreto di sospensione – R.G. 4598-1/2025, Tribunale di Brescia, 29 aprile 2025

 

La tutela cautelare dell’integrazione sociale nella protezione speciale: decreto di sospensione – R.G. 4598-1/2025, Tribunale di Brescia, 29 aprile 2025


Con decreto del 29 aprile 2025, il Tribunale di Brescia ha sospeso l’efficacia esecutiva di un provvedimento di rigetto di domanda per protezione speciale, ravvisando l’esistenza del fumus boni iuris e del periculum in mora, alla luce della documentazione comprovante l’inserimento socio-lavorativo del ricorrente. Il caso ribadisce la centralità del principio di radicamento sociale ai fini della tutela cautelare del diritto al soggiorno.

La decisione del Tribunale Ordinario di Brescia – Sezione specializzata in materia d’immigrazione – con decreto cautelare emesso nel procedimento R.G. 4598-1/2025, offre un’importante conferma dell’orientamento giurisprudenziale che riconosce il valore protettivo dell’integrazione sociale nell’ambito della protezione speciale, anche in sede cautelare.

Il ricorrente, cittadino marocchino stabilitosi in Italia nel 2020, aveva presentato istanza di rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale ai sensi dell’art. 19 D.Lgs. 286/1998, corredata da documentazione volta a dimostrare un percorso effettivo di integrazione sociale, abitativa e lavorativa.

Tra gli elementi rilevanti prodotti in giudizio figuravano:

  • contratto di locazione regolarmente registrato e certificato di residenza;

  • contratto di lavoro a tempo indeterminato con la medesima impresa per cui aveva precedentemente lavorato a tempo determinato;

  • certificazione reddituale e previdenziale dimostrativa dell’autosufficienza economica.

Nonostante tali elementi, la Questura aveva rigettato l’istanza, decisione poi impugnata con richiesta contestuale di sospensione cautelare dell’efficacia esecutiva.

Il giudice ha ritenuto sussistenti i presupposti per la sospensione, evidenziando in particolare:

  • il fumus boni iuris, fondato sull’avvio e la prosecuzione di un rapporto lavorativo stabile a tempo indeterminato, nonché sulla documentazione che conferma l’integrazione del ricorrente nella realtà locale;

  • il periculum in mora, identificato nel concreto rischio di rimpatrio del ricorrente prima della definizione del giudizio di merito, con conseguente perdita del posto di lavoro e interruzione del processo di inserimento sociale.

Il provvedimento richiama gli artt. 19-ter e 5, comma 2, del D.Lgs. 150/2011, e si inserisce in un solco giurisprudenziale ormai consolidato che considera la permanenza stabile e l’integrazione socio-lavorativa come parametri rilevanti per la concessione di misure cautelari.

Il decreto cautelare emesso dal Tribunale di Brescia riafferma la funzione protettiva dell’art. 19, comma 1.1 del Testo Unico Immigrazione, in armonia con l’art. 8 della CEDU, riconoscendo tutela giurisdizionale immediata e concreta alla persona straniera che abbia stabilito un legame effettivo con il territorio nazionale. La decisione rafforza l’idea che l’integrazione costituisca non solo un fatto sociale, ma anche un valore giuridico idoneo a fondare pretese soggettive in sede cautelare e di merito.

Avv. Fabio Loscerbo

La tutela del radicamento come diritto soggettivo alla protezione speciale Tribunale di Bologna – Sentenza n. R.G. 12304/2023, emessa il 15 aprile 2025

 

La tutela del radicamento come diritto soggettivo alla protezione speciale

Tribunale di Bologna – Sentenza n. R.G. 12304/2023, emessa il 15 aprile 2025


Con la sentenza n. R.G. 12304/2023, il Tribunale di Bologna ha accolto il ricorso avverso il diniego di rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale, evidenziando la centralità del principio del radicamento sociale e affettivo del cittadino straniero come limite al potere di allontanamento dello Stato. Il Collegio ha ritenuto che l’espulsione avrebbe comportato una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare, ai sensi dell’art. 8 CEDU e dell’art. 19, co. 1.1, del T.U.I., nella formulazione previgente al D.L. 20/2023.



La sentenza in commento offre una puntuale e motivata ricostruzione del perimetro applicativo della protezione speciale nel sistema italiano, nella sua formulazione risultante dalla riforma introdotta con il D.L. 130/2020, convertito con L. 173/2020, e prima delle restrizioni introdotte dal c.d. Decreto Cutro. Il Tribunale ha riconosciuto il diritto soggettivo del ricorrente – cittadino tunisino giunto in Italia nel 2021 – ad ottenere un permesso di soggiorno per protezione speciale a fronte del rischio concreto di violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare in caso di rimpatrio.

La domanda, presentata il 2 agosto 2022, era stata rigettata dalla Questura di Bologna sulla base del parere negativo della Commissione territoriale. Tuttavia, il Collegio ha ritenuto fondate le doglianze del ricorrente, osservando che egli aveva instaurato un percorso di integrazione effettivo e duraturo: attività lavorativa documentata e regolarizzata, trasformazione del contratto in tempo indeterminato, autonomia abitativa, legami sociali e affettivi stabili, nonché un progressivo affievolimento dei legami con il Paese d’origine.

Particolare rilievo assume il riferimento all’art. 19, co. 1.1, TUI, che impone un bilanciamento tra il diritto dello straniero alla tutela della propria vita privata e familiare e le esigenze di sicurezza nazionale. In assenza di concrete e specifiche esigenze pubbliche ostative – che nel caso concreto non risultavano sussistere – il Tribunale ha affermato che l’allontanamento avrebbe comportato uno “sradicamento” incompatibile con la tutela dei diritti fondamentali dell’interessato.

La sentenza valorizza la giurisprudenza della Corte di Cassazione (in particolare Cass. SS.UU. n. 24413/2021) e della Corte EDU (in primis Narjis c. Italia), riconoscendo che il radicamento personale, professionale e sociale in Italia costituisce un limite all’espulsione e un fondamento autonomo della protezione speciale.

Da un punto di vista procedurale, è rilevante anche il passaggio in cui il Collegio accoglie l’istanza di rimessione in termini per il deposito del ricorso oltre il termine, riconoscendo la violazione dell’art. 13, co. 7, TUI per omessa traduzione del provvedimento impugnato in una lingua comprensibile al ricorrente.

Il Tribunale ha riconosciuto il diritto del ricorrente al rilascio di un permesso di soggiorno biennale per protezione speciale, rinnovabile e convertibile in permesso per motivi di lavoro. La sentenza si inserisce nel solco di un’interpretazione costituzionalmente orientata del diritto dell’immigrazione, in cui l’integrazione sociale assume valore giuridico e non solo fattuale. La tutela dei diritti umani fondamentali – in primis il diritto all’identità e alla dignità personale – viene dunque riaffermata come fondamento del sistema di accoglienza e di inclusione.

Avv. Fabio Loscerbo


La nozione di radicamento e il diritto al rispetto della vita privata e familiare nella protezione speciale – Tribunale di Firenze, Sentenza n. R.G. 61/2023 del 30 aprile 2025

 

La nozione di radicamento e il diritto al rispetto della vita privata e familiare nella protezione speciale – Tribunale di Firenze, Sentenza n. R.G. 61/2023 del 30 aprile 2025


Con la sentenza n. R.G. 61/2023 del 30 aprile 2025, il Tribunale di Firenze ha accolto il ricorso di un cittadino straniero cui era stata rigettata la domanda di protezione internazionale per manifesta infondatezza, riconoscendogli il diritto al rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale. La decisione si fonda sull’accertamento di un concreto radicamento socio-lavorativo in Italia e sulla conseguente applicazione dell’art. 19, comma 1.1, del Testo Unico Immigrazione, interpretato alla luce della giurisprudenza CEDU.

La pronuncia emessa dal Tribunale di Firenze il 30 aprile 2025, n. R.G. 61/2023, costituisce un esempio esemplare dell’evoluzione giurisprudenziale italiana in materia di protezione speciale, alla luce del diritto europeo e delle più recenti modifiche normative.

Nel caso esaminato, il ricorrente, cittadino marocchino, aveva inizialmente presentato domanda di protezione internazionale, rigettata in via amministrativa per manifesta infondatezza. In sede giudiziale, il ricorrente ha abbandonato la richiesta di status di rifugiato e protezione sussidiaria, insistendo per il solo riconoscimento della protezione speciale, allegando una documentazione comprovante un percorso di integrazione socio-lavorativa stabile e duraturo.

Il Tribunale, ritenendo ormai cristallizzate le valutazioni della Commissione in merito alla protezione internazionale, ha concentrato l’analisi sulla sussistenza dei presupposti per la protezione speciale, ai sensi dell’art. 19, comma 1.1, D.Lgs. 286/98, nella formulazione risultante dalla L. 173/2020. Tale norma prevede un divieto di espulsione o respingimento ogniqualvolta l’allontanamento possa comportare una violazione del diritto alla vita privata e familiare.

Significativo è l’uso, da parte del Collegio, della nozione di "radicamento sociale e familiare", utilizzata come parametro decisivo per la concessione della protezione. La decisione richiama esplicitamente la giurisprudenza della Corte EDU, in particolare il caso Narjis c. Italia, per affermare che anche in assenza di vincoli familiari tradizionali, la rete di relazioni sociali e lavorative costituisce espressione della vita privata protetta dall’art. 8 CEDU.

Nel caso concreto, il ricorrente aveva stipulato un contratto di apprendistato a tempo indeterminato, seguito corsi di lingua italiana e formazione professionale nel settore edilizio, e risultava pienamente inserito nel tessuto sociale fiorentino. Di contro, il rientro in patria non avrebbe garantito pari condizioni di inserimento, in quanto mancava ogni legame effettivo con la comunità d’origine.

Il Tribunale ha sottolineato come il bilanciamento richiesto dalla norma non si fondi su un confronto astratto tra ordinamenti, ma su un’analisi concreta della vulnerabilità derivante dalla perdita del proprio habitat relazionale in Italia.

La decisione si conclude con il riconoscimento della protezione speciale per due anni, con possibilità di conversione in permesso per motivi di lavoro, secondo la normativa vigente, e con la compensazione delle spese di lite in ragione della sopravvenienza delle circostanze emerse solo in giudizio.
Questa sentenza si inserisce nel solco di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 19, comma 1.1, TUI, valorizzando la centralità dell’integrazione e del radicamento personale quali elementi autonomi e rilevanti per la tutela dello straniero, anche al di fuori dei presupposti classici della protezione internazionale.

Avv. Fabio Loscerbo

domenica 27 aprile 2025

Regolarizzazione 2020: Il Consiglio di Stato valorizza la tutela sostanziale dello straniero

Regolarizzazione 2020: Il Consiglio di Stato valorizza la tutela sostanziale dello straniero

Due recenti e importanti pronunce del Consiglio di Stato contribuiscono a chiarire il corretto approccio alla regolarizzazione dei lavoratori stranieri prevista dall’art. 103 del D.L. n. 34/2020, convertito con modificazioni nella legge 17 luglio 2020, n. 77.

Si tratta di decisioni fondamentali che riaffermano un principio essenziale: quando l'irregolarità formale che ostacola la procedura non è imputabile allo straniero, ma deriva da carenze o omissioni imputabili al datore di lavoro o all'amministrazione, il lavoratore conserva il diritto ad ottenere un permesso di soggiorno.

Il primato dei presupposti sostanziali

Con la sentenza n. 3643 del 22 aprile 2024, il Consiglio di Stato ha affermato che il rigetto di una domanda di regolarizzazione, basato su meri profili formali non imputabili al lavoratore, senza un'adeguata verifica della sussistenza sostanziale dei requisiti, comporta una frustrazione irragionevole dell’interesse pubblico primario alla regolarizzazione dei lavoratori stranieri.

Il giudice amministrativo richiama il vincolo di ragionevolezza che deve guidare anche il legislatore nella disciplina della materia, sottolineando che:

  • la regolarizzazione persegue interessi pubblici essenziali, legati sia alla tutela dei diritti fondamentali sia alla funzionalità del mercato del lavoro e dell’economia;

  • lo straniero che ha dimostrato un inserimento sociale e lavorativo effettivo, in assenza di elementi di pericolosità sociale, non può essere penalizzato per irregolarità procedurali a lui non imputabili.

L'interpretazione funzionale e costituzionalmente orientata delle norme impone quindi che, in casi del genere, si riconosca comunque il diritto del lavoratore a vedere tutelata la propria posizione.

Il diritto al permesso per "attesa occupazione"

Una conseguenza pratica di questo orientamento è che, anche in presenza di irregolarità riferibili esclusivamente al datore di lavoro, il cittadino straniero mantiene il diritto a ottenere il permesso di soggiorno per attesa occupazione.
Si evita così che l'interesse legittimo protetto dall’ordinamento venga frustrato per motivi meramente formali.

La conferma: la sentenza n. 7757 del 24 settembre 2024

Con la sentenza n. 7757 del 24 settembre 2024, il Consiglio di Stato ha ribadito e rafforzato questi principi.

In particolare, ha affermato che non solo il datore di lavoro, ma anche il lavoratore straniero ha diritto a partecipare pienamente al procedimento amministrativo, ricevendo le necessarie comunicazioni di garanzia ex legge 241/1990.

La posizione del lavoratore è qualificata e differenziata, perché:

  • è coinvolto direttamente nella stipula del contratto di soggiorno;

  • è destinatario della richiesta di permesso di soggiorno subordinato alla procedura di emersione;

  • partecipa attivamente a tutto il procedimento, a partire dalla verifica di ammissibilità della domanda presso lo Sportello Unico.

Questa impostazione restituisce centralità alla persona straniera nel procedimento di regolarizzazione, in linea con i principi costituzionali di uguaglianza e tutela dei diritti fondamentali.


Conclusioni

Le sentenze del Consiglio di Stato rappresentano un importante passo avanti nel riconoscimento del ruolo e dei diritti dei lavoratori stranieri all'interno del procedimento di regolarizzazione del 2020.
Esse riaffermano che la tutela dei diritti fondamentali non può essere subordinata a formalismi procedurali e che l'amministrazione deve sempre operare in modo ragionevole, equo e funzionale agli interessi pubblici perseguiti dalla legge.

Il principio è chiaro: dove sussistono i presupposti sostanziali, il diritto dello straniero deve essere riconosciuto.


Avv. Fabio Loscerbo
Email: avv.loscerbo@gmail.com
PEC: avv.loscerbo@ordineavvocatibopec.it
Telefono: +39 334 1675274
Sito ufficiale: www.avvocatofabioloscerbo.it



Ho pubblicato il mio nuovo libro: "La Protezione Complementare: Giurisprudenza Anno 2024"

 

Ho pubblicato il mio nuovo libro: "La Protezione Complementare: Giurisprudenza Anno 2024"

Negli ultimi anni, la protezione complementare è diventata uno degli strumenti più importanti nella tutela dei diritti fondamentali dei cittadini stranieri.
Come avvocato da sempre impegnato nella difesa dei richiedenti protezione, ho sentito l’esigenza di raccogliere e analizzare in modo sistematico la giurisprudenza più recente su questa materia.
Da questa esigenza nasce il mio nuovo libro: "La Protezione Complementare: Giurisprudenza Anno 2024", disponibile su Amazon.

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(Link semplice: https://www.amazon.it/PROTEZIONE-COMPLEMENTARE-GIURISPRUDENZA-ANNO-2024/dp/B0DRZNCSPR)


Perché ho scritto questo libro

Nel corso del 2024, ho seguito quotidianamente l’evoluzione della giurisprudenza italiana in materia di protezione complementare.
Ho notato come si sia consolidato un ricco patrimonio di orientamenti che meritava di essere studiato, raccolto e reso facilmente fruibile a tutti gli operatori del diritto.
Troppe volte, la frammentarietà delle decisioni rende difficile individuare una linea chiara.
Con questo libro ho voluto mettere ordine, fornendo un quadro completo e aggiornato di tutte le decisioni più rilevanti emesse dai Tribunali ordinari e dalle Sezioni Specializzate in materia di immigrazione.


Cosa contiene il libro

"La Protezione Complementare: Giurisprudenza Anno 2024" è molto più di una semplice raccolta di sentenze.
In ogni provvedimento analizzato ho inserito:

  • il riassunto dei fatti di causa;

  • il ragionamento giuridico adottato dai giudici;

  • le osservazioni pratiche per l'attività difensiva;

  • l’indicazione delle norme applicate, con particolare attenzione agli articoli 19, commi 1 e 1.1, del D.Lgs. 286/1998.

L'obiettivo è stato quello di creare uno strumento operativo, utile per chi ogni giorno lavora per garantire i diritti dei migranti, ma anche per chi vuole approfondire in modo serio una materia che è oggi di grande rilevanza costituzionale e sociale.


A chi si rivolge

Questo libro è pensato per:

  • Avvocati che si occupano di diritto dell’immigrazione e protezione internazionale;

  • Operatori delle Commissioni Territoriali e degli Uffici Immigrazione;

  • Magistrati che si confrontano quotidianamente con domande di protezione speciale e complementare;

  • Studenti e studiosi interessati a una materia in continua evoluzione.

Ho voluto scrivere in uno stile chiaro ma rigoroso, che consentisse sia una consultazione rapida per esigenze pratiche, sia uno studio più approfondito per chi voglia cogliere i nodi interpretativi più significativi.


Perché è importante aggiornarsi sulla protezione complementare

Negli ultimi anni, la protezione complementare ha assunto un ruolo sempre più centrale nel nostro sistema di tutela:

  • Si tratta di una protezione strettamente collegata ai diritti umani fondamentali;

  • È destinata a chi, pur non rientrando nei criteri dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria, non può essere rimpatriato senza violare il principio di non refoulement;

  • Si intreccia con principi costituzionali e internazionali come l’art. 2 e 10 della Costituzione Italiana e la Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo.

Comprendere pienamente la protezione complementare, oggi, significa difendere i principi fondamentali su cui si basa il nostro Stato di diritto.


Un impegno che continua

Questo libro rappresenta un passo ulteriore del mio impegno quotidiano come avvocato e come studioso.
Spero che possa essere utile a chi, come me, crede che il diritto debba essere uno strumento concreto per tutelare la dignità di ogni persona.

Vi invito a leggere il volume e a condividere le vostre impressioni: per me sarà un onore confrontarmi con chiunque voglia contribuire a rendere sempre più efficace la tutela dei diritti umani.

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Avv. Fabio Loscerbo

giovedì 24 aprile 2025

Tutela dell’unità familiare e carta di soggiorno per ex coniuge: la nozione estensiva di “familiare” alla luce della sentenza del Tribunale di Bologna del 2 ottobre 2024

 

Tutela dell’unità familiare e carta di soggiorno per ex coniuge: la nozione estensiva di “familiare” alla luce della sentenza del Tribunale di Bologna del 2 ottobre 2024

Avv. Fabio Loscerbo
Foro di Bologna

La sentenza del Tribunale di Bologna del 2 ottobre 2024 affronta un tema giuridico di particolare attualità e rilievo: la possibilità di riconoscere il diritto al rilascio della carta di soggiorno per familiare di cittadino dell’Unione europea anche in favore dell’ex coniuge che versi in una condizione di grave vulnerabilità e riceva assistenza stabile e continuativa da parte del cittadino UE.

Il caso

Il ricorrente, cittadino straniero residente in Italia dal 1989, aveva contratto matrimonio con una cittadina dell’Unione europea, con la quale aveva avuto due figli. In seguito al divorzio, era sopravvenuta una grave condizione di invalidità, con l’insorgenza di patologie altamente debilitanti. In tale contesto, il rapporto con l’ex moglie si era trasformato nuovamente in una relazione stabile di convivenza e assistenza, in cui la donna rappresentava l’unico supporto economico e materiale del ricorrente.

A fronte di una situazione di evidente dipendenza, il cittadino straniero presentava istanza per il rilascio della carta di soggiorno per familiare di cittadino UE ai sensi dell’art. 10 del D.Lgs. 30/2007. La Questura, tuttavia, rigettava la richiesta, ritenendola irricevibile per insussistenza del rapporto di coniugio.

Il quadro normativo e giurisprudenziale

Il Tribunale di Bologna, con un’accurata ricostruzione del quadro normativo nazionale ed eurounitario, ha riconosciuto il diritto del ricorrente al rilascio del titolo di soggiorno, valorizzando una lettura estensiva e costituzionalmente orientata dell’art. 3, comma 2, della Direttiva 2004/38/CE e del corrispondente art. 3 del D.Lgs. 30/2007.

Secondo tali norme, gli Stati membri devono “agevolare” l’ingresso e il soggiorno di ogni altro familiare che non rientri nella definizione ristretta dell’art. 2, ma che conviva con il cittadino UE o sia da questi assistito per gravi motivi di salute.

Richiamando il fondamentale considerando n. 6 della direttiva, che sancisce l’obiettivo di “preservare l’unità della famiglia in senso più ampio”, il Tribunale ha fatto leva sul principio dell’interpretazione funzionale e teleologica del diritto dell’Unione, avvalorata anche dalla sentenza della Corte di Giustizia UE, causa C-22/21 (SRS) del 15 settembre 2022.

La nozione ampia di “familiare”

La Corte di Giustizia ha chiarito che rientra nella categoria di cui all’art. 3, comma 2, chi intrattenga un rapporto di dipendenza stabile e personale con il cittadino UE, sviluppatosi in un contesto familiare e non meramente convivenziale. Non rileva, in altri termini, la qualifica giuridica del legame, quanto piuttosto la concretezza della relazione di assistenza e coesione domestica.

Il Tribunale di Bologna, sulla base di questa autorevole interpretazione, ha dunque riconosciuto il diritto del ricorrente alla carta di soggiorno, ribadendo che la convivenza e l’assistenza ricevuta dall’ex coniuge costituiscono requisiti sufficienti, alla luce della ratio della normativa UE, finalizzata alla protezione della vita familiare anche in situazioni atipiche e vulnerabili.

Conclusioni

La decisione si inserisce in una progressiva evoluzione giurisprudenziale volta a superare l’approccio formalistico alla nozione di “familiare” nei rapporti tra cittadini di Paesi terzi e cittadini dell’Unione. Essa afferma con forza un principio di solidarietà familiare sostanziale, che tiene conto delle reali dinamiche affettive, assistenziali e sociali all’interno del nucleo, anche al di fuori del vincolo coniugale.

In un contesto normativo che richiede flessibilità e attenzione ai diritti fondamentali della persona, la pronuncia del Tribunale di Bologna merita di essere segnalata per la capacità di coniugare legalità, umanità e tutela della dignità individuale.

sabato 19 aprile 2025

Accoglimento della misura cautelare in materia di protezione speciale – Tribunale di Torino, decreto del 11 aprile 2025, R.G. 6600/2025

Accoglimento della misura cautelare in materia di protezione speciale – Tribunale di Torino, decreto del 11 aprile 2025, R.G. 6600/2025

Autore: Avv. Fabio Loscerbo


Introduzione

Con provvedimento del 11 aprile 2025, il Tribunale Ordinario di Torino – Nona Sezione Civile – ha accolto l’istanza cautelare proposta nell’ambito di un procedimento promosso ai sensi dell’art. 281 undecies c.p.c., disponendo la sospensione dell’efficacia esecutiva di un provvedimento amministrativo di rigetto concernente una richiesta di permesso di soggiorno per protezione speciale.

Il caso riveste interesse per due ordini di motivi: da un lato per l’immediato ripristino delle condizioni giuridiche del ricorrente sul territorio nazionale mediante la restituzione della ricevuta del titolo di soggiorno, dall’altro per la conferma dell’applicabilità del rito semplificato di cognizione ai procedimenti in materia di immigrazione ai sensi dell’art. 19 del D.Lgs. 286/98.


Il quadro fattuale e normativo

La vicenda prende le mosse dal rigetto di una domanda di permesso per protezione speciale ex art. 19, comma 1.1, TUI. Il provvedimento amministrativo impugnato veniva ritenuto viziato dalla difesa del ricorrente, sia per carenza motivazionale, sia per l’assenza di una adeguata valutazione delle circostanze personali e familiari, documentate con allegazioni successive al deposito della domanda.

In parallelo, il ricorrente aveva attivato un percorso d’integrazione lavorativa e abitativa documentato, corredato da buste paga, contratto di apprendistato e residenza stabile in Italia. L’effettiva attivazione dell’inserimento socio-lavorativo ha costituito elemento centrale nella valutazione del giudice.

In questo contesto è stato attivato il rito semplificato di cognizione previsto dagli articoli 281 decies e ss. c.p.c., con contestuale istanza cautelare volta a sospendere l’efficacia del rigetto.


La motivazione del Tribunale

Nel provvedimento dell’11 aprile 2025, il Collegio – composto dai magistrati Dott. Andrea Natale (Presidente), Dott.ssa Silvia Carosio e Dott.ssa Sara Perlo – ha ritenuto, “sulla base dei documenti depositati e di una valutazione meramente sommaria qual è quella che tipicamente connota la presente fase,” di dover accogliere l’istanza di sospensiva.

Conseguentemente, è stata disposta la sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato e il diritto del ricorrente ad ottenere dalla Questura competente la restituzione della ricevuta del titolo di soggiorno provvisorio.

Inoltre, è stata fissata udienza di comparizione delle parti, ai sensi dell’art. 281 undecies c.p.c., per il giorno 22 ottobre 2025.


Rilievi critici e riflessioni

Il decreto in esame si inserisce in una ormai consolidata giurisprudenza di merito che riconosce la centralità del diritto al rispetto della vita privata e familiare nei giudizi relativi alla protezione speciale. È altresì significativo il richiamo, implicito ma evidente, al principio del favor integrazione, quale criterio ermeneutico per la tutela effettiva dei diritti fondamentali degli stranieri regolarmente integrati sul territorio nazionale.

L’adozione di una misura cautelare urgente, in attesa della definizione del merito, si rivela funzionale alla tutela dei diritti sociali ed economici del ricorrente, evitando effetti pregiudizievoli irreversibili legati all’esecuzione di un provvedimento di rigetto (es. licenziamento, espulsione, perdita della rete familiare e abitativa).


Conclusioni

Il decreto del Tribunale di Torino delinea una prassi virtuosa nell’utilizzo degli strumenti del processo civile semplificato per garantire una tutela rapida ed effettiva in materia di immigrazione. La sospensione della decisione amministrativa fino alla definizione della controversia si pone a presidio del principio di proporzionalità e del diritto al soggiorno temporaneo nei casi in cui emergano elementi concreti di radicamento.

Questa decisione si inserisce coerentemente nel solco tracciato da numerosi Tribunali italiani in materia di protezione speciale e conferma la legittimità dell’azione cautelare anche in presenza di un rigetto motivato con formula standardizzata e priva di effettiva ponderazione individuale.


Avv. Fabio Loscerbo

Sospensione del Decreto di Espulsione a seguito della Richiesta di Protezione Internazionale: Giudice di Pace di Ravenna, Ordinanza del 16 aprile 2025 – R.G. 319/2025

 

Sospensione del Decreto di Espulsione a seguito della Richiesta di Protezione Internazionale: Giudice di Pace di Ravenna, Ordinanza del 16 aprile 2025 – R.G. 319/2025

Avv. Fabio Loscerbo

1. Introduzione

Con ordinanza resa in data 16 aprile 2025, nel procedimento R.G. 319/2025, il Giudice di Pace di Ravenna ha disposto la sospensione dell’efficacia esecutiva di un decreto di espulsione emesso nei confronti di una cittadina straniera, accogliendo l’istanza cautelare presentata nell’ambito di un ricorso proposto ai sensi dell’art. 13, comma 8, del D.lgs. 286/1998.

Il caso affrontato rappresenta un’occasione utile per riflettere sull’efficacia giuridica della presentazione della domanda di protezione internazionale e sulla rilevanza che tale elemento assume nell’ambito del giudizio di legittimità avverso i provvedimenti espulsivi.

2. Il contesto normativo e giurisprudenziale

Secondo una consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione – da ultimo confermata con l’ordinanza n. 9610 del 10 aprile 2024 – la presentazione di una domanda di protezione internazionale non comporta l’automatica nullità o invalidità del decreto di espulsione eventualmente emesso in data anteriore o contestuale, bensì ne sospende l’efficacia esecutiva, fintanto che non sia definita la relativa procedura.

Tale principio discende direttamente dall’art. 35-bis del D.lgs. 25/2008 e dall’art. 19 del D.lgs. 286/1998, che garantiscono allo straniero il diritto a non essere allontanato dal territorio nazionale fino a quando penda una decisione sulla sua domanda di protezione. L’adozione del permesso di soggiorno provvisorio rilasciato dalla Questura in seguito alla formalizzazione della richiesta di asilo rappresenta un indice concreto della pendenza del procedimento e dell'inapplicabilità, in tale frangente, dell'esecuzione forzata del decreto espulsivo.

3. La decisione del Giudice di Pace di Ravenna

Nel caso di specie, il Giudice ha valorizzato due elementi centrali:

  • La presentazione della domanda di protezione internazionale da parte della ricorrente in data 20 gennaio 2025, immediatamente successiva alla notifica del decreto di espulsione;

  • Il rilascio del permesso di soggiorno provvisorio da parte della Questura di Ravenna nella medesima data, a riprova dell’instaurazione del procedimento amministrativo ex art. 26 D.lgs. 25/2008.

Sulla base di tali circostanze, il Giudice ha ritenuto sussistenti i presupposti per disporre la sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento prefettizio, precisando altresì che il procedimento avrebbe dovuto rimanere sospeso fino alla definizione della domanda di protezione internazionale.

4. La tutela cautelare nei procedimenti contro l’espulsione

Il provvedimento si inserisce nel solco di una giurisprudenza ormai consolidata che riconosce al giudice ordinario la possibilità di intervenire in via cautelare per impedire l’esecuzione di atti amministrativi lesivi di diritti fondamentali, come quelli derivanti dall’art. 10 Cost. e dall’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

La sospensione del decreto di espulsione rappresenta, in questi casi, l’unica forma di tutela effettiva per evitare il rischio che il ricorrente sia allontanato coattivamente prima che la sua situazione venga esaminata in sede amministrativa e giurisdizionale. La misura cautelare, pertanto, si pone a presidio del diritto di difesa, del diritto al contraddittorio e della presunzione di non refoulement.

5. Osservazioni conclusive

L’ordinanza del Giudice di Pace di Ravenna assume rilievo non solo per l’immediata efficacia sospensiva del decreto di espulsione, ma anche per il suo valore di conferma di un principio di civiltà giuridica: non è possibile allontanare uno straniero che abbia attivato un legittimo procedimento di protezione, salvo che tale richiesta non sia manifestamente strumentale, fattispecie che nel caso di specie non è stata neppure contestata.

Si tratta di un provvedimento conforme al diritto nazionale, al diritto UE e alla giurisprudenza della Corte EDU, che sottolinea il ruolo centrale del giudice di pace nella tutela dei diritti fondamentali nel contesto delle misure amministrative di allontanamento.


Avv. Fabio Loscerbo

Il Tribunale di Bologna riconosce la protezione speciale: R.G. 9465/2024, sentenza del 14 aprile 2025

 

Il Tribunale di Bologna riconosce la protezione speciale: R.G. 9465/2024, sentenza del 14 aprile 2025

di Avv. Fabio Loscerbo

Con sentenza n. 935/2025, pubblicata il 14 aprile 2025 (R.G. 9465/2024), il Tribunale Ordinario di Bologna – Sezione Specializzata in materia di Immigrazione – ha accolto il ricorso proposto da una cittadina albanese, annullando il diniego della Questura di Modena e riconoscendo in suo favore il diritto al rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale, ai sensi dell’art. 19, commi 1 e 1.1, del D.lgs. 286/98.

1. La cornice normativa

La decisione si colloca nel quadro della normativa vigente prima dell’entrata in vigore del D.L. 20/2023, come previsto dall’art. 7, comma 2, della stessa fonte normativa: per le domande presentate prima dell’entrata in vigore del decreto, o già oggetto di invito alla formalizzazione da parte della Questura, continua ad applicarsi la disciplina previgente. Ne consegue che il permesso per protezione speciale ha durata biennale, è rinnovabile ed è convertibile in permesso per motivi di lavoro.

La Corte bolognese compie un’approfondita analisi della riforma introdotta dal D.L. 130/2020, la quale ha ancorato espressamente la protezione speciale anche alla tutela del diritto alla vita privata e familiare ex art. 8 CEDU, ampliando il paradigma giurisprudenziale precedentemente sviluppato in materia di protezione umanitaria.

2. I criteri di valutazione: vita privata e radicamento

Il Collegio richiama la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazione (n. 24413/2021) e l’ordinanza interlocutoria n. 28316/2020, evidenziando come il diritto al rispetto della vita privata e familiare vada interpretato in chiave estensiva, anche alla luce delle pronunce della Corte EDU. In particolare, si ribadisce che il “radicamento” dello straniero non può essere valutato solo in base alla durata della permanenza o alla titolarità di un contratto di lavoro, ma anche sulla base della rete di relazioni, dell’identità sociale, della partecipazione alla vita collettiva e culturale.

Nel caso esaminato, la ricorrente vive da otto anni in Italia, ha una relazione affettiva stabile con un cittadino straniero titolare di protezione speciale, è occupata con contratto a tempo indeterminato e ha prodotto documentazione comprovante redditi, domicilio, vita relazionale e assenza di pericolosità sociale attuale. Tali elementi, secondo il Tribunale, integrano una vita privata consolidata e non possono essere sacrificati senza che si realizzi un vulnus al diritto sancito dall’art. 8 CEDU.

3. Il superamento del criterio esclusivo della “integrazione lavorativa”

Un passaggio rilevante della sentenza consiste nel superamento dell’approccio riduzionista secondo cui la protezione speciale debba fondarsi unicamente sull’inserimento lavorativo. Il Tribunale chiarisce, invece, che l’integrazione va letta in senso olistico, comprendente anche la dimensione affettiva, abitativa, linguistica e sociale. La decisione si allinea pertanto all’indirizzo più avanzato in giurisprudenza, che riconosce il “diritto a non essere sradicati” come nucleo essenziale della tutela dei diritti fondamentali.

4. Le conseguenze giuridiche

Oltre al riconoscimento della protezione speciale, la sentenza stabilisce che il relativo permesso dovrà essere rilasciato con le caratteristiche della vecchia disciplina: durata biennale, possibilità di svolgere attività lavorativa, rinnovabilità e convertibilità. Si dichiara inoltre la compensazione integrale delle spese di lite, evidenziando la natura meramente difensiva della pretesa del ricorrente.

5. Osservazioni conclusive

Questa sentenza rafforza ulteriormente l’orientamento secondo cui la protezione speciale – soprattutto nella sua declinazione fondata sulla vita privata – rappresenta oggi l’unica forma di tutela residuale per le persone straniere che, pur non rientrando nelle forme tipiche di protezione internazionale, abbiano costruito in Italia un percorso stabile, dignitoso e coerente con i valori costituzionali.

In tal senso, il Tribunale di Bologna si conferma come punto di riferimento nazionale nella giurisprudenza in materia di immigrazione, nella direzione di un’applicazione coerente dei principi costituzionali, convenzionali e sovranazionali.


Avv. Fabio Loscerbo